Il commento al Vangelo di domenica 10 Marzo 2019 a cura delle Clarisse di via Vitellia a Roma.
«Allora gridammo al Signore … e il Signore ascoltò la nostra voce» (Deut 26,7-8 prima lettura).
«Mi invocherà e io gli darò risposta» (Salmo responsoriale 90,15).
«Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Rm 10,13 seconda lettura).
All’inizio del cammino quaresimale, la Parola rinnova anzitutto la fiducia nella possibilità di invocare Dio.
Chiamare il suo Nome, invocarne la presenza al nostro fianco, anche attraverso un grido inarticolato di sofferenza, come quello degli ebrei resi schiavi, è la via d’uscita dalla nostra solitudine prima ancora che dalle situazioni penose in cui talvolta ci ritroviamo.
L’invocazione riannoda il legame vitale con Dio, riapre il cammino della nostra libertà dall’illusione dell’autosufficienza alla realtà serena del nostro limite creaturale e filiale, che ha bisogno di aiuto.
Invocare Dio vuol dire consegnare la vita alla fiducia, esprimere le domande vere in fondo al cuore, aprirsi all’ascolto di una risposta che può sorprendere, dare al tempo la sapienza dell’attesa.
La Parola di oggi dice che Dio risponde con il dono della salvezza alla fede dell’uomo che invoca il suo nome. Ma dice anche che accanto a questa promessa risuona una voce che disorienta la fiducia, servendosi soprattutto dei limiti normali della vita, di fronte ai quali fa luccicare il miraggio di un potere che li annulli. L’inganno di questa voce sta proprio nel distorcere la realtà del limite fino a farlo diventare segno evidente che Dio non ci vuole onnipotenti come lui: in questo modo non viene più distorto soltanto il senso del limite, ma l’immagine stessa di Dio, il suo volto d’amore verso di noi. Con il risultato di mettere a tacere, con il silenzio del sospetto e della sfiducia, l’invocazione che vorrebbe salire dal cuore.
La lotta spirituale per custodire il nostro legame filiale con Dio contro la seduzione del diavolo è l’impegno di ogni giorno ed è talmente importante che il vangelo la presenta tra le prime cose che Gesù affronta.
Dopo il Battesimo nel Giordano, c’è il tempo della prova, in cui alla Parola del Padre: «Tu sei il mio figlio prediletto» (Lc 3,22), fa eco una voce distorta, che vuole vagliarne a modo suo la verità: «Se tu sei Figlio di Dio, allora trasforma i sassi, salta nel vuoto…!». L’identità di Figlio, manifestata a Gesù nel contesto del suo atteggiamento umile e solidale con la folla dei peccatori, viene riproposta come un titolo di privilegio da usare per sé.
Contro ogni tentativo del diavolo, Gesù oppone la verità del suo essere Figlio di Dio, fondata sulla fedeltà al volto di amore del Padre rivelato nella storia.
Anche noi, con Gesù e come Gesù, siamo chiamati a custodire il frutto del battesimo che ci ha resi figli del Padre e a vivere bene la nostra lotta spirituale. Questa è infatti il luogo decisivo della familiarità con Dio e dell’intimità con Gesù; in essa cresciamo come veri figli che riconoscono la voce buona dello Spirito, parlano la sua stessa Parola, si specchiano nel volto del Figlio e fanno dimora nell’amore del Padre.
Papa Francesco nella Gaudete et exsultate (n.158), parlando della vita cristiana come di un combattimento permanente che richiede forza e coraggio, scrive che «questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita», e più avanti: «Gesù stesso festeggia le nostre vittorie» (n.159).
Con questo sguardo positivo, di una lotta bella, nella quale assumiamo liberamente la nostra identità cristiana, rileggiamo alcuni aspetti fondamentali del vangelo delle tentazioni.
«Nel deserto, per quaranta giorni» (4,1-2). Il deserto è un luogo fortemente simbolico nella Bibbia: percorso di libertà dall’Egitto verso la terra promessa, ma anche luogo inospitale, dove il popolo di Israele sperimenta di non sopravvivere se non con l’acqua che Dio fa scaturire dalla roccia e con la manna caduta dal cielo. Luogo del fidanzamento e dell’amore tra Dio e il suo popolo, ma anche luogo di mormorazione e di idolatria.
