Sempre in esilio ma sempre di ritorno
L’insoddisfazione che ci accompagna sempre, perché le cose non ci soddisfano mai del tutto, ci ricorda che siamo in esilio, perché la nostra patria è nei cieli. Perciò, vivere nel modo giusto è vivere partendo.
Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Così ci fa pregare il salmo di questa domenica, uno dei salmi più universalmente conosciuti, non solo tra i credenti. Questo accade quando un testo, una poesia, un dipinto, una canzone, toccano situazioni e sensazioni in cui tutti si ritrovano; quando sembra che l’autore abbia sentito ed espresso ciò che anche noi sentiamo, senza riuscire a esprimere.
Ciò che ci fa sentire “nostro” il salmo è l’esilio. Per quanto stiamo bene su questa terra, non riusciamo mai a cancellare la sensazione che il nostro posto definitivo non sia qui. Manca sempre qualcosa alle nostre canzoni per essere allegre come vorremo e dovrebbero.
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Anche se non sempre lo ammettiamo e non sempre lo avvertiamo con la stessa intensità, siamo come i Giudei, scampati alla spada, e portati schiavi a Babilonia. Gerusalemme, distrutta, prima e più che dagli eserciti, dalle infedeltà e contaminazioni con i pagani, e dalla sordità verso i messaggeri che Dio aveva loro inviato “premurosamente e incessantemente”, pur ridotta a un cumulo di macerie, senza più mura e senza tempio, era però dentro di loro. Tutto perduto? Soltanto tristezza e nostalgia? No. La promessa del profeta Geremia manteneva accesa una piccola speranza. E infatti, ecco che per vie, tempi e modalità sorprendenti e inattese – come sono sempre quelle di Dio – arriva l’invito del re pagano: “Il Signore, Dio del cielo… mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”.
Questa non è la storia lontana di un popolo, ma è la storia di tutti e la nostra storia. È lo stesso Gesù a universalizzarla, facendo del popolo ebreo un simbolo del “mondo”, di tutta la realtà creata, quando, in cammino verso la Terra, si salva dalle vipere alzando lo sguardo verso il serpente “innalzato”. A questo “mondo”, sempre in esilio da lui, Dio non ha mandato soltanto “messaggeri” ma addirittura il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. E lo ha fatto per grazia, perché ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ama, per recuperarci dall’esilio e farci sedere nei cieli in Cristo, a Gerusalemme.
Quali messaggi per noi in questa domenica che ci porta vicinissimi alla Pasqua?
Prima di tutto ci ricorda la verità della nostra esistenza: siamo in esilio. La nostra patria non è qui. Se non siamo mai soddisfatti, non dobbiamo affannarci a riempire tutto. Le nostre canzoni non saranno mai del tutto allegre; le nostre feste non saranno mai piene. Questa consapevolezza ci salva dalle illusioni, dalle delusioni, dalle depressioni. Guardiamo intorno cosa succede a chi non accetta di essere in esilio!
Non dobbiamo, però, rassegnarci all’esilio, ma essere sempre pronti ad ascoltare e praticare l’invito che Ciro, il pagano, ci rivolge: Il Signore, Dio del cielo, ci ha creato per vivere a Gerusalemme. Chiunque di voi appartiene al popolo di Gesù, sia con lui e salga!.
“Salga!”. Per andare a Gerusalemme è necessario salire. Perché sta in alto. Tanto in alto che ci si arriva soltanto per grazia, per il Figlio unigenito di Dio, per Gesù. Noi, umilmente, lo abbiamo accolto, lasciandoci illuminare dalla sua luce, abbiamo, però, bisogno di accoglierlo con più calore e convinzione, lasciando arrivare la sua luce dentro di noi, in tante zone d’ombra che ancora gli resistono.
Allora: sempre in esilio, ma sempre pronti ad accogliere l’annuncio: Chiunque appartiene al popolo di Gesù, non stia a guardare le cetre appese ai salici, ma sia con lui e salga! In esilio, ma sempre pronti a ritornare.
Fonte: Paoline
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
della IV Domenica del Tempo di Quaresima – Anno B
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 11 Marzo 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Viola
- 2 Cr 36, 14-16. 19-23; Sal. 136; Ef 2, 4-10; Gv 3, 14-21
Gv 3, 14-21
Dal Vangelo secondo Giovanni
14E come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 11 – 17 Marzo 2018
- Tempo di Quaresima IV
- Colore Viola
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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