Commento al Vangelo del 01 aprile 2015, mercoledì Santo – don Antonello Iapicca

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Consegnati con Cristo

“C’è un tempo per ogni cosa”, ci ammonisce severa la sapienza del Qoelet. Un tempo favorevole per essere consegnato, compiere la missione, realizzare l’opera assegnata, e dare così senso e pienezza alla vita. Il tradimento di Giuda segna, per Gesù, l’arrivo di questo tempo. Il momento è prossimo, Gesù lo sa, e per questo si offre liberamente. Quanti di noi nel tradimento dell’amico più caro riconoscono il proprio momento, il “top” della vita? Quanti intravvedono nella consegna di se stessi il meglio che può capitare, l’attimo propizio, “eukairôs” secondo l’originale greco, per realizzare completamente la propria esistenza? Il Vangelo di oggi ci rivela che il momento favorevole coincide con quello in cui si prepara la Pasqua, ed è legato al luogo dove essa è celebrata. Certo, qualcuno tradisce Gesù, lo consegna e lo uccide, ma è solo l’aspetto visibile della vicenda. Nell’ombra, nascosta agli occhi della carne, scorre una trama che ha per protagonista Gesù stesso: “Quando pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre. Il Verbo “tradire” è la versione di una parola greca che significa “consegnare”. Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio in persona: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi. Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo” (Benedetto XVI). Nella Passione è Gesù dunque che conduce gli eventi. Il suo amore lo porta ad attirare a sé, a “far intingere nel proprio piatto la mano” del proprio assassino. A prendersi la sua vita! E’ l’amore, sine glossa. Esso sboccia, maturo, nell’attimo favorevole stabilito dal Padre, la Pasqua. 

Per questo, come già duemila anni fa, riconoscendo che “è giunto il suo tempo”, Gesù invia i discepoli a preparare concretamente la Pasqua presso la sala dove, come ogni famiglia o gruppo di famiglie, dopo il sacrificio comune dell’agnello al Tempio, si sarebbero recati per celebrare il Seder. Come loro, abbiamo solo bisogno di un “tale” che ci indichi “dove preparare la Pasqua”, immagine dei pastori e dei catechisti che ci conducono alla comunità, il luogo dove, mentre Giuda vende Gesù, possiamo nutrirci della vita di Cristo e imparare ad offrirci. Perché senza Cenacolo non c’è Pasqua. E sappiamo che preparare la sala e la Pasqua significa, fondamentalmente, cercare Hametz, il lievito vecchio di menzogna e malizia che il demonio ha impastato con la nostra vita. Cerchiamolo allora, alla luce della Parola che ci viene annunciata in questi giorni santi: mettiamoci umilmente sotto la sua luce, sovrapponiamo le nostre attitudini, i pensieri e i gesti a quelli di Gesù. Tutto quello di noi che non c’entra con la sua umiltà, la sua mitezza, il suo amore, è hametz, lievito che avvelena la nostra vita. Gettiamolo via allora, confessandoci e andando a chiedere perdono a chi abbiamo fatto del male. Purifichiamo il nostro cuore nella misericordia di Dio e poi andiamo a cercare i frammenti malvagi che abbiamo lasciato intorno a noi, e che hanno fermentato di divisioni la famiglia, la comunità, le varie relazioni: avviciniamoci alle persone a cui abbiamo fatto male, a quelle che abbiamo giudicato, e inginocchiamoci dinanzi a loro chiedendo perdono. Avviciniamoci anche a coloro che hanno qualcosa contro di noi, e che il lievito del demonio ci ha impedito di accettare e amare. Non potremo fare Pasqua se non ci umilieremo anche dinanzi a loro, come dice il Signore: “quando ti rechi al Tempio per un sacrificio e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta e va prima a riconciliarti con il fratello”. Infatti, “perché Pesach sia un’esperienza significativa piena di efficacia e non un semplice ricordo, essa richiede un’azione concreta: l’obbedienza ai precetti pasquali. I saggi di Israele sottolineano che i padri furono redenti dall’Egitto in virtù della loro obbedienza ai comandamenti dati da Mosè per la Pasqua. Non furono liberati per merito di una grande fede, e neanche per una loro azione morale o sociale, ma per una semplice e “stupida” obbedienza alla parola di un altro, Mosè, che parlava a nome di Dio. Il Midrash racconta che furono soltanto i più poveri, così abbrutiti da non avere altra speranza di questa notte promessa, che obbedirono, mentre tutti gli altri Israeliti perirono con i primogeniti o rimasero in Egitto” (Daniel Lifschitz…). Gli “azzimi di sincerità” con i quali ammonisce San Paolo di celebrare la Pasqua, sono l’umiltà di riconoscere i propri peccati, anche quelli nascosti, accettare la propria povertà e debolezza, per riconoscere il bisogno di liberazione; e obbedire alla Chiesa che ci invita a confessarci e a chiedere perdono: senza questa attitudine del cuore non si può uscire dall’Egitto.

