Commento a cura di Damiano Antonio Rossi con la collaborazione delle Suore Adoratrici Perpetue del S.S. Sacramento di Vigevano.
Santissima Trinità (Gv 2, 16-18)
Nicodemo è un fariseo, un maestro molto stimato in Israele e membro del Sinedrio, il tribunale amministrativo e religioso ebraico cui il potere romano concede autonomia in materia religiosa e nella gestione degli affari interni di Israele, avocando a sé, però, il diritto di comminare ed eseguire le eventuali condanne a morte pronunciate dal tribunale ebraico, in osservanza delle norme sancite dalla Torâh. Questo notabile autorevole di Israele si presenta a Gesù, di notte, non certo per una visita di pura cortesia.
Gesù svela a Nicodemo ed agli uomini tutti il progetto salvifico universale del Padre, realizzabile solo nei credenti. Dio si trova all’origine del movimento di salvezza, che scaturisce dal suo insondabile ed infinito amore per l’uomo. Al cuore della salvezza, specie del ruolo svolto dal “Figlio unico” nel suo cammino verso la croce, si trova Dio che ama il mondo, cioè l’intera umanità.
Non c’è rapporto di reciprocità: Dio ama l’uomo a prescindere dalla risposta d’amore che l’uomo può offrire a Dio. Dio ama in modo assoluto ed il suo amore ha come progetto esclusivamente la salvezza e la vita dell’uomo e, per questo, non ha esitato a consegnare al sacrificio estremo il proprio Figlio unigenito, donandolo per la nostra salvezza (Rm 8,22). Lo scopo ultimo del progetto salvifico del Padre è la salvezza eterna, donata gratuitamente all’uomo tramite il Figlio. Dal progetto, quindi, viene esclusa la condanna (giudizio) precostituita dell’uomo alla “morte eterna”, purché l’uomo accetti, senza condizioni, il dono della salvezza manifestando la propria adesione di fede al progetto salvifico del Padre. Non è tanto Dio a condannare l’uomo, ma l’uomo stesso che, non credendo all’amore salvifico di Dio, si autoesclude dalla vita eterna.
[ads2]L’incontro con Gesù determina necessariamente una scelta, una decisione (krìsis) inevitabile. Non c’è bisogno di aspettare il “giudizio universale” per essere collocati tra coloro che saranno posti “alla destra” (i salvati) od “alla sinistra” (i dannati) di Cristo giusto Giudice: il giudizio è già presente ora, nell’incontro quotidiano con Gesù. La vita e la morte dipendono dalla fede in Cristo Gesù e sono determinate dall’adesione o meno alla Legge di Dio, luce e guida dell’uomo (Sal 119,105; 18, 29; Pr 6,23). La fedeltà ai precetti, rivelati da Dio, è la via mediante la quale l’uomo può raggiungere una pienezza che egli non possiede e realizzare il suo profondo desiderio di “vita”. Sottrarsi a questa Legge significa scegliere la morte, dal momento che la Legge di Dio è Cristo in persona (cf. anche Dt 30,15-19).
Nella venuta del Figlio in questo mondo, nel suo messaggio e nel suo itinerario verso la croce, si è rivelato l’amore stesso di Dio; in Gesù si è reso visibile il desiderio di Dio di salvare il mondo intero, riscattandolo dalla tragedia del peccato. Nel mondo dell’Antico Testamento la salvezza era incentrata sulla decisione libera e personale dell’uomo, sull’osservanza scrupolosa di una serie di precetti e sulla soddisfazione delle esigenze proprie del culto da rendere a Dio. Nella prospettiva del Nuovo Testamento, fatta salva la libera scelta dell’uomo, il fulcro della salvezza è Cristo, il quale esige che si abbia fede in Lui, l’amore di Dio rivelato.