«La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! … La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» (Benedetto XVI): è per penetrare un po’ di più il mistero insondabile di questo Amore di Dio rivelato in Gesù di Nazaret che ci viene donato ancora il tempo prezioso della Quaresima. Considerato fin dall’antichità il tempo della penitenza e della purificazione, è per eccellenza il tempo della contemplazione, il tempo che la Madre Chiesa ci dona per poter entrare nel deserto della rivelazione di un Dio che ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio.
Proponendoci i tre pilastri fondamentali dell’ascesi cristiana: la preghiera, il digiuno, la penitenza, la liturgia ci conduce nel viaggio verso il sacrario del nostro cuore, in quella settima stanza dove s. Teresa di Gesù riconosce il luogo dell’intimità con Dio, l’unico luogo dal quale il mistero pasquale rivela tutta la potenza di grazia che dal fianco squarciato di Cristo raggiunge ogni uomo di ogni tempo e di ogni luogo.
Vista in questa luce, la Quaresima diviene il tempo in cui la Parola seminata abbondantemente nei nostri cuori per mezzo dei ricchissimi testi liturgici, accresce sempre di più il desiderio di contemplare la bellezza del volto di Dio che in Gesù crocifisso e risorto si mostra finalmente al mondo. Ed è proprio il desiderio del volto di Dio che fa spazio nel nostro cuore, che ci spinge a togliere tutto ciò che ostruisce la possibilità di vedere e che infonde il coraggio necessario per abbandonare finalmente il peccato che ci assedia e ci impedisce di assaporare la gioia della Pasqua.
Il tempo quaresimale è dunque un tempo favorevole per ricollocarsi, per riprendere in mano la relazione vitale con Dio e con i fratelli e riassaporare con sempre maggior intensità l’enorme dignità alla quale siamo stati elevati per un dono sovrabbondante di grazia. La Quaresima è infine il tempo in cui possiamo contemplare un miracolo grande «Gesù, che non si lascia impressionare dai miei difetti, non ha paura dei miei peccati, ma mi affida il Vangelo e proprio là dove mi ero fermato, mi fa ripartire» (E. Ronchi). Dio, l’Onnipotente, Dio, il Creatore, i cui lembi del manto riempiono il tempio, che tutto può con il soffio della sua bocca, sceglie di amare l’uomo, sceglie di amare me, di amare te e non si spaventa dei difetti, dei peccati, delle trasgressioni, degli adulteri, anzi li prende su di se, dandoci la possibilità di ripartire con tutto lo slancio di un amore ritrovato.
Con l’ardore di chi sa che l’attende un tesoro immenso, accingiamoci a scavare il terreno della nostra vita. Invochiamo la rugiada dello Spirito Santo, perché domenica dopo domenica, ammorbidisca il nostro terreno, mostri le pietre da togliere e indichi il luogo dove il tesoro è sepolto, per poter gioire del dono ritrovato nella grande notte di veglia della Pasqua.
La liturgia della prima domenica di Quaresima di questo Anno C che stiamo meditando, ci mostra una cornice, quella della prima lettura tratta dal libro del Deuteronomio e la seconda tratta dalla lettera di S. Paolo ai Romani, che prepara lo splendore del quadro e che oggi ci indica uno dei grandi momenti della vita di Gesù e del cristiano, le tentazioni nel deserto.
Le letture, infatti, ci mostrano quali radici ha la nostra fede, da dove parte e fin dove giunge, ma è il Vangelo che ci rivela in tutta la sua forza come poter dire con la nostra vita la fede che professiamo con le labbra. In Gesù, che è tentato dal demonio ci viene indicato lo specchio in cui riconoscerci, le pietre che il maligno mette sul nostro cammino e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio che è capace di spegnere tutti i suoi dardi infuocati.
Le tentazioni viste in questa luce diventano allora il prototipo di ogni combattimento contro il male che ciascuno di noi, quotidianamente è chiamato a ingaggiare, nel quale sappiamo di non essere soli, ma di avere dalla nostra il Figlio stesso di Dio che intanto ha accettato di essere tentato, in quanto io potessi seguirne l’esempio.
Sostiamo allora con fiducia su questa Parola che in questa domenica ci è donata per porre un primo tassello verso il desiderato volto del Padre.
v.1: Il racconto delle tentazioni è davvero una miniera dove più si scava e più si trovano pietre preziose e già la lettura di questo versetto lo evidenzia bene. Gesù ha appena ricevuto il battesimo, ha appena goduto della voce del Padre che lo chiama Figlio amato e ha gioito, come chi si sente dire “ti voglio bene” dalla persona che ama.
