Commento al Salmo 127 – Canto delle salite. Di Salomone

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Il Salmo 127 è considerato un poema sapienziale, sia perché vi si trovano una similitudine (v.4) e una beatitudine (v. 5) che sono modi di esprimersi tipicamente sapienziali, sia perché il contenuto è tipicamente sapienziale, espresso con due proverbi, che descrivono quanto l’uomo sia dipendente dal Signore in aspetti vitali del suo vivere ordinario.

Forse per questi tratti il salmo è stato attribuito a Salomone (gli si attribuivano anche i libri sapienziali). Salomone fu anche colui che costruì la «casa del Signore» e secondo 2Sam 12,25 aveva come nome anche Iedidià, cioè «prediletto del Signore», lo stesso termine che troviamo al v. 2.

Il salmo è diviso in due parti: la prima (vv. 1-2) ricorda che senza il Signore ogni fatica è vana («invano» è ripetuto tre volte); la seconda (vv. 3-5), al contrario, mostra che con il Signore la vita è benedetta. Le due parti sono collegate attraverso i temi: alla costruzione della casa/città corrisponde la costruzione della famiglia mediante i figli (la parola «casa» può significare sia la «casa» come edificio, sia «famiglia»), alla difesa della città corrisponde la difesa dei diritti in tribunale (le cause venivano trattate nello spazio antistante la «porta» della città).

Nel cammino ideale che i Salmi delle ascensioni configurano nel loro succedersi, il pellegrino è arrivato a Gerusalemme. Davanti ai suoi occhi si dispiega uno spettacolo in movimento, che è lo spettacolo della vita: una casa in costruzione, la città con le sue guardie, la vita delle famiglie, le veglie notturne, il lavoro quotidiano, i piccoli e i grandi segreti dell’esistenza. Contemplando tutto questo, il salmista medita: invano gli uomini si danno tanto da fare a costruire, invano si danno tanto da fare a proteggere quanto hanno costruito, invano cercano di costruirsi, con le fatiche delle proprie mani, il benessere o una posizione sociale.

Il termine «invano» è lo stesso che nel Decalogo indica la testimonianza falsa (Dt 5,20) o il nominare il nome di Dio invano (Dt 5,11), ma spesso indica ciò che è «vano» per eccellenza cioè l’idolo (Es 20,7; 23,1; Sal 24,4; 26,4). La triplice ripetizione di «invano», quindi, non solo richiama il senso di profonda solitudine dell’uomo senza Dio ma anche il rischio che l’attività, il lavoro umano, diventi idolo vuoto, destinato a crollare e a trascinare nella rovina chi ha faticato per produrlo e vi si appoggia.

Il Salmista non disprezza l’impegno umano, dice solo che porta in sé il rischio di cadere nell’idolatria, di valutare male le cose appiattendo i desideri e non consentendo così di giungere al fine. Nello stesso tempo, però, proprio contemplando i risultati dell’ingegno e dell’attività umana, il pellegrino giunge a Dio: il lavoro oltre a far parte della vocazione dell’uomo (Gen 1,26-28; 2,15) e a contribuire alla sua realizzazione, ha anche la capacità di rimandare a Dio e di diventare testimonianza, se non esclude Dio dal suo orizzonte.

In questo senso il mattino e la sera (v. 2) sono la cartina al tornasole: essi sono i due momenti che segnano il passaggio quotidiano dalla passività della notte alla attività del giorno e viceversa. Non riuscire a lasciare l’attività consegnandosi al sonno impedisce di lasciare spazio al lavoro di Dio, di consegnarsi a quella iniziativa che egli riserva ai suoi amici. Non si tratta di cedere alla pigrizia, ma di aprirsi alla sua gratuità e alle sue ragioni.

Il salmo prosegue presentando in modo molto concreto l’intervento del Signore (vv. 3-5): i figli indicano le generazioni che verranno, simboleggiano la storia futura, la vita che continua; estendono gli effetti del loro padre nella società umana della successiva generazione (l’immagine delle frecce); più numerosa è la famiglia, inoltre, meno è vulnerabile nei conflitti giudiziari che terminano davanti ai tribunali (la porta). L’abbondanza di figli permette di non avere nulla di cui vergognarsi.

Tutto questo è dono di Dio, per il suo amico (v. 2). L’«io» che «esce» dalla preghiera di questo salmo, allora, desidera essere amico di Dio, è liberato dall’ansia di doversi costruire con le proprie mani e impara «a dormire», a dare il giusto peso alla propria attività, scoprendo Dio e affidando a Lui la propria vita.

Alcune domande:

  • Quali aspetti delle nostre città e del lavoro dell’ingegno umano mi colpisce di più? Come posso far diventare il mio camminare e muovermi per la città una continua preghiera?
  • Che cosa vorrei che il Signore facesse per me «nel sonno»? Che cosa nella mia vita gira «a vuoto»? Che tipo di «vanità» sperimento (falsità, eccessivo investimento di energie, idolatria)?
  • Quali emozioni, sentimenti, pensieri, desideri, decisioni suscita in me la preghiera attraverso questo salmo?

Fonte – Chiesa di Milano

Salmo 127

1 Canto delle salite. Di Salomone.

Se il Signore non costruisce la casa,
invano si affaticano i costruttori.
Se il Signore non vigila sulla città,
invano veglia la sentinella.

2 Invano vi alzate di buon mattino
e tardi andate a riposare,
voi che mangiate un pane di fatica:
al suo prediletto egli lo darà nel sonno.

3 Ecco, eredità del Signore sono i figli,
è sua ricompensa il frutto del grembo.

4 Come frecce in mano a un guerriero
sono i figli avuti in giovinezza.

5 Beato l’uomo che ne ha piena la faretra:
non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta
a trattare con i propri nemici.