NELLA DEBOLEZZA DELLA CROCE
Gesù vuole associare a sé, nel compimento della missione, altri discepoli. Non vuole persone in cerca di un nome o della fama, ma missionari che si distinguano per preghiera, mitezza, povertà. Non devono, infatti, portare sé stessi ma l’annuncio del perdono e della pace.
Attraverso il profeta Isaìa Dio promette il dono della gioia e della pace, che scorrerà come un fiume, come un torrente in piena. La sua promessa si attua nella missione dei settantadue, ai quali Gesù affida il compito di portare l’evangelo, cioè la gioiosa notizia del Regno, e il saluto della pace alle case degli uomini.
Il fiume sembra tuttavia tramutarsi in un rigagnolo, con questi uomini che sembrano davvero troppo pochi per la vastità della messe, inviati peraltro come agnelli in mezzo a lupi, miti, non violenti, senza potere e senza ricchezze. Ma – ricorda Paolo ai Galati – la missione si realizza sempre nella logica della croce. Non abbiamo altro vanto se non nella croce di Gesù.
Dobbiamo cioè porre la nostra fiducia soltanto nell’amore debole e crocifisso di Gesù, che si rende presente anche nei suoi discepoli. Non dobbiamo confidare in beni e strumenti che il Signore ci chiede di abbandonare. Piuttosto, dobbiamo fondare il nostro impegno su quell’amore fraterno che ci permette di andare «a due a due», come fratelli riconciliati, e di rimanere nelle case, annunciando l’evangelo della pace con lo stile di relazioni nuove, rese possibili dal Vangelo stesso.
fr. Luca A. Fallica,Comunità Ss. Trinità di Dumenza
Fonte Edizioni San Paolo