La prova aiuta a scoprire la Verità
Nel vangelo di questa prima domenica di Quaresima si narra di Gesù tentato nel deserto. Perché mai Gesù dev’essere tentato? Perché l’uomo dev’esserlo?
Sant’Agostino risponde che sappiamo di essere liberi solo dopo essere stati tentati. “Provare” significa nello stesso tempo “mettere in difficoltà” e “avere certezza”. Di fatto, le uniche certezze che possiamo avere nella nostra esistenza sono quelle messe alla prova sotto il peso di qualcosa. Nelle amicizie, quando si verifica l’autenticità di una relazione? Nella situazione di conflitto, di fatica, di difficoltà. In questi momenti l’essere umano trova la sua verità e così anche nella condizione di fame: in quel contesto tirerà fuori il suo vero luogo di verità, cioè la cosa a cui aggrapparsi e da non mollare; quello sarà il punto vero di esistenza, la sua sorgente. Perciò non dobbiamo mai sorprenderci che le relazioni, le situazioni lavorative, le relazioni familiari di ogni genere arrivino a momenti di crisi. Arriverà sempre il momento della verità.
Nella tentazione ritroviamo la condizione in cui una persona mostra se è infantile o matura: nel primo caso deve assimilare, prendere, dipendere da qualche cosa, nel secondo è libera da tutto questo. Ed è la tentazione il luogo in cui il diabolos (colui che separa) può compiere il suo mestiere: dividere una persona, spaccarla in se stessa, separarla dalla sua sorgente di integrità. Attraverso quella condizione limite il male vuole spaccare l’essere dell’uomo, rendendolo incompiuto.
«Se sei figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane» (Lc 4,3). La tentazione consiste nel fatto di trovare luoghi di sussistenza dove non ci sono. Trasformare le pietre in pane significa trovare compensazioni anche dalle pietre, cioè andare a cercare qualcosa dove non ci dovrebbe essere. Trasformare cose o persone in pane è una condizione dell’uomo che assolutizza i propri bisogni e li attacca a tutte le situazioni: ad esempio l’amico che diventa remunerazione; il lavoro inteso esclusivamente come mezzo di remunerazione, perdendo totalmente la dimensione di servizio, mediocre e di basso profilo. Analogamente non si può fare un figlio per essere appagati: un figlio non è un diritto, ma un dono che porta con sé la chiamata a farsi dono per lui. Lo stesso vale per il matrimonio; insomma, non si possono trasformare le pietre in pane.
Gesù, però, non risponde «io non mangio», bensì replica: «Sta scritto, non di solo pane vivrà l’uomo» (Lc 4,3), lasciando intendere che ha da mangiare un altro cibo ignoto all’uomo (Gv 4,32). Gesù non digiuna soltanto: ha un‘altra fonte di sostentamento, ha un altro pane. Il problema dell’uomo, che identifica la situazione di tentazione come “o mi soddisfo o non mi soddisfo”, è il fatto di vivere nella frustrazione perenne dell’esercizio di continui sforzi di volontà. Non è il modo corretto per affrontare la tentazione: ogni rinuncia nel cristianesimo corrisponde a un’accettazione più alta, più bella, più seria, più felice, più appagante. Gesù conosce molto di più che non quel pane strappato alle cose da noi conosciute: è l’opera di Dio, la sua Provvidenza. Infatti in un altro testo, il passo si conclude con gli angeli che si avvicinano e lo servono (Mt 4,11).
Nella tentazione si rinuncia a una cosa per abbracciare un possesso autentico, inalienabile: il possesso del rapporto con Dio. Il digiuno quaresimale punta a contemplare la fonte di ogni sazietà: passare dai doni di Dio al Dio dei doni.