Per questo la figura di Giuda è così importante. Smaschera la reale intenzione del cuore perché il suo tradimento, come una lama, mette a nudo il lievito vecchio; lui stesso, lievito malvagio, illumina dove si nasconda il suo gemello che è in noi, come in uno specchio. Rispondiamo al male con il cuore di Giuda? Oppure, all’apparire del nemico sulla scena della nostra vita, l’agnello mansueto, il Servo di Yahwè incarnato in noi, si rivela mansueto e umile da non resistere al malvagio? Come per Gesù, è Giuda che ci fa presente lo scoccare della nostra ora. La storia che ogni giorno incarna Giuda per noi, ci prepara all’evento decisivo, al momento propizio. Fallirlo significherebbe restare in Egitto, con tutti quelli che Dio ha legato a noi nel suo misterioso disegno di salvezza. La vita è seria, i giorni, le ore, e forse i mesi, gli anni, non sono che una lunga preparazione per la nostra Pasqua. Il matrimonio difficile, il figlio caduto nella spirale della droga, la figlia separata, la malattia, il lavoro che ci umilia, quell’insulto giunto all’improvviso e che non ti aspettavi. Tutto ci prepara, come in un catecumenato spirituale, alla Pasqua, alla libertà autentica, alla vita che è Cristo risorto. Essa, infatti, è preparata per noi che a Lui apparteniamo. Essa consiste nel camminare nei giorni in attesa del momento favorevole per essere consegnati. Per donarci a chi ci è vicino e reclama la nostra vita, a Giuda che ci vende alla morte. E sono proprio a quelli che intingono la loro mano nel nostro piatto, i nostri intimi, i nostri amati. Sapendo che quell’uno che ha tradito Gesù lo siamo stati tutti, non ci stupiremo se anche oggi “uno ci tradirà”; un cristiano, infatti, non si aspetta dall’altro che quello che anche Lui ha fatto a Cristo: incomprensioni, persecuzioni, gelosie. E così la vita sarà un cammino che unirà i momenti favorevoli nei quale donare la nostra anima a Cristo, e in Lui offrire tutto noi stessi a ogni uomo. In Lui trasformati, in Lui consegnati, nel suo amore che ci fa Pasqua viva per ogni fratello. 

Coraggio, perché questo è possibile proprio in questa Pasqua! La vita eterna effusa in noi sgorga dalla “profonda commozione” di Gesù dinanzi a ogni tradimento, perché adulterando e disprezzando la propria vocazione, la propria umanità, si tradisce Cristo. Ogni istante buttato lontano da Lui significa tradirlo. Ma in ogni istante buttato o immerso nel peccato, giunge sempre la commozione di Gesù. Quella di oggi, quella della notte di Pasqua, intrisa delle lacrime di Cristo per te e per me. Una vita commossa, ecco la vita di Gesù: Lui non giudica nessuno, neanche il peccatore più incallito; Lui vede gli uomini schiavi del demonio e del peccato, si commuove, cioè il suo intimo si” muove-con” noi, e sente sin dentro le sue viscere il male che ci fa male. Il male di tutti, di ogni secondo di tutta la storia in tutti i luoghi della terra, entra dentro Gesù, e lo “muove” a “compassione”. Sì fratelli, non c’è peccato che Gesù non “patisca-con” te. Non c’è sofferenza, solitudine, umiliazione, ingiustizia, frustrazione, che non “muova-con” il suo cuore con il tuo, al punto di “patire-con” te ogni frammento della tua storia di oggi, di ieri e di domani. Gesù non è indifferente neanche al più piccolo dettaglio della tua vita, ma ogni tuo dolore lo “muove” verso di te e il tuo Egitto, per “muovere-con” Lui te nella Pasqua che ti strappa alla schiavitù per farti passare alla libertà. Solo chi ha fatto Pasqua con Cristo è cristiano, perché ha la sua vita dentro, e può offrirsi liberamente all’altro, caricandosi dei suoi peccati. Coraggio fratelli, siamo chiamati ad essere, in questa generazione, le lacrime della commozione di Cristo sparse per amore, che annunciano speranza e salvezza al mondo. 

Don Antonello Iapicca
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Mt 26, 14-25
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.