oglio, sii mondato!
Il lebbroso è escluso dalla casa, dalla comunità e dalla società: è un morto vivente. Per legge deve stare lontano da tutti. La lebbra è come il peccato: ci pone lontani dai fratelli, in solitudine di morte. Chi, come la suocera di Pietro, si mette a servire, è guarito dalla lebbra: passa dalla morte alla vita perché ama i fratelli.
Siamo alla fine del capitolo primo del Vangelo di Marco.
All’inizio si presenta il Battista con la sete di giustizia, di libertà che è la porta per entrare nel Vangelo e l’attesa di quello che avverrà, l’apertura al futuro. Si presenta subito Gesù nella sua scelta fondamentale: si mette in fila con i peccatori e si battezza, s’immerge nella nostra realtà. E attraversa anche Lui come noi il deserto con tutte le tentazioni e dopo questo inizia il suo annuncio che il tempo è finito, il Regno di Dio è qui, basta convertirsi e credere al Vangelo.
Che cos’è il Vangelo? Allora inizia il Vangelo. Non è un’idea. È Gesù che chiama delle persone a seguirlo. Il Vangelo è Lui. E seguendo Gesù capita che, se ascolti la Parola, sei liberato dallo spirito del male (esorcismo) e come la suocera di Pietro, tu risorgi dalla morte, dall’egoismo, dalla febbre che ti schiavizza e ti fa schiavizzare gli altri, e cominci a servire cioè ad amare. Ed è il programma di tutta la vita di Gesù: liberarci dal male per renderci liberi per il bene che è amare e servire.
Dopo la sera, finito il primo giorno, Gesù fa tanti miracoli. Tutti li cercano e Gesù scompare e dice “Per questo io sono uscito”, per andare altrove e oggi vediamo dove arriva Gesù andando altrove.
Il testo di questa sera, chiude il capitolo primo e subito dopo inizia la serie di cinque dispute, di cinque polemiche che Gesù ha contro la Legge e il Vangelo finirà con cinque polemiche contro il potere.
Dico qualcosa sulla Legge e poi entriamo nel testo. La legge, se è sbagliata approva chi fa il male, ma se è giusta condanna chi fa il male. Paolo addirittura aggiunge che la Legge non solo condanna, ma serve per trasgredire, perché il male vorremmo farlo e se non c’è la Legge non so come farlo: una volta fatta la legge trovato l’inganno, so come trasgredire finalmente.
Paolo dice che la Legge non solo ti accusa del male, ma ti mette in prigione, ti punisce, è il carcere. E dice anche che è il pedagogo, cioè quello che bastonava l’alunno che non imparava e lo portava dal maestro. La legge non ti insegna, ti bastona.
Il Vangelo è un’altra cosa, è la liberazione dalla legge e vediamo come. Ci sono 5 polemiche e qui comincia la prima con l’immagine del lebbroso.
40 E viene a lui un lebbroso invocandolo e cadendo in ginocchio e dicendogli: Se vuoi, puoi mondarmi! 41 E, commosso, tendendo la mano lo toccò e gli dice: Voglio! Sii mondato! 42 E subito se ne andò da lui la lebbra e fu mondato. 43 E, sbuffando con lui, lo mandò subito via, 44 e gli dice: Guarda di non dir nulla a nessuno; ma va’, mostrati al sacerdote e offri per la tua purificazione ciò che Mosè prescrisse in testimonianza per loro. 45 Ma egli, uscito, cominciò a proclamare molto e a diffondere la Parola, così che lui non poteva più entrare in città apertamente; ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
Questa scena del lebbroso mondato è il punto di arrivo di tutto il primo capitolo del Vangelo di Marco. Se noi ascoltiamo la Parola di Gesù e guariamo dallo spirito del male e abbiamo la capacità di servire, finalmente la nostra vita è libera dalla lebbra.
La lebbra è la morte visibile, e la morte è il nostro egoismo, il nostro non sapere amare che dà morte agli altri. Il lebbroso era il morto civile, escluso da tutti, perché era “morto” e la legge esclude ciò che è morto.
Questo testo è pieno di trasgressioni:
- il lebbroso va dal Signore: il lebbroso non può andare da nessuno, l’unica legge che deve osservare è separarsi, essere escluso, quindi deve autoescludersi.
