Commento al Vangelo del 12 Agosto 2018 – Figlie della Chiesa

Tutto il discorso sul pane di vita ha la forma di una contestazione: contestazione di Gesù alla folla, e contestazione della folla a Gesù; infatti colui che era stato cercato attraverso deserti e laghi diventa ora pietra d’inciampo, e quelli che avevano mosso Gesù a compassione, apparendo come pecore smarrite, lo muovono ora all’indignazione e al giudizio severo.

La contestazione di Gesù ai “Giudei” (così ora l’evangelista chiama la folla, dando al termine il senso spregiativo di “soltanto Giudei, incapaci di diventare cristiani”) accusa il loro “materialismo”: e cioè, l’atteggiamento per cui essi fermano le loro menti alla superficie piatta delle cose e degli eventi, quella che può essere constatata senza entrare personalmente in essi, senza compromettersi; detto altrimenti, i Giudei non scorgono mai “segni”, ma sempre e solo fatti materiali e inconfutabili. Di necessità, non conoscono Dio, perché di lui, che abita nei cieli e non sulla terra, solo si può conoscere attraverso i segni e la fede.

Il “materialismo” dei Giudei – ma esso vale quale paradigma del materialismo universale – ha nella disputa di Cafarnao tre espressioni successive, che scandiscono l’intero sviluppo del discorso di Gesù.

La prima dice: “Quale segno dunque tu fai? I nostri padri hanno mangiato la manna … (cfr. vv. 30-31): parlano di “segni”, ma pensano in realtà a portenti, che documentino il potere di Gesù, e non che manifestino la verità di Dio. Ricordano la manna dei padri, e anche la chiamano con le parole del salmo “pane dal cielo”; ma di quella manna hanno conosciuto solo l’aspetto di portento che strappa meraviglia e ammirazione, non invece il significato profetico che ne faceva un nutrimento dello spirito. Quella manna non serve a nulla: “hanno mangiato la manna del deserto e sono morti” (v. 49), nota brutalmente Gesù. “Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo”, né alcun altro uomo può darvelo con grandiosi portenti; quel pane può venire solo dal Padre mio. Per trovare ciò di cui si può vivere occorre non volgersi indietro, a Mosè o a qualsiasi altro passato mitico, ma volgersi finalmente a Dio, arrendersi alla necessità di avere a che fare direttamente con lui; ed anzi, non arrendersi, ma cercarlo attivamente e appassionatamente, accettando che questa ricerca metta in gioco la vita, e non rimanga invece alla superficie delle cose.

La formula introdotta dai Giudei stessi, “il pane disceso dal cielo” diventa sulla bocca di Gesù l’espressione tecnica per indicare un nutrimento che non è materiale, ma è parola che viene dalla bocca di Dio; e per indicare insieme se stesso: “Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete”. (v. 35). Parafrasa sant’Agostino; “Hai creduto? Allora hai già anche mangiato, ti sei nutrito, più non temi di morire di fame per via.”

A proposito di questa presentazione che Gesù fa di se stesso, si esprime la seconda forma del “materialismo” dei Giudei: “Mormoravano di lui perché aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo” (v. 41). Mormoravano e, a giustificazione della loro mormorazione incredula, richiamavano le cose ben note: “Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dire: Sono disceso dal cielo?”. Le cose note, anziché schiudere come segni la possibilità di credere nelle cose ignote, appaiono anche in questo caso come una corazza di diffidenza, mediante la quale difendersi nei confronti dell’ignoto. Mormorano i Giudei, perché cercano di rassicurarsi, cercano di confermarsi nella persuasione che il loro piccolo mondo sia l’unico possibile. Non mormorate tra voi – li ammonisce Gesù -, nessuno può venire a me se non lo attira il Padre” (vv. 43-44). La radice dell’incredulità, e quindi necessariamente anche della mormorazione alle spalle di Dio, è il fatto che i Giudei cerchino tra di loro, l’uno dall’altro, persuasione per le rispettive affermazioni. Cercano la loro gloria dagli uomini, come commenta altrove Gesù. E’ invece necessario lasciarsi attirare e istruire dal Padre; soltanto chi ode la sua voce, ed è da questa voce istruito, viene a Gesù, crede in lui, trova in lui nutrimento per la propria fame indicibile. Ma chi invece, temendo questa avventura troppo solitaria e rarefatta di farsi istruire da Dio, cerca istruzioni dagli uomini a proposito di ciò che si deve pensare di Gesù, troverà certo queste istruzioni – è il figlio di Giuseppe, di lui conosciamo non solo il padre e la madre, ma la casa, la parentela, la storia tutta – ma perderà il pane della vita.

