IO SONO IL PANE DISCESO DAL CIELO
In quel tempo, 41. i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”.
Per la terza domenica consecutiva la liturgia ci propone il capitolo sei del Vangelo di Giovanni.
La folla raggiunge Gesù a Cafarnao, in Galilea, e qui egli pronuncia il discorso sul pane della vita. Quando Egli afferma di essere disceso dal cielo, ma la folla non lo riconosce, e si ferma alle sue umili origini terrene. Mormora alle spalle, non ha il coraggio di affrontare apertamente Gesù.
“I Giudei”: anche se la regione in cui avviene l’episodio è la Galilea, l’evangelista Giovanni chiama “Giudei” gli ascoltatori in quanto per lui la connotazione è negativa, designando i nemici, esattamente come il popolo ebreo che, incredulo, mormorava contro Dio nel deserto.
“Si misero a mormorare”: Dio risponde al popolo che mormora inviando dal cielo pane e carne, in modo che conoscano che il Signore è il loro Dio (Esodo 16,11). Gli ebrei non si accorgono che la manna è un “cibo pieno di ogni delizia” (Sapienza 16,20), “non vedono che questa manna” (Numeri 11,6). I Giudei mormorano contro “il pane” che vedono: non credono che davvero Gesù, pane di vita, sia disceso dal cielo. Dio si rivela in Gesù, nella sua umanità, che è fatta di carne e sangue, come noi.
La mormorazione è un parlare male di nascosto dalla persona, una semina da cui la vittima non può difendersi.
Dice San Tommaso: “La mormorazione e la maldicenza coincidono nella materia, e anche nella forma, cioè nell’espressione verbale: poiché l’una e l’altra consistono nel dir male del prossimo a sua insaputa. E per questa somiglianza talora si scambiano l’una con l’altra. Per cui quando l’Ecclesiastico (Siracide 5,14) dice: “Non ti meritare il titolo di mormoratore”, la Glossa aggiunge: “Cioè di maldicente”. Esse però differiscono nel fine. Poiché il maldicente mira a denigrare la fama del prossimo: e quindi insiste specialmente nel presentare quei difetti che possono infamare una persona, o almeno sminuirne la fama.
Invece il mormoratore mira a distruggere l’amicizia, come risulta dalla Glossa citata (nell’argomento in contrario) e da quel passo dei Proverbi (26,20): “Se non c’è il mormoratore, il litigio si calma”.
Perciò il mormoratore insiste nel presentare quei difetti che possono eccitare contro una persona l’animo di chi ascolta, secondo le parole della Scrittura (Siracide 28,9): “Un uomo peccatore semina discordia tra gli amici e tra persone pacifiche insinua l’inimicizia”” (Somma teologica, II-II, 74,2).
42. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?”.
Per i Giudei, i genitori di Gesù sono noti e non credono che Egli sia il Figlio di Dio. L’evangelista Matteo spiega la concezione verginale di Gesù. Non lo fa Giovanni, probabilmente perché ritiene che la comunità cristiana a cui rivolge il suo vangelo, già conosca questo mistero.
“Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?”: per la gente è difficile fare il salto dall’umanità di Gesù alla sua divinità. Questo è lo scoglio più grande da superare. Dobbiamo affidarci alla verità della sua rivelazione e credere che da Figlio di Dio si è fatto uno di noi: Parola fatta carne.
43. Gesù rispose loro: “Non mormorate tra voi.
Anche nel racconto dell’Esodo 16 il popolo ebreo mormora contro Dio per il dono delle quaglie e della manna.
“Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno. Si rende colpevole: – di giudizio temerario colui che, anche solo
tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo; – di maldicenza colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano (Cf Sir 21,28); – di calunnia colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli altri e dà occasione a erronei giudizi sul loro conto” (CCC 2477).
“Per evitare il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo prossimo: «Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l’affermazione del prossimo che a condannarla; e se non la possa salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dia; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si salvi» (Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 22)” (CCC 2478). “Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l’onore del prossimo. Ora, l’onore è la testimonianza sociale resa alla dignità umana, e ognuno gode di un diritto naturale all’onore del proprio nome, alla propria reputazione e al rispetto. Ecco perché la maldicenza e la calunnia offendono le virtù della giustizia e della carità” (CCC 2479).
44. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Il Figlio è da sempre presso il Padre. È venuto per far conoscere il Padre agli uomini, ma è per primo il Padre che attira gli uomini e li orienta al Figlio. Si tratta di un’azione preveniente di Dio che suscita la fede nel Cristo. Il Padre attira tutti gli uomini perché tutti sono amati da Lui. Tutti sono invitati alla vita piena e alla risurrezione finale.
45. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
Il Padre insegna a tutti gli uomini la verità, attirandoli contemporaneamente a sé e al Figlio. Per cogliere la sua volontà dobbiamo essere aperti all’ascolto: la fede nasce dall’ascolto.
46. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Per entrare in contatto con il Padre dobbiamo passare attraverso il Figlio, perché Egli viene dal Padre e lo ha visto. “Chi crede ha la vita eterna”: se aderiamo a Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, abbiamo la vita eterna.