- Gesù trasgredisce la legge: lo tocca, non si può toccare il lebbroso, perché ti contamina
- Gesù gli dice di non dire a nessuno e il lebbroso si mette ad annunciare.
- un testo pieno di trasgressioni. Tenete presente che l’uomo
- un animale che necessariamente trasgredisce perché siamo limitati, però coscienti del limite; posso allora gestire il mio limite come voglio.
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Io posso trasgredire facendo del mio limite il luogo di contatto con l’altro, di comunione e allora il mio limite è il luogo divino oppure faccio del mio limite il luogo di difesa e di aggressione e allora diventa il luogo diabolico e di esclusione.
La legge in qualche modo è diabolica perché separa giusti e peccatori, il mio dal tuo. Invece il Vangelo non separa, non giudica, non condanna, ma mette in comunione e questa è la vita perché se separi la testa dalle spalle il risultato di questa mancanza di comunione è che sei morto, se invece resta unita sei vivo. Così il Vangelo che è vivere il limite come comunione, è vita.
40 E viene a lui un lebbroso invocandolo e cadendo in ginocchio e dicendogli: Se vuoi, puoi mondarmi!
Il primo aspetto è l’iniziativa che prende questo lebbroso, ma se ricordiamo com’era finito il brano precedente, con Gesù che non si lascia trattenere da Simone e dagli altri, e dice di andare anche altrove “perché per questo è stato mandato”, si riesce ad intuire che quello che avviene, il fatto che questo lebbroso possa prendere l’iniziativa, è grazie a Gesù che si è mosso, come se l’avvicinarsi da parte del lebbroso sia una risposta a questo Gesù che sta andando incontro ad ogni persona.
C’è un’iniziativa del Signore, a cui risponde questa iniziativa del lebbroso, che va a Lui, contraddicendo quella che è la Legge, perché avrebbe dovuto evitare ogni contatto, anzi doveva mettere in allarme coloro che magari inavvertitamente si avvicinavano, il lebbroso, infatti, doveva gridare “immondo, immondo”, proprio per evitare ogni contatto.
Invece quello che avviene qui è il contrario.
Va da Gesù: è un modo per dirci che da solo non ce la fa ad uscire da quella situazione. L’immagine di questo lebbroso indica che anche per quella persona vale quello che il libro della Genesi dice:
“Non è bene che l’uomo sia solo”.
C’è un desiderio di comunione molto forte. Se prima si diceva che contraddice la Legge per questo, c’è allora qualcosa che è ancora più forte della Legge, vuol dire che la Legge non è la sola.
Pensavo a questo lebbroso che va da Gesù e non potrebbe.
Noi pensiamo che raggiungo Dio perché sono bravo, vado a Messa, faccio tutto regolare, vado alla Lectio, e mi sento il diritto di accostarmi a Lui. Gli unici che si avvicinano a Gesù, invece, sono il lebbroso, che non può, la donna, che non può (ricordate l’emorroissa al cap.5 e non potrebbe toccarla altrimenti resta immondo), il nostro diritto per toccarlo è il nostro bisogno, non la nostra bravura, come il diritto della cura della madre ce l’ha il bisogno del figlio, non il suo star bene ed essere autosufficiente. C’è una falsa immagine di un Dio che possa entrare in comunione proprio nella sommità del mio spirito, della mia anima dove raggiungo l’apice della mia perfezione. No, non è lì che tocchi Dio, ma è nell’abisso della mia miseria, nel mio essere peccatore che sperimento la grazia, il perdono, la salvezza.
Come se questa immagine del lebbroso rappresenti tutte quelle forme con cui noi non ci riteniamo degni di essere incontrati. Nel secondo Libro dei Re troviamo la storia di Naaman il Siro, un capo dell’esercito, molto famoso perché aveva fatto molte conquiste però finisce “ma era lebbroso”, come dire io posso essere un grande davanti a tutte le persone ma c’è un aspetto, dentro di me, che io conosco bene e che quasi allontana me da me stesso, prima ancora di separarmi dagli altri mi separa da me.
La lebbra può diventare anche qualcosa che rappresenta questa fatica che facciamo ad accettare delle parti di noi, è quasi un dire “io non posso essere avvicinato”, non merito di essere avvicinato, in un certo modo sono un fallito.
