Il racconto del battesimo di Gesù nella versione di Marco, rispetto a quella degli altri sinottici (il Quarto vangelo, quello secondo Giovanni, non dà alcun resoconto dell’evento, ma sembra alludervi in occasione della testimonianza del Battista in Gv 1,32-34), presenta alcuni elementi peculiari. Il primo è la sua essenzialità. Nel vangelo di Matteo, al contrario, il resoconto è più lungo, perché viene inserito prima dell’evento un dialogo tra Gesù e il Battista col quale si vuole dire che Gesù non avrebbe alcun bisogno di essere battezzato. In quella occasione Gesù pronuncia le sue prime parole, riguardanti la giustizia (tema molto amato da Matteo) che deve essere compiuta. Nel vangelo secondo Luca invece avviene qualcosa di ancor più particolare: l’evangelista narra del battesimo di Gesù quando ormai ha già raccontato dell’arresto del Battista. A questo punto il lettore rimane spiazzato e si chiede chi, dunque, ha battezzato Gesù. Anche qui siamo di fronte a un espediente per risolvere la stessa evidenza difficile da accogliere: Gesù ha ricevuto il battesimo nel Giordano, da Giovanni.
Il vangelo di Marco, allora, rispetto agli altri sinottici, semplicemente attesta ciò che deve essere accaduto, e che – per un criterio di storicità chiamato “di imbarazzo” – non avrebbe avuto alcuna ragione di essere “inventato” né dagli autori dei vangeli, né dalla tradizione precedente a loro. Infatti: 1) i vangeli semplicemente non dicono perché Gesù è stato battezzato; 2) se il battesimo impartito dal Battista era per il perdono dei peccati (cf. Mc 1,4), la riflessione neotestamentaria (a partire già da Matteo, che riserva la remissione dei peccati solo al potere del sangue di Cristo, e non dall’acqua di un battesimo) attesta che Gesù non aveva alcun bisogno di tale rito; 3) chi battezza qualcuno (nel caso, Giovanni che battezzava «tutto il popolo»; cf. Lc 3,21) è normalmente maggiore di chi viene battezzato. Tutti questi elementi, e altri ancora, dicono che all’inizio del ministero pubblico di Gesù, in una fase transizionale rispetto a una qualche sua esperienza precedente (quella cioè di discepolato “dietro” a un maestro, il Battista), c’è stato un momento importante che ha rappresentato uno spartiacque.
Questo momento viene sottolineato dall’evangelista Marco grazie agli effetti del battesimo: l’aprirsi del cielo, la colomba e la voce che si rivolge a Gesù-Figlio. Mentre il secondo e il terzo elemento sono comuni anche a Matteo e a Luca, lo squarciarsi del cielo è solo di Marco, e infatti l’evangelista userà lo stesso verbo (skizo) alla fine del suo vangelo, narrando del velo del Tempio di Gerusalemme che si squarcia alla morte del Messia (cf. Mc 15,38). In tutti e due i casi, il cielo e il velo che si squarciano, siamo di fronte ad un atto di rivelazione: Dio mostra la sua presenza e la sua vicinanza, proclamando Gesù Figlio nel battesimo, e rivelandosi a tutti – dalla forma della sua Presenza nel Tempio – oltre le cortine che ne inibivano la “vista”.
Ecco perché la festa odierna bene si colloca dopo quella dell’Epifania – nella quale il Bambino viene riconosciuto come “re dei Giudei” dai sapienti venuti dall’Oriente – e prima della terza manifestazione, quella di Cana, di cui parla il vangelo secondo Giovanni. La Chiesa ha compreso l’unità di questi tre misteri, e li ha legati già nell’antica antifona del giorno dell’Epifania (antifona dei Secondi Vespri: «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia».
Dopo il suo battesimo, e la voce di Dio che gli attesta la sua figliolanza divina, Gesù verrà messo alla prova. Con il dono di quello Spirito che – dice il Quarto vangelo, discese su di lui per rimanervi (cf. Gv 1,33) – gli darà forza, Gesù potrà portare a compimento il suo ministero e vincere la sua lotta contro il male.