48. Io sono il pane della vita.
Il pane è insieme dono del cielo e frutto della fatica dell’uomo. Gesù applica a sé le caratteristiche del pane: semplicità, umiltà, forza per la vita, comunione fra fratelli.
Gesù usa una “metafora”, un linguaggio che “porta al di là” per condurre alla realtà da capire e da comunicare. L’uomo è per sua natura un “mistico”, colui che cerca il senso ultimo delle cose e Gesù utilizza un linguaggio “mistico”: parla del mistero dell’eucaristia, centro della fede cristiana. Non è magia, non è irrealtà: è una realtà che si nasconde nel segno. Dobbiamo scandagliare il significato del segno.
Quando ci nutriamo, mangiamo il cibo e lo trasformiamo in energia vitale. Quando Gesù si dona a noi nell’Eucaristia è Lui che trasforma noi, che entra in comunione con noi e noi con Lui. Riceviamo la vita in pienezza; riceviamo il pegno dell’eternità futura; entriamo in comunione con i fratelli.
“Io sono”: Gesù utilizza l’espressione che Dio ha rivelato a Mosè al roveto ardente: “Io sono colui che sono”.
49. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50. questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Il popolo ebreo si era nutrito di manna e di Legge, ma questi nutrimenti si sono rivelati insufficienti. Gesù è il pane di vita che è vivo e che sazia la fame profonda del cuore umano.
È Dio che tocca il nostro cuore e noi ci lasciamo afferrare dal suo amore infinito. Quando riceviamo l’Eucaristia non solo entriamo in comunione con Gesù e diventiamo una cosa sola con Lui, ma risorgeremo, secondo la sua promessa.
51. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
“Io sono il pane vivo” (ho ártos ho zôn): non dobbiamo più mangiare la carne dell’agnello pasquale, come gli ebrei nel libro dell’Esodo, ma dobbiamo nutrirci della nuova manna, del nuovo agnello pasquale che è Cristo, immolato sulla croce e risorto per la vita di tutti.
C’è un’ulteriore approfondimento in questo versetto: il pane non è più un cibo terreno, ma è un pane vivo, vivente. È la sua stessa carne, nella sua condizione mortale (cfr. Giovanni 1,14: “Il Logos si fece carne”), per cui abbiamo la certezza che è sempre con noi. La sua presenza è perenne.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci istruisce in modo chiaro ed inequivocabile:
“Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa “quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti”. Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. “Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente” (CCC 1374).
“Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando: “Poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica “transustanziazione”” (CCC 1376).
“È oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica. Poiché stava per lasciare i suoi nel suo aspetto visibile, ha voluto donarci la sua presenza sacramentale; poiché stava per offrirsi sulla croce per la nostra salvezza, ha voluto che noi avessimo il memoriale dell’amore con il quale ci ha amati “sino alla fine” (Giovanni 13,1), fino al dono della propria vita. Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi, e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore: “La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione” (CCC 1380).
“Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo, come dice san Tommaso, “non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio”. Per questo, commentando il passo di san Luca 22,19: Questo è il mio Corpo che viene dato per voi, san Cirillo dice: “Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non mentisce”” (CCC 1381).
“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”: se anche dobbiamo subire la morte fisica, saremo successivamente risuscitati se crediamo in Gesù.
“Che io darò”: si riferisce al fatto che il dono di sé avverrà con la passione e la morte.
“È la mia carne per la vita del mondo”: il pane richiama il dono della manna; la carne richiama il sacrificio dell’agnello. Gesù allude all’esodo e alla pasqua. La carne di Gesù è la sua umanità offerta sulla croce. Egli diventa vita e benedizione per tutti: Caro salutis cardo: la carne è il cardine della salvezza!
Quando entriamo in comunione con Dio siamo più divini e siamo contemporaneamente più umani. I Padri Orientali la chiamano “divinizzazione”(“theosis”). Dante conia il verbo “indiarsi”: cioè ci inseriamo in Dio come figli, della stessa sostanza del Padre.
Ogni nostro respiro ci deve richiamare lo spirito di Cristo che vive in noi e ricordarci che: “in Lui siamo, ci muoviamo e respiriamo” (Atti 17,28). Il nostro rapporto con Lui, allora, non è relegato alla sola celebrazione liturgica, ma continua ogni istante.
Tuffiamoci nel mistero di Dio e lasciamoci immergere nel suo amore infinito, che nessuna potenza umana potrà mai toglierci: Viviamo proiettati nel futuro di gioia senza fine che ci attende e che pregustiamo già qui in terra nell’Eucaristia.
Suor Emanuela Biasiolo
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
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- Colore liturgico: Verde
- 1 Re 19, 4-8; Sal. 33; Ef 4, 30 – 5, 2; Gv 6, 41-51
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6, 41-51
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 12 – 18 Agosto 2018
- Tempo Ordinario XIX
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 3
Fonte: LaSacraBibbia.net
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