Ancora ricolmo della forza di questa esperienza, Gesù si lascia condurre dallo Spirito e tentare dal diavolo nel deserto e ancora una volta il suo comportamento diventa sconvolgente per ogni logica umana. È appena stato proclamato Figlio di Dio e il suo primo atto è non solo la sottomissione e docilità alle indicazioni dello Spirito, ma anche la disponibilità a lasciarsi tentare da Satana. Di certo non è un caso che questo avvenga subito dopo la teofania del battesimo! Gesù accetta di seguire lo Spirito e di essere tentato da Satana perché è la condizione quotidiana della nostra vita dopo il battesimo. Anche noi, come Lui, dopo essere stati immersi nelle acque della redenzione ed esserne usciti liberati dalla corruzione del peccato, siamo guidati dallo Spirito, ma continuamente soggetti alle insidie del male.
Anche l’indicazione del deserto e dei quaranta giorni ci pongono di fronte alla realtà della nostra esistenza che si muove in un mondo che ha i connotati tipici del deserto: la lotta contro il male nelle sue svariate forme, la solitudine abitata che consente un contatto profondo con se stessi e con Dio che vi abita. E nei quaranta giorni, numero indicato molto spesso nella Sacra Scrittura, c’è l’allusione a tutta la vita, che sarà sempre caratterizzata, fino all’incontro definitivo con il Signore tanto cercato, dalla lotta contro il male e da questa solitudine abitata. Dunque: ad essere tentato è Gesù, ma in Lui c’è il quotidiano buon combattimento che ciascuno di noi è chiamato a sostenere.
v.3: La descrizione delle tentazioni è riportata soltanto dagli evangelisti Luca e Matteo e non da Marco. È dai loro testi che possiamo trarre lo specifico delle tentazioni che Gesù ha vissuto e che per noi rappresentano un patrimonio inestimabile, in quanto gettano una luce intensa sul nostro cammino spirituale. Sia Matteo sia Luca pongono come prima tentazione quella del pane, indicandoci un criterio molto importante. Gesù ha fatto digiuno per quaranta giorni e poi ha avuto fame: è il suo punto debole!
Il maligno non lo tenta su discorsi teologici, ma facendo leva sul bisogno che ha in quel momento e questo è anche il modo con cui egli si accosta a noi. Il suo agire è lento, è come un attento investigatore che scruta con meticolosità il bersaglio per colpire nella certezza di centrarlo. Solo quando ha individuato il tallone di Achille, allora colpisce articolando la tentazione in modo davvero magistrale.
Gesù aveva custodito per lungo tempo la voce del Padre che gli rivelava la sua identità e in quella voce aveva dimorato, riassaporando la bellezza dell’essere amato. Il lavoro del maligno è di rubare la Parola seminata nel cuore e dunque insinua la necessità di dimostrare questa identità che il Padre ha rivelato: «Ma è proprio vero che sei Figlio di Dio? Dimostralo…».
La proposta che il maligno fa è ragionevole: l’essere figli di Dio concede le stesse prerogative di Dio e dunque se Gesù lo è può fare tutto quello che Dio fa, per il proprio bisogno. Ma è proprio qui la pietra di inciampo: la tentazione è nell’impostazione della propria vita, è un modo per orientare i criteri della propria esistenza sull’egoismo, sul proprio tornaconto, sul proprio bisogno, considerato come legittimo, sacrosanto. Guardando al nostro mondo, ai discorsi che quotidianamente sentiamo riguardo alla necessità della realizzazione personale a tutti i costi, comprendiamo l’attualità della tentazione a cui Gesù si sottopone. Il mondo ci rimprovera costantemente che se la sequela proposta dal Padre non permette di realizzare se stessi, le proprie aspettative, i propri bisogni, le proprie reali esigenze, non è una sequela che rende felici. Credo che siano nelle nostre orecchie le tante affermazioni di chi ci dice: “Ma chi te lo fa fare? Che cosa ci guadagni a vivere da figlio di Dio?” E nel nostro cuore questo rimprovero assume gli stessi accenti dei giusti che si lamentano davanti a Dio e che affermano: «È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti» (Ml 3,14,15).
v.4: La risposta di Gesù spiazza il maligno, perché sposta il discorso su un altro piano, riportandolo nella giusta dimensione della paternità vera. L’essere figli comporta in primo luogo la dipendenza dalla Parola del Padre. Certo la parola dipendenza, alle orecchie dell’uomo moderno, alle nostre orecchie suona come negazione della libertà e della possibilità di realizzare se stessi, ma la dipendenza che Gesù indica è la dipendenza amorosa, è quella sottomissione che si fonda sulla certezza dell’amore e che intanto è accolta in quanto ci si riconosce amati.