Quello che sembra allontanarci dagli altri qui diventa ciò che rende possibile l’incontro con Gesù. Questa persona sa che per avvicinarsi a Gesù non ha bisogno di nient’altro che di conoscere la propria verità, non ne ha paura. Il primo contatto, la prima comunione avviene con se stesso, accettando la propria condizione.
La particolarità di questo lebbroso, che trasgredisce la Legge, è che non si riconcilia con la sua lebbra, non la vuole. Il nostro male invece noi lo coccoliamo e lo usiamo come strumento per autoescluderci e quindi per metterci al centro come autoesclusi. Mentre il lebbroso ha il desiderio di vita.
Questi racconti di miracoli nel Vangelo, sono fatti perché interessa guarire quelle lebbre che sono le esclusioni e ogni cosa che escludi è morta, ti cadono i pezzi, cioè quella morte interiore dovuta alla separazione, all’esclusione che noi abbiamo oltre che con gli altri addirittura con noi stessi. Serve per liberare tutti quei desideri positivi sui quali si imbastisce la vita perché nella vita o noi realizziamo le nostre paure o realizziamo i nostri desideri. Le paure sono il male e le realizziamo per paura, i desideri sono il bene e quasi non ci crediamo e il Vangelo invece ci dice “No, è possibile anche guarire dalla lebbra”, è possibile guarire anche dall’egoismo, anche dalla morte che ci portiamo dentro.
E questa possibilità, per questa persona, si avvera nell’incontro con Gesù, già questa comunione diventa il principio della guarigione dove la solitudine di questa persona viene vinta in radice e questa persona, nella preghiera, dà voce al proprio desiderio di vita, più forte di ogni rispetto della Legge. Si va da Gesù con quello che si è, ma anche col proprio desiderio di vita. Allora “Se vuoi puoi mondarmi” dice dalla parte del lebbroso il desiderio di essere guarito, il desiderio di uscire da questa condizione, il desiderio di creare comunione.
A volte i desideri rimangono lontani da noi? Bene, ci avviciniamo a Gesù con questo. Nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 5 Gesù chiede a una persona che si lamentava della propria condizione “Vuoi guarire?”. Questa è la domanda decisiva che mette a contatto la persona col proprio desiderio.
- come se questa persona dicesse subito che vuole guarire e chiedesse a Gesù di far proprio questo desiderio e riconosce in Gesù la possibilità di vincere la sua lebbra.
Tra l’altro questa domanda “Se vuoi puoi guarirmi dalla lebbra” è la stessa che Naam il siro fa al re d’Israele dicendo “C’è tra di voi uno che guarisce dalla lebbra?” e il re risponde “Tu stai cercando un pretesto per attaccarmi e uccidermi, perché solo Dio può guarire dalla lebbra”, per dire che è un desiderio impossibile ed
è proprio quel desiderio impossibile di una vita bella su cui si fonda il Vangelo, perché Dio ci ha fatti per quello, altrimenti perché lo desideri? Il sasso non desidera mangiare la pastasciutta, non gli serve! I nostri desideri più profondi sono la nostra verità più profonda di una vita libera da questa lebbra “Se vuoi puoi”.
Noi vogliamo tante cose ma non possiamo, quando possiamo non le vogliamo.
E Gesù vuole e può, il problema è se noi vogliamo, perché Lui non può far nulla se noi non lo vogliamo.
Diventa la richiesta di un dono, non la pretesa di qualcosa, ma insieme diventa anche il modo con cui il Vangelo ci dice che questa persona sa ciò che vuole, è in grado di esprimere il proprio desiderio di vita e di esprimerlo davanti a Gesù.
Sapere ciò che si vuole è la prima cosa. Nessuno è tanto perduto quanto colui che non sa dove si trova e dove andare.
41 E, commosso, tendendo la mano lo toccò e gli dice: Voglio! Sii mondato!
Questa è la risposta di Gesù all’invocazione da parte di questo uomo e il primo aspetto che viene messo in evidenza di Gesù è la sua reazione, prima di far vedere che cosa fa.
Viene detto che Gesù è commosso, qualcosa delle viscere, come si leggeva anche nel Cantico di Isaia, ma questo fatto dice della cura di Gesù nei riguardi dell’altra persona.
La prima cosa che Gesù fa non è tanto il guarire immediatamente, invece, l’attenzione di Gesù si porta verso la situazione di quella persona. E questo accadrà anche in altri brani del Vangelo: Gesù non è indifferente rispetto alla situazione delle persone, si lascia colpire dalla situazione delle persone, dalla fatica di vivere e dal desiderio di vita delle persone. Queste sono le cose che vengono descritte e colpiscono di Gesù.