I quaranta giorni richiamano i quarant’anni di Israele nel deserto e i quarant’anni sono il tempo di un’intera generazione: un tempo lungo, perché Dio dà il tempo di tutta una vita per farci entrare nella terra del suo amore che non conosce egoismo. Si impegna in alleanze pazientemente tessute come storie d’amore, che sono belle quando hanno il peso di una fedeltà provata nel tempo.
Così è il nostro vivere di ogni giorno: il deserto che ci mette alla prova, ma anche la strada che ci stringe sempre più fortemente alla fedeltà di Dio. Ci sono lunghi giorni nei quali la tentazione cammina accanto a noi senza trovare appiglio. Viene però il giorno della fame, di ogni tipo di fame che ci rende più fragili, quando il limite che pesa ci fa sentire abbandonati in mezzo al deserto. Allora, al risuonare della voce del diavolo, occorre avere tutta la fiducia di invocare Dio.
Per tre volte Gesù risponde al diavolo con la Scrittura. Nel momento della lotta sale alle labbra ciò che c’è nel cuore. Anche il diavolo cita alcuni versetti, ma il contenuto del cuore è l’inganno, poiché incornicia le citazioni con condizioni e prezzi estranei alla grazia di Dio: «se sei Figlio di Dio … se ti prostrerai in adorazione davanti a me …» (4,3.7.9). Gesù invece non si arma di citazioni adatte o adattate. Invoca la Parola ispirata. Lascia semplicemente che la sua voce, il suo corpo, la sua vita facciano risuonare il dono dello Spirito Santo che «ha parlato per mezzo dei profeti» (cfr. il Credo), è autore della Scrittura e suscita nel cuore dei figli l’invocazione «Abbà, Padre!» (cfr. Rm 8,16). Gesù lo ha ricevuto nel Battesimo ed ora lo ha come pedagogo nell’esperienza decisiva di allontanamento dalle rive sicure del Giordano verso il campo aperto dell’annuncio del Regno: «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto» (4,1).
Anche noi non siamo soli nel cammino coraggioso dei figli di Dio: lo Spirito è con noi e in noi per sostenere i nostri passi nella via del vangelo. Se ci alleniamo ad accoglierne il respiro e la voce con l’ascolto quotidiano della Scrittura, sarà per noi scudo e baluardo nel momento della fragilità e della tentazione.
La vittoria che oggi si compie con la forza dello Spirito e della Parola contro la tentazione insinuata dal diavolo, la vedremo prendere forma nei gesti di Gesù lungo tutto il racconto evangelico.
Nel campo aperto del ministero pubblico, Gesù sazierà la fame della folla nel deserto non con sassi trasformati, ma con la sua parola autorevole, capace di trasformare la povertà di cinque pani e due pesci in una sovrabbondante mensa condivisa (Lc 9,10-17).
Dirà che «i re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere sono chiamati benefattori …», ma non addita nel dominio lo scopo della sua missione, che è piuttosto lo stare «in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,24-27). Mai si prostrerà davanti ad un potente per averne un guadagno; si inchinerà invece sempre davanti al dolore degli esclusi, allo smarrimento dei ciechi, alla fatica dei malati, all’invocazione di chi chiede la guarigione del corpo e del cuore. Non chiederà gesti di adorazione ma si commuoverà di fronte alla fede di chi domanda.
Non farà mai della Scrittura una lettera che uccide, né la sacrificherà in un letteralismo cieco. Gli angeli del Salmo citato dal diavolo non sono servi delle nostre spericolatezze; sono invece compagni discreti che sorreggono il viaggio della vita cristiana iniziata nell’acqua del battesimo.
Con il vangelo di Gesù negli occhi e nel cuore, la lotta spirituale può essere davvero molto bella, come dice Papa Francesco, perché ci fa sperimentare la forza del suo Amore nell’imitarlo e seguirlo anche nella prova della tentazione.
Per noi, figli rinati nella Pasqua di morte e risurrezione di Gesù, la lotta diventa molto bella soprattutto per il dono dello Spirito del Risorto. Questo Spirito vivifica in noi la parola del Vangelo e la memoria di Gesù, ci conforma al Figlio per vivere da veri figli di Dio, ci consegna alla sola signoria che rispetta la nostra libertà.
Per la presenza di questo Spirito sale dal profondo del nostro cuore, come invocazione che salva da ogni tentativo del diavolo di asservirci a sé, la professione della fede: «Gesù è il Signore!». «Perché se con la tua bocca proclamerai: ‘Gesù è il Signore!’, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9).