Il commento al Vangelo di domenica 10 maggio 2015 a cura di Paolo Curtaz per la Sesta domenica di Pasqua, anno di Marco.
Atti 10,25-27.34-35.44-48; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17
Lasciarsi amare per amare
Gesù continua la sua riflessione pasquale, dopo avere utilizzato l’immagine della vite e dei tralci di domenica scorsa.
E la riflessione s’innalza, decolla, vola alta: Gesù parla di amore, di gioia, di pienezza…
Se non fossimo asfaltati dall’abitudine quanto ci farebbero vibrare queste parole! Quanta forza ci darebbero! Tutti cerchiamo la felicità, tutti desideriamo, chi più, chi meno, di essere amati.
In cosa consiste, allora, il nostro bene?
Chi o cosa può colmare il nostro cuore?
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Dimorare nella concretezza
Il primo messaggio del vangelo di oggi è semplice: lasciamoci amare.
Tutto il vangelo conduce a questa unica, disarmante verità: siamo amati. Amati da Dio che ci ha voluti, pensati, siamo preziosi ai suoi occhi.
Non è facile credere questo, lo so bene: molti, fra noi, fanno esperienza di mediocrità, di dolore, di solitudine.
Il mondo ci ama solo se abbiamo qualcosa da dare, Dio ci ama non perché siamo amabili, ma perché ci ha creati. Tutta la nostra vita consiste nello scoprirci amati.
Dio non può che donare il suo amore, dicevano i Padri della Chiesa, fa parte della sua natura profonda.
E se già abbiamo scoperto di essere amati, Gesù insiste: dimorate in questo amore, restateci.
Dopo avere cercato Dio, affascinati da qualche cristiano significativo, dopo avere scoperto che, in Gesù, anche noi siamo suoi figli, tutta la nostra vita diventa attesa di pienezza, manifestazione dell’amore di Dio. E possiamo dimorare solo osservando i comandamenti.
Stride, questa richiesta, la parola “comandamento” ci rimanda alla regola, alla norma, al tribunale.
No, perché Gesù è venuto a donare un nuovo “comandamento”: imita il Padre che ti ama e riama te stesso, gli altri, Lui.
I “comandamenti”, allora, non diventano una serie di norme da osservare per meritare l’amore, ma il modo di manifestare questo amore.
Quando mi occupo di mio figlio, lo vesto e gli preparo colazione per portarlo a scuola, non sto seguendo il protocollo del buon genitore, sto esplicitando nella concretezza il fatto di occuparmi di lui, di volergli bene!
Mio comandamento
Quale comandamento devo osservare per dimorare in Dio?
Quello “nuovo” diventa “mio”, dice Gesù.
Un bel passaggio: dalle dieci parole di Mosè alle 613 miztvot, i precetti, dei farisei, al comandamento più grande, amare Dio e il prossimo, al comandamento nuovo: quello di amare come Gesù ci ama. Gesù ora, ed è la comunità che lo ha già celebrato risorto che lo capisce, propone un comando che non è più solo “nuovo” ma “mio”.
Gesù ama fino al dono di sé sulla croce, fa ciò che dice e che chiede di fare ai discepoli.
Amare come egli ci ha amato significa entrare nella logica del dono totale di sé, senza condizioni.
Un amore totale che redime e salva questo mondo egoista e piccino.
Cercare di imitare questo amore, lasciandolo fluire in noi (non mi sforzo di imitare Gesù, mi lascio amare e il suo amore si riversa sugli altri, perciò lo frequento con assiduità!) ci riempie il cuore di gioia.
Un amore, come ci diceva Gesù domenica scorsa, che non è egoista e che non si lascia divorare dall’altro, una vita donata e ripresa, una relazione consapevole che non lascia l’emozione dominarci ma diventa consapevole scelta di amare.
Non la felicità usa e getta che il mondo ci vende (sempre a caro prezzo) ma la gioia che diventa consapevolezza, come quella dei discepoli che incontrano il risorto e si convertono alla gioia. Posso anche avere una vita sfortunata e intessuta di dolore, ma la gioia permane, perché so di essere partecipe di un grande progetto d’amore che mi coinvolge.
Figli e frutti
Questo amore che fluisce ci fa scoprire di essere figli, non servi.
Figli di Dio, a sua immagine proprio perché capaci di amare. E l’amore genera, porta frutti di redenzione e di vita eterna.
Nella vita possiamo diventare dei grandi scienziati, dei genitori straordinari, delle rock-star… ma più che essere figli di Dio non saremo mai, e lo siamo già!
Amare porta frutti, in noi e intorno a noi e Dio gioisce della nostra gioia.
Siamo la gioia di Dio!
Pietro
Lo Spirito sospinge Pietro nella casa di Cornelio, centurione romano, e vince le sue resistenze. Mentre si fa mille problemi, è davanti ad un pagano impuro!, lo Spirito sopraggiunge e scende su tutti gli abitanti della casa. Pietro è perplesso: come può rifiutare il battesimo a chi ha già ricevuto l’effusione dello Spirito?
Così anche per la Chiesa: se si lascia condurre dallo Spirito, se mette l’amore al centro (e non la regola, che pure esplicita l’amore se fatta bene) porta frutti di conversione.
Lasciamoci amare, dimoriamo nell’amore!
il blog di paolo curtaz: www.paolocurtaz.it