Gesù sente il male dell’altro e per questo lo può guarire. Il principio dell’azione è la compassione, cioè senti il suo male come tuo, allora non lo vuoi. Non è l’onnipotenza che ci salva ma la compassione, il fatto che Lui sente lo stesso male e ci guarirà con la compassione della croce e la parola compassione, in greco, è il muoversi delle viscere materne ed è importante che non dice “commosso” ma “arrabbiatosi”, perché Dio col male si arrabbia e quando Dio si arrabbia va bene a noi! Si arrabbia davanti all’esclusione di questa persona, che è il vero male e probabilmente il testo originale è che “si arrabbia”, ma non con le persone, con il male, mentre a noi il male non da fastidio, anzi lo facciamo. Semmai ci arrabbiamo con gli altri perché anche loro fanno il male come noi.
Questa commozione che è insieme anche ira contro il male, non è la rassegnazione “Non c’è nulla da fare”, no, lo colpisce a fondo e reagisce e poi tende la mano.
Questa mano che Gesù tende, come se dalla commozione, cioè da quello che Gesù sente, cominciasse ad uscire, ad andare incontro a questa persona con il gesto col quale si dice che il Signore ha liberato Israele dall’Egitto, col gesto dell’Esodo: è il Signore che tende la mano, che non ha paura di andare incontro a questa persona e va fino in fondo perché si dice “tendendo la mano, lo toccò”.
Questa è un’altra delle trasgressioni ed è qualcosa di inaspettato, perché qui siamo in presenza di un’altra persona, non solo del lebbroso che si avvicina trasgredendo la Legge, ma di Gesù che toccando il lebbroso contrae la lebbra. Davvero la malattia di questa persona diventa il luogo di incontro, addirittura lì, dove in un certo senso neanche noi siamo riconciliati con noi stessi, avviene questa accoglienza da parte del Signore, senza nessuna paura.
Potremmo dire che quello che a Gesù interessa primariamente non è il rispetto della Legge, è il fatto che la persona viva. Allora o la Legge è a servizio della vita della persona o non ha significato.
Tutt’al più la Legge ha il significato per la diagnosi”stai proprio male”, il tocco è invece la terapia, la cura.
La mano è il segno del potere, il vero potere nasce da questa compassione e da questa compassione nasce la mano che si tende, che è il potere di Dio.
E tocca! E il toccare, fra l’altro, è la prima azione del bambino.
Il toccare è comunione, è la prima forma di conoscenza, la fondamentale e a differenza di tutti gli altri sensi, dove io vedo senza esser visto, ascolto, odoro, gusto senza necessità di contatto. Il tatto è l’unico senso reciproco, solo il toccare perché il calpestare non è reciproco, se mi calpesta io sento il male e l’altro no.
Il toccare è proprio uno scambio, è la comunione.
In Marco la parola toccare è la fede, proprio questa comunione reale. Non è un’idea il toccare e c’è quel tocco interiore: e noi agiamo in base a quello che ci tocca dentro, che muove la nostra compassione.
È come se attraverso questo toccare ciò che era il luogo principe della separazione come la lebbra, diventa la possibilità della comunione. Questo fatto dovrebbe forse chiarirci sulle nostre condizioni di possibilità della comunione.
Per noi quali sono le condizioni di possibilità della comunione?
A volte abbiamo dentro di noi la richiesta che le persone siano in un certo modo per fondare la possibilità della comunione. Qui c’è la possibilità della comunione che nasce dal limite della persona, non dalle qualità della persona, anzi a volte nella Bibbia addirittura quando le persone hanno troppe ricchezze, troppe qualità si separano (Abramo e Lot, per esempio). Ma quando si comincia a costruire una comunione a partire da quella che è una realtà anche di fragilità, allora forse si può costruire qualcosa, perché se viene accolta la mia fragilità, perché non posso accogliere la fragilità dell’altro? C’è un modo di costruire delle relazioni che sembra essere fragile, ma in realtà è molto forte e si capisce che, avendo questa pietra angolare da cui si può andare, allora è possibile la costruzione. In un modo però, che viene ribaltato.