È nell’esperienza comune che quando ci si sente amati si è disposti a fare tutto quello che l’amato dice, nella certezza che lo dica per il nostro vero bene e dunque anche nella relazione di figliolanza divina, la Sua Parola assume una rilevanza più grande dei bisogni contingenti, perché si riconosce più valida, urgente e necessaria per la propria vita, del pane che serve per nutrirla.
L’esortazione che Gesù fa in Lc 12,22ss riguardo alla necessità di fidarci dell’agire di Dio che ci darà tutto quello di cui abbiamo bisogno, diventa per noi un nuovo invito a confidare nella sua parola e a cercare prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto ci sarà dato in aggiunta.
v.5: La seconda tentazione concerne il potere. Il maligno tenta Gesù sui mezzi che può usare per ottenere il Regno, cercando di distoglierlo dalla scelta della croce, «stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio» (1Cor 1,18). È questa la tentazione del nostro secolo, che facendo del suo pensiero un assoluto, ha allontanato il pensiero di Dio.
Per ottenere il potere, inteso non solo come possesso di regni, ma anche come possesso della relazione con gli altri, possesso del loro affetto, della stima, della benevolenza, i mezzi vengono considerati come fine e non più nella loro giusta dimensione. Il maligno tenta Gesù, e in Lui ciascuno di noi, a peccare di idolatria, ad assolutizzare qualunque realtà al di sotto di Dio: la legge, il lavoro, il piacere, il benessere, la libertà e a fare dei mezzi, anche quelli buoni, sacrosanti degli assoluti che invece di condurci alla libertà, rendono schiavi! «Il mezzo, divenuto fine, stravolge ogni cosa nel suo contrario più simile: il vero nell’utile, il giusto nel vantaggioso, il bene nel piacere, il bello nel funzionale, il buono nell’interesse, l’amore nell’egoismo … la vita nella morte. Si può arrivare a porre come fine il nulla: ogni ribellione sembra inutile, il male è necessario e il nulla inevitabile. Al massimo si cerca il minor male. Comunque lo si compie sempre ed esso cresce fino a riempire del suo vuoto ogni spazio di vita» (S. Fausti).
v.8: La risposta di Gesù rimette ogni cosa nel giusto ordine. Solo adorando Dio e la sua volontà sulla nostra vita, possiamo ottenere il potere che desideriamo da sempre. Mi sorprende sempre tanto la risposta di Gesù a Giacomo e Giovanni che gli chiedono di sedere alla destra e alla sinistra nel suo regno. Egli non si scandalizza, non si sdegna e non li rimprovera, semplicemente accoglie il loro desiderio sapendolo lecito e insito nella stessa natura umana, ma lo orienta. È nel Regno del Figlio amato che noi siederemo alla destra e alla sinistra, perché il posto regale lo ha preparato Lui, morendo sulla croce e rendendoci capaci finalmente di entrare nel regno della grazia con le vesti lavate nel suo sangue.
Adorare il maligno allora, perché ci promette di appagare i nostri bassi desideri è la menzogna più stupida e assurda, perché noi siamo fatti per il cielo e abbiamo già il posto che Gesù è andato a prepararci. Ma è anche una delle più insidiose, perché la tentazione di vedere realizzati già qui e a modo nostro tutti i desideri è a volte fortissima. Solo l’adorazione del vero Dio, del Dio rivelato da Gesù che non esita ad entrare in tutte le nostre morti per riportarci al regno che lui ha preparato, ci rende capaci di appagare in pienezza ogni nostra aspettativa … a noi è richiesta niente altro che la fede in LUI!
v.9: Siamo al cuore della tentazione diabolica. I padri della chiesa hanno sempre visto le tentazioni come un crescendo che dalla tentazione che fa leva sui propri bisogni giunge a intaccare la relazione con Dio ed è proprio la tentazione radicale della fede.
Intanto mi piace notare la docilità di Gesù che si lascia portare anche dal maligno: “lo pose…”, quasi come se il tentatore ne avesse piena libertà di “gestirlo”. Il pensiero corre allora al momento più critico della vita del Nazareno, quello che l’evangelista Giovanni indica come l’ora della gloria, l’ora della passione e della croce. Anche lì i vangeli ci ripetono insistentemente che viene consegnato nelle mani di quanti vogliono fargli del male e tuttavia non si oppone, non resiste, non reagisce alla violenza, semplicemente si lascia consegnare ai suoi crocifissori.
Questo aspetto della mansuetudine di Gesù mi sembra davvero un importante tassello per il nostro cristianesimo, chiamato a rispondere ai tanti interrogativi e alle tante sfide del nostro mondo. È vero, il cristiano è tentato dal male, ma l’atteggiamento da adottare non è quello di trincerarsi con mura e baluardi, per impedirgli di entrare e insidiare la nostra vita, bensì quello di custodire con cuore saldo il dono ricevuto nel battesimo e non lasciarsi prendere nella rete delle logiche del male.
