Commento a Esodo 3-4

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Mosè non ha paura di sconfinare. Sa anzi spingersi oltre, con il suo gregge. In questo passo in più, Dio gli si fa incontro come presenza costante nella vita sua e del suo popolo che vive nella schiavitù. L’alleanza che era feconda per i Padri, è e verrà per lui. Il Signore gli si presenta nudo, per ciò che è: ascolto del tuo grido, risposta che ti interpella personalmente per nome, presenza che implora rispetto e perciò ti impegna per una liberazione.

Non si può consumare questo ardore. Anche se sembri un groviglio di rovi in un deserto, il suo fuoco continua a infiammarsi per te. È sconvolgente, incredibile, quasi da sembrare assurdo. Come potrà credere qualcuno che non ha fatto la medesima esperienza, in prima persona? A Mosè allora sono offerti tre segni: il bastone che si fa serpente, la mano che guarisce dalla lebbra, l’acqua del Nilo che diventa sangue. Chi aveva il bastone per governare sarà costretto a strisciare, perché il Nilo sarà colmo di sangue. Oltre al triplice segno, una voce: il Signore stesso a un Mosè recalcitrante manda incontro proprio suo fratello Aronne, che sa parlare meglio di lui.

La loro unità fraterna realizzerà – come in un bacio – la volontà di Dio, in questa relazione speciale: «Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio» (Es 4,16-17). Come Dio è andato incontro a Mosè, ora lui andrà incontro agli altri.

In quali aspetti ti riconosci dell’esperienza di Mosè? Condividi le medesime preoccupazioni?

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A cura di Piotr Zygulski