Quello che Gesù dice, in risposta al lebbroso “Se vuoi puoi mondarmi”, è decisivo: “Voglio”. Dovremmo tenere presente questa affermazione di Gesù, quando pensiamo al Signore, il Signore è un interessato, è uno che desidera che io viva, che io guarisca. Questo è il primo desiderio del Signore, che io viva, non che io rispetti o no il comando che mi dice di stare a distanza.
L’immagine che esce da questa parola “Voglio”, non è quella del Dio giudice, che mi dice stai a distanza, non avvicinarti, non sei degno, hai la lebbra. No, “Voglio!” Tu hai chiesto “se vuoi”, io ti dico
“Voglio, voglio che tu viva”.
Da qui inizieranno le polemiche perché va con i peccatori e dice “Sono venuto apposta per questo! I sani non hanno bisogno del medico ma i malati”.
Ancora un passo indietro, quando parlavi della comunione nel limite, cosa diciamo noi prima di fare la comunione normalmente
“Signore non sono degno” e se non sei degno perché vai? Appunto perché non sei degno! Se fossi degno non è comunione col Signore, è comunione col mio IO che è bravo e perfetto e va a ricevere il suo salario, non l’amore del Signore, paghi l’amore. Capite perché il Signore viene per i peccatori e non per i giusti. I giusti lo meritano, cioè lo trattano da prostituta, pagano il suo amore, il peccatore dice “ne ho proprio bisogno e non ho da pagarti neanche se volessi”. Gesù non vuole essere pagato!
E questo “Lo voglio”, è una volontà chiara e serve a liberare i nostri desideri perché peggio che guarire dalla lebbra non si può! Chi guarda qualche volta se stesso o gli altri con occhio giudicante, vede che di lebbra c’è né tanta in giro, di esclusioni, di parti non accettate o rimosse e di persone, di nazioni intere.
“Voglio”, e il mezzo per uscire è il desiderio nostro, che si incontra però anche con questa compassione che diventa mano e tocco e comunione.
42 E subito se ne andò da lui la lebbra e fu mondato. 43 E, sbuffando con lui, lo mandò subito via, 44 e gli dice: Guarda di non dir nulla a nessuno; ma va’, mostrati al sacerdote e offri per la tua purificazione ciò che Mosè prescrisse in testimonianza per loro.
C’è un “subito” tra la parola di Gesù e la lebbra che se ne va, si realizza il desiderio.
Il desiderio di vita di questa persona viene raccolto dal Signore, si compie già il miracolo: la lebbra se ne va. Quello che questa persona ha messo in moto, visto il risultato, era qualcosa di vero, di autentico, addirittura secondo la volontà del Signore.
“Subito”. C’è una sintonia immediata, si incontrano questi due desideri da parte del lebbroso e da parte di Gesù.
Da parte di Gesù, poi, il mandar via questa persona, “sbuffando con lui”, lo allontana. La guarigione che viene operata non significa una dipendenza.
Questa persona che si allontana indica che è stata davvero guarita, come non c’era nessun “interesse del Signore”, il desiderio che l’altro viva porta a lasciare andare via quella persona, a non trattenerla, come leggevamo anche nel Cantico di Isaia quel comando pasquale dell’Esodo, uscite, venite fuori, è l’immagine della nascita o della rinascita. Coloro che desiderano che noi viviamo ci lasciano andare altrimenti non possiamo mai nascere.
Tornerei su questo “sbuffare” (proprio come quello del cavallo), Gesù supponeva che lui fosse così grato che si sarebbe appiccicato addosso e non avrebbe più vissuto, perché la dipendenza è una lebbra ancora peggiore. Gesù dice “Vai e non dirlo a nessuno”, frase che costantemente tornerà perché Gesù non cerca propaganda.
Un’altra dimensione del “non dirlo a nessuno” è che immancabilmente chi ha sperimentato il miracolo trasgredisce l’ordine.
E allora perché Gesù sempre lo dice e l’evangelista sempre lo nota? Lo dice per il lettore, non per noi, “non dirlo a nessuno”, non ha ancora capito ma tu vuoi essere guarito! Quando sarai guarito vedrai che testimonierai qualcos’altro.
Il fatto che dica “non dire nulla a nessuno ma va mostrati al sacerdote”, sta a dire che non c’è bisogno di dire chissà quali cose, ma basta che vai. Non solo, andando così obbedisce alla Legge, “quello che Mosè ha prescritto in testimonianza per loro”, quasi che anche loro, che tutti ci possiamo rendere conto che è avvenuto qualcosa di impossibile a prima vista. Allora è possibile vedendo questo, capire che è possibile anche per noi guarire dalla lebbra.