Il problema allora non sta nel sentire la voce del male, nel percepire la tentazione, che c’è per Gesù e c’è per noi, fino alla fine della nostra vita, ma è come si risponde alla tentazione. E a sua volta la nostra risposta alla tentazione dipende dal volto di Dio che portiamo nel cuore, perché nella misura in cui ci sentiamo amati dal nostro Dio e ne riconosciamo i segni nella nostra vita, siamo anche capaci di rimanere davvero saldi di fronte agli assalti del maligno.
Mi ha sempre molto colpito il racconto del martirio di s. Lucia, condannata a finire i suoi giorni in un postribolo, nessuno è stato capace di condurla, nemmeno i buoi ai quali era stata legata! Questo racconto che certo ha del mitico, ci richiama però ad una verità incredibilmente reale: quando una persona sperimenta l’amore di Dio e si fida di Lui, nessun male potrà mai avere il potere su di lei, perché il Signore darà ordine ai suoi angeli di custodirla in ogni passo, come canta il salmo 90.
Questa è la tentazione più insidiosa perché in fondo nel nostro cuore rimane quella debolezza di Adamo di voler essere come Dio, che il peccato originale ci ha causato, per cui anche la nostra religiosità corre il rischio di essere uno zuccherino per Dio, per poi costringerlo a fare come la penso io e a mettere sempre e comunque al centro il nostro io famelico.
v.12: Di fronte a quest’ultima provocazione satanica, Gesù risponde con forza, con la stessa forza di Dio. In Matteo Gesù ingiunge a Satana di andarsene e indica come porsi di fronte ai continui attacchi del male: “Vattene, Satana …”. Non c’è spazio per nessun dialogo, non c’è posto per nessuno sforzo di comprendere cosa ci viene chiesto; quando ci accorgiamo che chi ci sta parlando è il male, allora la risposta deve essere pronta e decisa, coraggiosa e ferma, senza possibilità di replica. E questa fermezza ancora una volta è possibile se si è saldamente ancorati alla roccia dell’Amore di Dio, tanto da poter dire “Non tenterai il Signore Dio tuo”. Si, possiamo rispondere con la stessa risposta di Gesù, perché anche noi siamo tempio di Dio e sua dimora, luogo che Lui ha scelto per abitarvi.
Nel deserto della nostra vita ci viene chiesto di imitare Gesù, di mettere le nostre orme sulle sue orme e condurre il buon combattimento della vita con le armi che s. Paolo descrive nella sua lettera agli Efesini, nella quale afferma: «Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. 16Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio». E con questa armatura entriamo nel tempo propizio della Quaresima, con il cuore desideroso di conoscere le meraviglie che il Signore ha preparato per noi.
Appendice
Le tentazioni nel deserto
“Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo” (Lc 4,1-2; Mt 4,1). Conviene ricordare come avvenne che il primo Adamo fu cacciato dal paradiso nel deserto, affinché tu rifletta in qual modo il secondo Adamo dal deserto sia tornato al paradiso.
Osservate come la condanna sia stata revocata, e i benefici di Dio reintegrati nei loro disegni. Adamo fu plasmato con la terra vergine, Cristo è nato da una vergine; quegli fu fatto ad immagine di Dio, questi è la stessa immagine di Dio; quello fu posto al di sopra di tutti gli animali sprovvisti di ragione, questo è al di sopra di tutti i viventi; per mezzo di una donna venne la perdizione, per mezzo di una vergine viene la sapienza la morte per mezzo di un albero, la vita per la croce.
L’uno, spoglio delle cose spirituali, si coprì con le foglie di un albero; l`altro, spoglio delle cose del mondo, non ebbe bisogno del rivestimento corporale. Nel deserto Adamo, nel deserto Cristo; questi infatti sapeva dove poter trovare l’uomo condannato per ricondurlo al paradiso, dopo averne cancellato la colpa. Ma, poiché l`uomo non poteva tornare al paradiso coperto delle spoglie di questo mondo, – e non può essere cittadino del cielo se non chi si è spogliato di ogni colpa, – abbandonò il vecchio uomo, e si rivestì del nuovo, di modo che si avesse più un mutamento di persona che di sentenza, poiché non si possono abrogare i decreti divini.