La terza espressione del “materialismo” dei Giudei riguarderà l’affermazione di Gesù: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Non sanno intendere come la carne possa nutrire lo spirito (non sanno intendere come la debolezza mortale del Figlio dell’uomo possa vincere il mondo e nutrire la vita); per questo neppure intendono il sacrificio della carne e del sangue: esso appare ai loro occhi un assurdo.

Appendice

Solo un cuore che ama può comprendere

Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,43-44).

Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all’altare e a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà…

Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall’amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? “Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore” (Sal 36,4). Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel pane celeste.

Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» (Virgilio, Egl., 2), – ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l’uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l’anima non dovrebbe avere i suoi? Se l’anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: “I figli dell’uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l’abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce” (Sal 35,8ss).

Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano…

In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna” (Gv 6,47). Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire più brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna.

Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me – dice – ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».

Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. E’ venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la morte è annientata…

Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo” (Gv 6,51). Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la verità. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo (ibid.).

Come la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che non era possibile. «E’ la mia carne – disse -per la vita del mondo».

I fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l’uomo è uomo: infatti l’uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che – obietti – il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l’apostolo Paolo quando ci spiega la natura di questo pane: “Un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti” (1Cor 10,17).

Oh, grande mistero d’amore! grande simbolo di unità! grande legame di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare, dopo, in cielo. (Agostino, Comment. in Ioan., 26, 2.4.10.13)

Risurrezione per la carne e il sangue di Cristo

Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta l’economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c’è infatti sangue se non dalle vene, dalle carni e dalla rimanente sostanza dell’uomo, quale veramente si è fatto il Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l’Apostolo: “Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue” (Col 1,14). E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre: fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il quale alimenta i nostri corpi.

Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio e si compie così l’Eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del sangue e del corpo di Cristo, è membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera agli Efesini: “Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa” (Ef 5,30). Non parla di un corpo invisibile e spirituale – “uno spirito infatti non ha né ossa né carne” (Lc 24,39) -, ma di un vero organismo umano che consta di carne, nervi e ossa; e che si nutre del calice che è il suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo.

Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio che tutto contiene – vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera utilità dell’uomo, perché accogliendo la parola di Dio diventano l’Eucaristia che è il corpo e il sangue di Cristo -; allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell’Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell’immortalità questo corpo mortale e dona gratuitamente l’incorruttibilità a questo corpo corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di quanto Dio può e di quanti benefici l’uomo può ricevere, e non ci capiti di errare nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l’uomo. Dio, come abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti così da non misconoscere la nostra posizione di fronte a lui? (Ireneo di Lione, Adv. haer., 5, 2, 2-3)

La validità oggettiva del sacerdozio

Dirai: Dio ordina tutti, anche quelli che sono indegni?

Dio non ordina tutti, ma opera per mezzo di tutti, anche se sono indegni, per la salvezza del suo popolo. Se, infatti, Dio parlò per mezzo di un’asina, per mezzo dello scellerato Balaam (Nm 22) in grazia del suo popolo, molto più lo farà per mezzo del sacerdote. Che cosa non fa Dio per la nostra salvezza? che cosa non dice? di chi non si serve? Se si è servito di Giuda e di coloro ai quali dice: “Non vi conosco, andate via da me, operatori d’iniquità” (Mt 7,23), tanto più agirà per mezzo di un sacerdote…

Dirai ancora: Ma costui non fa elemosina ai poveri, non è onesto nella amministrazione.

