L’orgoglio di essere pecore di Gesù
La vocazione cristiana è accogliere la voce di Gesù e avere il coraggio di testimoniarla in ogni luogo e in ogni scelta di vita.
Dal momento che ci resta abbastanza difficile identificarci con le pecore e pensare a Gesù come pastore, perché oggi né le pecore né i pastori sono riferimenti allettanti, chiariamo subito quali sono le pecore di Gesù che ascoltano la sua voce. Sono Paolo e Barnaba che non si lasciano intimidire dai Giudei e da “pie donne della nobiltà e i notabili della città” che vorrebbero chiudere loro la bocca, organizzando contro di loro una persecuzione. Li scacciano dalla città? Non se ne vanno con la coda tra le gambe, ma scuotendo contro di loro la polvere dei piedi e andando a predicare Gesù in un’altra città «pieni di gioia e di Spirito Santo». Pecore di Gesù, sì, ma di tutt’altra razza rispetto a quelle del gregge che si intruppano, che hanno paura di stare in prima fila, che scappano alle prime avvisaglie del lupo.
Pecore di Gesù sono quelle che nei cieli compongono «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua», cioè quelli che hanno saputo testimoniare la fede, nonostante «grandi persecuzioni». Che hanno saputo testimoniare la fede e sanno farlo anche oggi, perché le pecore di Gesù non sono mai finite, anche se non conquistano le prime pagine e i primi titoli dei telegiornali. Che hanno saputo far risuonare la voce di Gesù e sanno farlo anche oggi.
In questa domenica che, come è ormai tradizione da cinquantasei anni, si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni, papa Francesco nel suo messaggio chiama a essere «pecore di Gesù», invitando a non accontentarsi di una vita «prigioniera dell’ovvio», «inerte davanti a quelle scelte che potrebbero darle significato», «a non fermarsi sulla riva con le reti in mano, ma a seguire Gesù», e ad avere «il coraggio di rischiare». Perciò accettare la vocazione a una vita da “pecore” sì, ma da pecore di Gesù.
Ma a chi rivolge Gesù la sua voce? Ormai lo sappiamo che la chiamata di Gesù, la “vocazione”, non riguarda solo un piccolo gruppo di persone disposte alla vita consacrata o sacerdotale, ma tutti coloro che con il Battesimo hanno sentito la chiamata alla vita cristiana, che in ciascuno poi trova un modo originale di esprimersi. Dobbiamo sempre più essere consapevoli che il Pastore non chiama a seguirlo in seminario o in convento, ma nella la vita: in casa, in ufficio, in fabbrica, al bar, per strada… E in ogni stato di vita: da giovani, da fidanzati, da sposati, da single, da preti, da suore, da monaci, da laici consacrati…
Siamo giustamente preoccupati per la carenza di sacerdoti, di religiosi e religiose, che crea per tante parrocchie difficoltà per la catechesi, l’animazione dei più piccoli, la pastorale giovanile, la visita ai malati, la partecipazione alla Messa o il trovare un confessore. A questa situazione, però, non si dà rimedio con il lamento e la nostalgia dei bei tempi passati, ma con un popolo cristiano che vive la vita come vocazione, ascoltando la voce di Gesù e seguendolo.
La preoccupazione che possano venire a mancare le Messe e i sacramenti è giusta, ma molto più grave sarebbe se venissero a mancare i “Paolo e Barnaba”, capaci di vivere e far risuonare le parole di Gesù nelle strade della vita, senza lasciarsi spaventare dalle “pie donne della nobiltà e i notabili della città”, cioè dalla cultura dominante che vorrebbe ridurre Gesù a un personaggio mummificato nel passato.
Nel rito del Battesimo, al termine della professione di fede, si afferma: «Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, e noi ci gloriamo di professarla». «Ci gloriamo», senza complessi, ma «pieni di gioia e di Spirito Santo». Perciò, pecore sì, ma di Gesù.
Fonte: Paoline