Colui che nel paradiso, senza guida, smarrì la via assegnatagli, come avrebbe potuto, senza guida, riprendere nel deserto la via smarrita, lì dove le tentazioni sono moltissime, difficile lo sforzo verso la virtù, facile la caduta nell`errore? La virtù è un po` come le piante dei boschi: quando sono ancora basse salgono da terra verso il cielo; quando la loro età cresce nel tenero fogliame, esposte come sono al pericolo di denti crudeli, possono essere facilmente tagliate e inaridite. Ma quando l`albero si sia stabilito su profonde radici, e si erga con l`altezza dei rami, invano sarebbe attaccato dai morsi delle fiere, dalle braccia dei contadini e dal soffio delle procelle.
Quale guida dunque egli avrebbe potuto seguire contro tanti adescamenti di questo mondo, contro tanti inganni del diavolo, sapendo che noi dobbiamo lottare prima di tutto «contro la carne e il sangue», poi contro le “potenze, contro i principi del mondo delle tenebre, e contro gli spiriti del male che circolano nell`aria” (Ef 6,11-12)?
Avrebbe potuto seguire un angelo? Ma l`angelo stesso è caduto; le legioni degli angeli a malapena sono state utili a qualcuno (cf. Mt 26,53; 2Re 6,17-18). Sarebbe potuto essere inviato un serafino? Ma un serafino discese sulla terra in mezzo a un popolo che aveva le labbra immonde (cf. Is 6,6-7), e riuscì soltanto a purificare le labbra di un profeta con un carbone ardente. Si dovette cercare un`altra guida, che tutti quanti noi potessimo seguire.
E chi poteva essere una guida così grande che potesse aiutare tutti, se non colui che è al di sopra di tutti? Chi avrebbe potuto mettersi al di sopra del mondo, se non chi è più grande del mondo? Chi poteva essere una guida così sicura, che potesse condurre nella stessa direzione l’uomo e la donna, il giudeo e il greco, il barbaro e lo scita, il servo e l`uomo libero, se non il solo che è tutto in tutti, cioè il Cristo?
Noi dunque non temiamo le tentazioni, ma piuttosto vantiamocene e diciamo: “E` nella debolezza che siamo potenti” (2Cor 12,10), è allora infatti che viene intrecciata per noi la corona della giustizia (cf. 2Tm 4,8). Ma questa corona di cui si parla è quella adatta a Paolo, mentre noi, dato che vi sono diverse corone, dobbiamo sperare di riceverne una qualsiasi. In questo mondo corona è l`alloro, e corona è lo scudo. Ma ecco, a te viene offerta una corona di delizie, perché “una corona di delizie ti farà ombra” (Pr 8,6); e altrove: “Ti circonderà con lo scudo della sua benevolenza” (Sal 5,13; 90,5); infine, il Signore “ha coronato di gloria e onore colui che amava” (cf. Sal 8,6). Dunque, colui che vuol darci la corona permette anche le prove: se sarai tentato, sappi che egli ti sta preparando la corona. Togli i combattimenti dei martiri, hai tolto le corone; togli i loro tormenti, hai tolto i loro trionfi.
Forse che la tentazione di Giuseppe non è stata la consacrazione della sua virtù (cf. Gen 39,7ss), l`ingiustizia del carcere la corona della sua castità? In qual modo avrebbe potuto ottenere di essere associato in Egitto alla dignità regale, se non fosse stato venduto come schiavo dai suoi fratelli? (cf. Gen 41,43). Egli stesso dimostrò che tutto questo fu voluto da Dio per mettere alla prova il giusto, dicendo: “in modo da far sì che oggi molta gente si salvasse” (Gen 50,20). Non dobbiamo quindi temere come fossero sciagure le prove del mondo, grazie alle quali si preparano per noi le buone ricompense; piuttosto, tenendo conto della condizione umana, dobbiamo chiedere di subire quelle prove che possiamo sopportare. (Ambrogio, In Luc., 4, 7-9.41 s.)
Universalità del corpo di Cristo
“Esaudisci, Dio, la mia supplica; tendi l`orecchio alla mia preghiera” (Sal 60,2). Chi parla? Sembra un individuo. Ma osserva bene se sia davvero uno. Dice: “Dai confini della terra a te ho gridato, nell`angoscia del mio cuore” (Sal 60,3). Non si tratta dunque di un solo individuo (sebbene in Cristo, di cui siamo le membra, noi tutti abbiamo unità). Una persona singola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra grida soltanto quella eredità della quale fu detto al Figlio stesso: “Chiedi a me, e ti darò le genti in tua eredità, e in tuo possesso i confini della terra” (Sal 2,8). È dunque, questo possesso di Cristo, questa eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, questa unica Chiesa di Cristo, questa unità che noi siamo, che grida dai confini della terra. E che cosa grida? Ciò che ho detto prima: “Esaudisci, Dio, la mia supplica tendi l`orecchio alla mia preghiera. Dai confini della terra a te ho gridato” (Sal 60,2-3). Cioè, questo ho gridato a te, dai confini della terra; ossia, da ogni luogo.