“In testimonianza per loro” significa offrire questa possibilità a tutti nella misura in cui ci riconosciamo, ci identifichiamo con questo lebbroso, se ci rendiamo conto che quel lebbroso rappresenta la nostra lebbra, le nostre malattie, ciò che ci separa continuamente, altrimenti rimane lui da solo.
Credo che riusciamo a identificarci col lebbroso, in quelle divisioni interne e le esclusioni, ma dobbiamo farlo anche con il lebbroso che dice “Se vuoi puoi guarirmi. Io voglio”, c’è quel desiderio di vita, perché Gesù dice “lo voglio”.
45 Ma egli, uscito, cominciò a proclamare molto e a diffondere la Parola, così che lui non poteva più entrare in città apertamente; ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
Anche il lebbroso esce e disobbedisce a quello che Gesù aveva detto “Non dire nulla”, ma “comincia proclamare molto e a diffondere la Parola”.
E chi proclamava finora? Gesù.
Qui il lebbroso diventa l’annunciatore, colui che annuncia la Parola, termine che Marco userà anche altrove per indicare il centro dell’annuncio dell’Evangelo, il mistero pasquale di Gesù. Questo lebbroso diventa colui che annuncia come prima proclamava Gesù, diventa Gesù. E Gesù diventa questo lebbroso.
Lui è un morto risorto.
Mentre Gesù non può più entrare in città ma se ne sta fuori, in luoghi deserti, cioè nella condizione del lebbroso, di colui che non può entrare in città, che deve abitare in luoghi deserti, lontano. C’è un’inversione.
Questo brano iniziava “Venne a Lui un lebbroso” e termina dicendo “venivano a lui da ogni parte”, è questo lebbroso, che è Gesù che diventa il centro.
Prima il lebbroso era colui da cui tutti si allontanavano e dovevano essere tenuti a distanza, adesso è Gesù che toccando il lebbroso è diventato egli stesso lebbroso, diventa un centro di attrazione. “Vengono da ogni parte”, come diceva il Cantico di Isaia.
Allora la possibilità di creare comunione, di unificare la persona e le persone deriva da questo Gesù.
Non è più una condizione vissuta nel lamento su se stessi, ma nella possibilità di creare relazione, non si scappa da questo lebbroso, anzi un lebbroso così attrae, perché assume su di sé la nostra lebbra e ci guarisce.
Di questo testo:
- il primo scopo è quello di mostrarci cosa capita se siamo liberi dal male, liberi per il bene: scompare la lebbra, cioè la morte. Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli.
- Il secondo scopo è di suscitare questo desiderio di impossibile per cui siamo fatti, siamo fatti per i desideri buoni e più è grande, più è vero.
- E ancora di più il desiderio è qualcosa che non fa nulla eppure accoglie tutto, quindi è più forte: con ogni mia azione potrà far qualcosa, ma una persona io non la posso fare o la accolgo o non la accolgo, Dio non lo posso fare: o lo accolgo o non lo accolgo.
Le cose fondamentali sono da accogliere non da fare!
Qui è importante il desiderio. Noi in genere abbiamo desideri bassi, desideriamo le cosucce che possiamo comprare o fare.
Penso sia un modo per dirci che Gesù è colui che educa il nostro desiderio, nel senso che proprio vuole che lo esprimiamo, che tiriamo fuori questo desiderio, che ci lasciamo guidare da questo desiderio senza averne paura. La nuova città diventa il deserto, “in luoghi deserti vengono da ogni parte”, come dire che la nuova città viene fondata solamente sulla relazione tra le persone e non sulle cose. Nel deserto non c’è niente, ma ci può essere l’essenziale.
Il testo ha suggestioni infinite ed apre alle polemiche tra Legge e Vangelo ed è una polemica interna a noi perché sentiamo il nostro male che ci blocca e ci condanna eppure il desiderio di vita vuole il contrario.
Spunti di riflessione
- Perché, trasgredendo la legge, il lebbroso va da Gesù e Gesù lo tocca?
- Cosa significa toccare ed essere toccati da Gesù proprio nel nostro male, che ci chiude in solitudine?