Commento al Vangelo del 10 Ottobre 2018 – Monastero di Bose

“Preghiera del Signore”: così è stato chiamato il Padre nostro. È “preghiera del Signore” perché insegnata da Gesù, su esplicita richiesta dei discepoli: “Signore, insegnaci a pregare”. Erano colpiti dal posto che la preghiera occupava nella vita del loro Maestro, il quale intervallava il ministero pubblico con frequenti “ritiri”, in disparte, da solo, preferibilmente di notte o al mattino presto. È l’esempio di Gesù che fa nascere in loro il desiderio di imparare a pregare, di accedere a quella sua dimensione misteriosa, e nel contempo di apprendere uno stile di preghiera che li caratterizzi rispetto al modo di pregare di altri gruppi e degli stessi discepoli del Battista.

È “preghiera del Signore”, dunque, soprattutto perché ci consegna il modo di pregare di Gesù. Gesù infatti insegna ciò che luistesso vive, in un rapporto personalissimo con Dio, a cui si rivolge chiamandolo “Padre”, proprio perché tutta la sua vita è sotto il segno della filialità. Il “Pater”è la preghiera del Figlio che diventa la preghiera dei figli, la nostra, e ripeterla significa entrare nel rapporto di amore che Gesù intrattiene con il Padre, significa entrare nella vita stessa di Dio!

Luca ci trasmette una versione abbreviata (cinque richieste, anziché sette) rispetto a quella di Matteo, che è stata privilegiata nell’uso liturgico della chiesa. Le richieste sono aperte dall’invocazione: “Padre!”, ed è proprio questo appellativo che conferisce una qualità unica al pregare di Gesù. Significativamente, così iniziano tutte le preghiere di Gesù riportate dai vangeli. Particolarmente eloquente è quella riportata da Marco 14,36. Nell’ora drammatica del Getsemani, Gesù si rivolge a Dio con l’invocazione: “Abba! Padre!”, affidando a lui la propria angoscia, con un atto di pieno abbandono, fiducioso, filiale (abba = papà!). Così prega Gesù, e con il “Pater” non fa che insegnare a noi suoi discepoli il suo stesso modo di pregare.

Perché insegnare? Perché noi siamo abitati da tanti bisogni, da tante richieste, a volte anche da qualche pretesa, e dobbiamo imparare a portare nella preghiera anzitutto ciò che è gradito a Dio, ciò che è buono ai suoi occhi, ciò che sta nello spazio della sua volontà. Ecco, il “Pater” ci è dato come “canone”, come regola per discernere i veri bisogni. Certo, tutto noi possiamo chiedere a Dio, ma questa preghiera ci insegna a sintonizzare i nostri desideri con il desiderio di Dio.

Cinque richieste vengono formulate, le prime due a favore di Dio. Chiediamo anzitutto che sia santificato il suo nome e che venga il suo Regno. Sono azioni che spettano a lui, ma che ci chiamano in causa, eccome: significa ricercare il primato di Dio nella nostra vita, lasciando trasparire la sua santità attraverso una vita santa, bella, e fare spazio al Regno, facendo regnare Dio in noi e tra di noi.

E poi tre richieste a nostro favore, indispensabili per il nostro vivere: il pane quotidiano, il perdono (altrettanto quotidiano!), e il non essere abbandonati alla tentazione. Se tutte le richieste contenute nel “Pater” ci coinvolgono, quella del perdono più di tutte. In quanto peccatori sempre perdonati, siamo chiamati a perdonare a nostra volta, “fino a settanta volte sette” (Mt 18,22). Sempre!

fratel Valerio della comunità monastica di Bose

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Lc 11, 1-4
Dal Vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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