Come lo sai? Non accusare, se non sei sicuro, temi d’essere chiamato a render conto. Molte cose son dette in base a un sospetto. Imita il Signore. Senti che dice: “Verrò a vedere se agiscono come si dice” (Gen 18,21). Se hai sentito, esaminato e visto, aspetta il giudice; non arrogarti l’ufficio di Cristo. Tocca a lui trattare queste cose, non a te. Tu sei l’ultimo servo; non sei il padrone. Tu sei una pecora; non ti mettere a giudicare il pastore, per non rischiar di scontar la pena di ciò di cui lo accusi.

Dirai: Perché non fa, ciò ch’egli stesso m’insegna?

Non è lui che lo dice. E se obbedissi a lui, non meriteresti il premio. E Cristo che ti comanda. Che dico? Neanche Paolo dovrebbe essere obbedito, se parlasse da sé, se dicesse cose umane. Ma bisogna credere che in Paolo parla Cristo. Non giudichiamo, dunque, le cose degli altri, pensa alla tua vita.

Dirai: Ma lui dovrebbe essere migliore di me.

Perché? Perché è sacerdote. E che cosa non ha lui più di te? Non forse fatiche, pericoli, contese, preoccupazioni, sfortune? Se ha tutte queste cose, come non è migliore di te? Ma anche se egli non fosse migliore di te, perché dovresti tu perderti? Ma questa è arroganza. Come fai a sapere che non è migliore di te? Se rubasse, diresti; se approfittasse delle cose sacre? Come sai questo, buon uomo? Perché ti vuoi buttare nel fosso?…

Ti credi migliore d’un altro, e non chiedi pietà? non ti batti il petto, non pieghi il capo, non imiti il pubblicano? Ma così ti vuoi perdere, anche se sei migliore. Migliore? stai zitto, se vuoi rimaner migliore; se lo dici, ti svuoti tutto. Se credi di esserlo, non lo sei; se non lo credi, fai un passo avanti. Se, infatti, colui ch’era peccatore, perché se ne accusò, uscì dal tempio giustificato, colui che lo è e si giudica tale, che cosa non guadagnerà? Esamina la tua vita. Non rubi? ma strappi, fai violenza e tante cose simili. Con questo non plaudo al furto, per carità, tanto meno lo approverei, se versasse lacrime e continuasse ad esserlo. Infatti che gran male sia il sacrilegio neanche lo si può dire; ma preferisco fermarmi qui e non voglio diminuire la nostra virtù accusando gli altri…

Dimmi: Se ti capita d’essere ferito, che forse innanzi al medico ti metti a domandargli se pure lui ha una ferita? e se l’ha, ti preoccupi? o, perché pure lui ce l’ha, tu non curi più la tua e dici: – Il medico dovrebbe star bene. Se lui, che è medico, non sta bene, io mi riporto a casa la mia ferita? Che forse, se il sacerdote è cattivo, il fedele ne riceve un sollievo? Tutt’altro. Lui sconterà la sua pena, e tu la tua; il Maestro mette tutto a posto, dice, infatti: “Riceveranno tutti la sentenza di Dio” (Gv 6,45; Is 54,13)…

L’offerta è la stessa, chiunque la faccia sia Pietro, sia Paolo; è la stessa che Cristo diede ai discepoli e che fanno oggi i sacerdoti. La nostra non è affatto inferiore a quella, perché non sono gli uomini a farla santa, ma il Cristo in persona che santificò la prima. Come le parole, che disse Cristo, sono le stesse che dice il sacerdote oggi; così la messa è la stessa, come il battesimo è ancora lo stesso. E tutta opera della fede. Scese lo Spirito nel centurione Cornelio, perché aveva creduto. Questo, come quello, è corpo di Cristo. Chi pensa che questo lo sia di meno non sa che Cristo è presente e opera nei sacramenti. (Giovanni Crisostomo, In II ad Timoth., 2, 3 s.)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa domenica prosegue la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, in cui Gesù, dopo aver compiuto il grande miracolo della moltiplicazione dei pani, spiega alla gente il significato di quel “segno” (Gv 6,41-51).

