Vangelo: Lc 10,25-37
È scritta nel cuore la legge di Dio.
È la scoperta straordinaria fatta da un popolo di nomadi fuggiti dalla schiavitù. Un popolo guidato da un liberatore liberato, un ebreo cresciuto alla corte di Faraone che nel deserto scoprì che Dio c’era ed era immensamente diverso dalle divinità ad uso dei sacerdoti e dei potenti della terra d’Egitto.
Il Dio dei Padri, il Dio di Mosè si era rivelato: il suo nome era: “Io ci sono”.
C’è Dio, non ci fa.
E scoprire il vero volto di Dio aveva svelato il vero volto degli uomini.
Dio c’è e parla al cuore degli uomini. La sua legge è scritta nel profondo di ciascuno di noi.
Il problema è che frequentiamo poco il nostro dentro, che evitiamo di avvicinarci al nostro cuore, che fatichiamo a scavare.
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Piroette
O che confondiamo il nostro dentro con le nostre capacità intellettuali, o la conoscenza, o l’esperienza mistica o che so io. Come il dotto dottore della legge che pone al falegname diventato Rabbì una delle tipiche questioni teologico-morali dell’epoca. Qual è il primo fra i 613 comandamenti? A tanti erano gonfiate le scarne e asciutte dieci parole che Dio diede a Mosè sul monte nel deserto. Domanda semplice, esigenza reale: saper distinguere il centro dalla periferia, l’essenziale dal relativo. Opera, questa, in cui gli ebrei eccellono e che – ahimè – i cristiani stanno dimenticando a causa della pigrizia mentale e di una sconcertante superficialità mediatica.
Gesù sa che il dottore sa. E lo invita, con rispetto e ironia, a far sfoggio della propria cultura. La risposta è esatta, forte, essenziale, presa dalla Parola di Dio, conclusione di un lungo dibattito fra i rabbini dell’epoca.
Il primo e il secondo tra i comandi sono: ama.
Ama Dio come riesci, esplorando l’ampiezza del tuo limite. Amalo pensandolo ed emozionandoti, amalo perché sei amato. E poi scopriti amato per poter amare gli altri, che da avversari divengono fratelli.
Bene: risposta splendida, un applauso.
Cioè?
Il dottore è basito. Sa e sa di sapere e Gesù gli conferma il suo sapere. Sa ma non ama, sa ma non sa che farsene del sapere, non ha sapore il suo sapere. Tentenna, ondeggia, poi replica: chi devo amare?
Domanda arguta, ovvio.
Molti Rabbì sostengono che bisogna amare il povero, l’orfano e la vedova, pupilla di Dio. O che bisogna amare tutti. Tutti coloro che appartengono al popolo di Israele.
Gesù sorride e si guarda nel cuore, là dove Dio abita. E in lui Dio è. Non è presente, è sé.
Il racconto della parabola del samaritano spiazza tutti.
Un tale viene rapinato e ferito, l’unico che si occupa di lui è uno straniero, un extracomunitario, uno che non tira diritto. Altri due scendono dalla capitale, bazzicano il Tempio, uno è prete e l’altro un cantore/lettore. Tirano diritto e fanno bene. Che ne sanno di chi è quel tale e cosa è successo? E se fosse un regolamento fra bande? E se avesse l’AIDS? E se i briganti tornassero?
(Mi raccontava un barelliere che in certe città se si soccorre un ferito da arma da fuoco bisogna andare calmi: se doveva essere ammazzato è meglio che spiri. Un suo collega è stato picchiato a sangue per avere salvato uno che non doveva essere salvato).
Hanno Dio nel cuore, sulle labbra, fanno discorsi sensati.
Gesù non li biasima, né li condanna: sono figli del loro tempo. E del loro Tempio.
Il prossimo è il samaritano.
E Gesù conclude: tu di chi vuoi essere prossimo? A chi vuoi avvicinarti?
Soccorsi e samaritani
Siamo stati pestati a sangue. Tutti.
La vita è così, più o meno faticosa o rigida o dolorosa, ma tutti prima o poi prendiamo qualche bastonata. I cristiani sono coloro che sono stati soccorsi da Cristo, buon samaritano, che ha versato sulle loro piaghe il vino della consolazione e l’olio della speranza e si sono visti portare alla locanda che è la Chiesa.
La Chiesa, come canta la comunità di Colossi, segue il buon samaritano e lo imita, lo considera il Capo, cioè la testa e il principale e cerca di imitarlo.
Animo, discepoli del Nazareno, convalescenti della vita: se avete sperimentato la tenerezza del Signore e la sua consolazione siete resi capaci di consolazione, di leggere la legge nel cuore, di passare dalla norma(lità) all’eccezione, dalla testa al cuore.
Per vedere nel volto del fratello il vostro volto, il volto di Cristo.
Paolo Curtaz