Ma perché ho gridato questo? “Mentre il mio cuore era nell`angoscia“. Mostra di trovarsi in grande gloria tra tutte le genti e in tutto il mondo; eppure è in mezzo a grandi prove. Infatti la nostra vita in questo esilio non può essere senza prove, e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può riconoscersi finché non è tentato; allo stesso modo che nessuno potrà essere incoronato se non dopo la vittoria, vittoria che non ci sarebbe se non ci fossero la lotta contro un nemico e le tentazioni. E` pertanto, nell`angoscia quest`uomo che grida dai confini della terra; è nell`angoscia ma non è abbandonato. Poiché il Signore ha voluto darci in antecedenza un`idea della sorte che attende il suo corpo [mistico] che siamo noi, nelle vicende di quel suo corpo col quale egli morì, risorse ed ascese al cielo: in modo che le membra possano avere speranza di giungere là dove il capo le ha precedute. Egli ci ha insegnato a riconoscerci in lui, quando volle essere tentato da satana (cf. Mt 4,1). Leggevamo ora nel Vangelo che il Signore Gesù Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto. Cristo fu certamente tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva presa perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donare a te la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni perché tu avessi da lui la gloria. Cosi, egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne riportassi vittoria. Se in lui noi siamo tentati, in lui noi vinciamo il diavolo. Ti preoccupi perché Cristo sia stato tentato, e non consideri che egli ha vinto? In lui fosti tu ad essere tentato, in lui tu riporti vittoria. Riconoscilo! Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando tu sei tentato. Non c`è, dunque, da stupirsi se, in mezzo alle tentazioni, il salmista grida dai confini della terra. Ma perché non è sconfitto? “Nella pietra mi hai innalzato“. (Agostino, Enarr. in Ps., 60, 2)
Ogni atto di Gesù è compiuto per impulso dello Spirito
“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto” (Mt 4,1), ecc. Il mio Signore, Cristo Gesù, compie tutti i suoi atti ricevendo una direttiva, o una missione, o una chiamata, o un`ingiunzione: non fa nulla da se stesso (cf. Gv 8,28). E` una missione che lo porta nel mondo; è una direttiva che lo guida nel deserto; è una chiamata che lo ha risuscitato dai morti, giusta la parola: “Alzati, mia gloria, svegliatevi, arpa e cetra” (Sal 107,3). Ma quando si tratta della Passione egli si affretta spontaneamente e volontariamente, secondo il vaticinio del Profeta: “Si è offerto perché lo ha voluto” (Is 53,7), e tuttavia, anche in quel caso, si fece obbediente al Padre fino alla morte (cf. Fil 2,8). Dottore e modello di obbedienza, non ha minimamente voluto agire o soffrire al di fuori di essa, una via che nella verità conduce alla vita (cf. Gv 14,6)
“Fu dunque condotto dallo Spirito nel deserto“, o come dice un altro evangelista: “Fu spinto dallo Spirito nel deserto” (Lc 4,1). “Tutti” coloro che sono spinti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio (cf. Rm 8,14). Ma lui, che è Figlio ad un titolo del tutto speciale e con maggiore dignità, è spinto o condotto nel deserto diversamente dagli altri e con più eccellenza: “uscì dal Giordano” – è detto – “pieno di Spirito Santo” (Lc 4,1s); e, immediatamente, fu spinto da lui nel deserto. A tutti gli altri lo Spirito viene dato solo in una certa misura (cf. Gv 3,34); ed è in questa stessa misura che essi sono spinti in tutte le loro azioni. Ma egli ha ricevuto la pienezza della divinità, che si è compiaciuta di abitare corporalmente in lui (cf. Col 2,8): per cui, egli è spinto più poderosamente e vigorosamente ad eseguire gli ordini del Padre. (Isacco di Stella, Sermo 30, 1-2)
Se noi oggi dovessimo scegliere, Gesù di Nazaret, il Figlio di Maria, il Figlio del Padre, avrebbe qualche possibilità? Ma noi conosciamo davvero Gesù? Lo capiamo? Non dobbiamo forse impegnarci a conoscerlo in un modo completamente nuovo, ieri come oggi? Il tentatore non è così rozzo da proporci direttamente di adorare il diavolo. Ci propone soltanto di deciderci per ciò che è razionale, per la priorità di un mondo pianificato e organizzato, in cui Dio, come questione privata, può avere un suo posto, ma non deve interferire nei nostri propositi essenziali. Solov’év attribuisce all’Anticristo un libro, La via aperta alla pace e al benessere del mondo, che diventa per così dire la nuova Bibbia e ha come contenuto essenziale l’adorazione del benessere e della pianificazione razionale.