Come aveva fatto in precedenza con la Samaritana, partendo dall’esperienza della sete e dal segno dell’acqua, qui Gesù parte dall’esperienza della fame e dal segno del pane, per rivelare Sé stesso e invitare a credere in Lui.

La gente lo cerca, la gente lo ascolta, perché è rimasta entusiasta del miracolo – volevano farlo re! -; ma quando Gesù afferma che il vero pane, donato da Dio, è Lui stesso, molti si scandalizzano, non capiscono, e cominciano a mormorare tra loro: «Di lui – dicevano – non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?”» (Gv 6,42). E cominciano a mormorare. Allora Gesù risponde: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato», e aggiunge: «Chi crede ha la vita eterna» (vv. 44.47).

Ci stupisce, e ci fa riflettere questa parola del Signore. Essa introduce nella dinamica della fede, che è una relazione: la relazione tra la persona umana – tutti noi – e la Persona di Gesù, dove un ruolo decisivo gioca il Padre, e naturalmente anche lo Spirito Santo – che qui rimane sottinteso. Non basta incontrare Gesù per credere in Lui, non basta leggere la Bibbia, il Vangelo – questo è importante!, ma non basta -; non basta nemmeno assistere a un miracolo, come quello della moltiplicazione dei pani. Tante persone sono state a stretto contatto con Gesù e non gli hanno creduto, anzi, lo hanno anche disprezzato e condannato. E io mi domando: perché, questo? Non sono stati attratti dal Padre? No, questo è accaduto perché il loro cuore era chiuso all’azione dello Spirito di Dio. E se tu hai il cuore chiuso, la fede non entra. Dio Padre sempre ci attira verso Gesù: siamo noi ad aprire il nostro cuore o a chiuderlo. Invece la fede, che è come un seme nel profondo del cuore, sboccia quando ci lasciamo “attirare” dal Padre verso Gesù, e “andiamo a Lui” con il cuore aperto, senza pregiudizi; allora riconosciamo nel suo volto il Volto di Dio e nelle sue parole la Parola di Dio, perché lo Spirito Santo ci ha fatto entrare nella relazione d’amore e di vita che c’è tra Gesù e Dio Padre. E lì noi riceviamo il dono, il regalo della fede.

Allora, con questo atteggiamento di fede, possiamo comprendere anche il senso del “Pane della vita” che Gesù ci dona, e che Egli esprime così: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). In Gesù, nella sua “carne” – cioè nella sua umanità concreta – è presente tutto l’amore di Dio, che è lo Spirito Santo. Chi si lascia attirare da questo amore va verso Gesù e va con fede, e riceve da Lui la vita, la vita eterna.

Colei che ha vissuto questa esperienza in modo esemplare è la Vergine di Nazaret, Maria: la prima persona umana che ha creduto in Dio accogliendo la carne di Gesù. Impariamo da Lei, nostra Madre, la gioia e la gratitudine per il dono della fede. Un dono che non è “privato”, un dono che non è proprietà privata ma è un dono da condividere: è un dono «per la vita del mondo»! (Papa Francesco, Angelus del 9 agosto 2015)

Fonte: Figlie della Chiesa

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 12 Agosto 2018 anche qui.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6, 41-51
 
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
 
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
 
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
 
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 12 – 18 Agosto 2018
  • Tempo Ordinario XIX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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