Commento a Genesi 31-34

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Giacobbe, dopo aver sopportato per vent’anni dieci frodi al suo salario datogli da Labano per il suo servizio, parte con mogli, figli e tutto ciò che è suo per tornare di nascosto dal fratello Esaù. Labano lo rincorre, ma alla fine concludono un patto per separarsi. Avviene la celebre lotta con il personaggio sconosciuto, sino alla benedizione che darà un nuovo nome a Giacobbe: Israele.

Questi, temendo l’ostilità del fratello, è pronto a donargli centinaia di capi di bestiame. «Ma Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò e piansero» (Gn 33,4); la parabola del figliol prodigo / padre misericordioso sembra avere chiare reminiscenze di questo versetto. Con il suo ritmo, Israele seguirà Esaù, invitato a precederlo. Avviene poi lo stupro di Dina, figlia di Israele e Lia, da parte di Sichem, principe di quel territorio. Le reazioni ci turbano.

Camor, il re dei Sichemiti, è disposto a pagare per avere come genera Dina. Israele propone a tutto il popolo di circoncidersi e cioè di fatto una assimilazione dei Sichemiti: proposta accettata. Però non ha fatto i conti con la vendetta dei fratelli di Dina, che uccidono Sichem e Camor e saccheggiano la loro città. Da una parte l’idea di risolvere con un matrimonio combinato, dall’altro quello dello sterminio per vendicare una donna stuprata. Soluzioni entrambe disumane, per la nostra sensibilità.

A volte ti senti come se tu stessi lottando con Dio? Su cosa? Perché?

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A cura di Piotr Zygulski