La terza tentazione di Gesù si rivela così come quella fondamentale — concerne la domanda su che cosa debba fare un salvatore del mondo. Essa pervade tutta la vita di Gesù. In un decisivo punto di svolta del suo cammino essa emerge ancora una volta apertamente. Pietro aveva pronunciato a nome dei discepoli la confessione di fede in Gesù Messia-Cristo, il Figlio del Dio vivente, dando con ciò espressione a quella fede che costruisce la Chiesa e inaugura la nuova comunità di fede fondata su Cristo. Ma proprio in questo momento cruciale, in cui a confronto con «l’opinione della gente» si manifesta la conoscenza distintiva e decisiva di Gesù e comincia così a formarsi la sua nuova famiglia, ecco farsi avanti il tentatore: il pericolo di volgere tutto al contrario. Il Signore spiega subito che il concetto di Messia è da comprendere a partire dal messaggio profetico nella sua interezza: non significa potere mondano, ma la croce e la comunità completa-mente diversa che nasce attraverso la croce. Pietro però non l’aveva inteso in questi termini: «Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”». Solo se leggiamo queste parole sullo sfondo del racconto delle tentazioni, come il loro ritorno nel momento decisivo, comprendiamo la risposta in-credibilmente dura di Gesù: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,22s).
[…] Ma non continuiamo tutti a dire ininterrottamente a Gesù che il suo messaggio porta a contraddire le opinioni predominanti e così rischia l’insuccesso, la sofferenza, la persecuzione? L’impero cristiano o il papato mondano oggi non costituiscono più una tentazione, ma interpretare il cristianesimo come una ricetta per il progresso e riconoscere il comune benessere come il vero scopo di ogni religione e così anche di quella cristiana, questa è la forma nuova della medesima tentazione. Essa appare oggi sotto le vesti della domanda: “Ma che cosa ha portato Gesù, se non ha fatto emergere un mondo migliore? Non deve forse essere questo il contenuto della speranza messianica?”
Nell’Antico Testamento si sovrappongono ancora indistinte due linee di speranza: l’attesa di un mondo sano, in cui il lupo giace accanto all’agnello (cfr. Is 11,6), in cui i popoli del mondo si mettono in cammino verso il monte Sion e per il quale vale la profezia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci» (Is 2,4; Mic 4,1-3). Accanto a questa c’è però la prospettiva del servo di Dio sofferente, di un Messia, che salva attraverso il disprezzo e la sofferenza. Durante tutto il suo cammino e di nuovo nelle conversazioni dopo la Pasqua, Gesù dovette mostrare ai suoi discepoli che Mosè e i Profeti parlavano di Lui, l’esteriormente privo di potere, il sofferente, il crocifisso, il risorto; dovette mostrare che le promesse si compivano proprio così. «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!» (Le 24,25), disse il Signore ai discepoli di Emmaus, e la stessa cosa deve ripetere continuamente anche a noi, nel corso di tutti i secoli, perché anche noi pensiamo sempre che se voleva essere il Messia avrebbe dovuto portare l’età dell’oro.
Ma anche a noi Gesù dice quello che ha obiettato a Satana e quello che ha detto a Pietro e che ha spiegato di nuovo ai discepoli di Emmaus: nessun regno di questo mondo è il regno di Dio, la condizione di salvezza dell’umanità in assoluto. Il regno umano resta regno umano e chi sostiene di poter edificare il mondo salvato asseconda l’inganno di Satana, fa cadere il mondo nelle sue mani. Qui sorge però la grande domanda che ci accompagnerà per tutto questo libro: ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio. Quel Dio, il cui volto si era prima manifestato a poco a poco da Abramo fino alla letteratura sapienziale, passando per Mosè e i Profeti — quel Dio che solo in Israele aveva mostrato il suo volto e che, pur sotto molteplici ombre, era stato onorato nel mondo delle genti — questo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio vero Egli ha portato ai popoli della terra. Ha portato Dio: ora noi conosciamo il suo volto, ora noi possiamo invocarlo. Ora conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro de-stino e la nostra provenienza; la fede, la speranza e l’amore. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco. Si, il potere di Dio nel mondo è silenzioso, ma è il potere vero, duraturo. La causa di Dio sembra trovarsi continuamente come in agonia. Ma si dimostra sempre come ciò che veramente permane e salva. I regni del mondo, che Satana poté allora mostrare al Signore, nel frattempo sono tutti crollati. La loro gloria, la loro dóxa, si è dimostrata apparenza. Ma la gloria di Cristo, la gloria umile e disposta a soffrire, la gloria del suo amore non è tramontata e non tramonta.
Dalla lotta contro Satana Gesù esce vincitore: alla divinizzazione menzognera del potere e del benessere, alla promessa menzognera di un futuro che garantisce tutto a tutti mediante il potere e l’economia, Egli ha contrapposto la natura divina di Dio, Dio quale vero bene dell’uomo. All’invito ad adorare il potere, il Signore oppone con le parole del Deuteronomio, lo stesso libro che aveva citato anche il diavolo: «Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto» (Mt 4,10; cfr. Dt 6,13). Il comandamento fondamentale di Israele è anche il comandamento fondamentale dei cristiani: si deve adorare solo Dio. Vedremo più avanti, quando rifletteremo sul Discorso della montagna, che proprio questo sì incondizionato alla prima tavola del Decalogo include anche il sì alla seconda tavola: il rispetto dell’uomo, l’amore per il prossimo. Come Marco, anche Matteo conclude il racconto della tentazione con le parole: «Ed ecco angeli gli si accostarono e lo servi-vano» (Mt 4,11; Mc 1,13). Ora si compie il Salmo 91,11: gli angeli lo servono. Egli si è rivelato come Figlio e perciò il cielo è aperto sopra di Lui, il nuovo Giacobbe, capostipite di un Israele divenuto universale (cfr. Gv 1,51; Gn 28,12). (da Gesù di Nazaret, di Benedetto XVI)
Cari fratelli e sorelle!
Mercoledì scorso, con il rito penitenziale delle Ceneri, abbiamo iniziato la Quaresima, tempo di rinnovamento spirituale che prepara alla celebrazione annuale della Pasqua. Ma che cosa significa entrare nell’itinerario quaresimale? Ce lo illustra il Vangelo di questa prima domenica, con il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Narra l’Evangelista san Luca che Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, “pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito Santo nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo” (Lc 4,1-2). È evidente l’insistenza sul fatto che le tentazioni non furono un incidente di percorso, ma la conseguenza della scelta di Gesù di seguire la missione affidatagli dal Padre, di vivere fino in fondo la sua realtà di Figlio amato, che confida totalmente in Lui. Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di progettare la nostra vita a prescindere da Dio. Egli l’ha fatto non con proclami altisonanti, ma lottando in prima persona contro il Tentatore, fino alla Croce. Questo esempio vale per tutti: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita.
Delle tre tentazioni cui Satana sottopone Gesù, la prima prende origine dalla fame, cioè dal bisogno materiale: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane”. Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Lc 4,3-4; cfr Dt8,3). Poi, il diavolo mostra a Gesù tutti i regni della terra e dice: tutto sarà tuo se, prostrandoti, mi adorerai. È l’inganno del potere, e Gesù smaschera questo tentativo e lo respinge: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” (cfr Lc 4,5-8; Dt 6,13). Non adorazione del potere, ma solo di Dio, della verità e dell’amore. Infine, il Tentatore propone a Gesù di compiere un miracolo spettacolare: gettarsi dalle alte mura del Tempio e farsi salvare dagli angeli, così che tutti avrebbero creduto in Lui. Ma Gesù risponde che Dio non va mai messo alla prova (cfr Dt 6,16). Non possiamo “fare un esperimento” nel quale Dio deve rispondere e mostrarsi Dio: dobbiamo credere in Lui! Non dobbiamo fare di Dio “materiale” del “nostro esperimento”! Riferendosi sempre alla Sacra Scrittura, Gesù antepone ai criteri umani l’unico criterio autentico: l’obbedienza, la conformità con la volontà di Dio, che è il fondamento del nostro essere. Anche questo è un insegnamento fondamentale per noi: se portiamo nella mente e nel cuore la Parola di Dio, se questa entra nella nostra vita, se abbiamo fiducia in Dio, possiamo respingere ogni genere di inganno del Tentatore. Inoltre, da tutto il racconto emerge chiaramente l’immagine di Cristo come nuovo Adamo, Figlio di Dio umile e obbediente al Padre, a differenza di Adamo ed Eva, che nel giardino dell’Eden avevano ceduto alle seduzioni dello spirito del male, di essere immortali senza Dio.
La Quaresima è come un lungo “ritiro”, durante il quale rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni del Maligno e trovare la verità del nostro essere. Un tempo, possiamo dire, di “agonismo” spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza. In questo modo potremo giungere a celebrare la Pasqua in verità, pronti a rinnovare le promesse del nostro Battesimo. Ci aiuti la Vergine Maria affinché, guidati dallo Spirito Santo, viviamo con gioia e con frutto questo tempo di grazia. (Papa Benedetto XVI, Angelus del 21 febbraio 2010)
Fonte: Figlie della Chiesa