Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto – Valutazione Pastorale

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Giovanni e Monica, atto secondo. La loro storia potrebbe essere benissimo una versione rivista e aggiornata ai nostri giorni di “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, dove le due fazioni familiari sono sostituite da steccati sociali, da fratture e pregiudizi sedimentati tra centro e periferia di Roma, metafora di un Paese stanco, arrabbiato, caotico, ma che sa trovare comunque la voglia di sorridere e, sì, di rialzarsi. Parliamo di “Come un gatto in tangenziale.

Ritorno a Coccia di Morto”, commedia diretta da Riccardo Milani e interpretata da Paola Cortellesi (anche sceneggiatrice) e Antonio Albanese. È il riuscito seguito – chiariamolo subito, il sequel funziona, e anche molto! – di “Come un gatto in tangenziale”, film rivelazione nella stagione 2017-18 con 10milioni di euro al botteghino e il Nastro d’argento come miglior commedia. Anzitutto, la commedia “Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto” ci consegna un ritratto deformato, a tratti grottesco, del nostro presente, dell’Italia, un ritratto puntellato da furbizie, scorciatoie, indifferenza e pregiudizi diffusi.

In questo scenario tragicomico, però, si colgono anche luminosi segnali di speranza, testimonianze di un’umanità pronta a rimboccarsi le maniche e a rimettersi in piedi in chiave solidale. Tra gli ancoraggi sociali nella tempesta c’è anzitutto la Chiesa. È lo stesso regista Milani ad affermarlo in conferenza stampa, cui si aggiunge la voce della protagonista Paola Cortellesi. Hanno indicato di aver avuto l’idea del sequel visitando una parrocchia milanese, scoprendone l’attivismo verso la comunità, e poi registrando il grande impegno della Chiesa nel corso della pandemia, la sua immediata risposta missionaria.

Così la storia di Giovanni e Monica si è spostata sul terreno di una parrocchia della periferia di Roma, un vero e proprio presidio di frontiera animato da un sacerdote fuori dal comune, don Davide, che Luca Argentero tratteggia con leggerezza e insieme spessore. Don Davide si fa racconto di quella Chiesa che non abbandona il territorio, ma lo anima e lo sostiene, soprattutto nella difficoltà. È la Chiesa raccontata dagli spot dell’8xmille, solo che qui la cifra del racconto si irradia dei colori accesi della commedia che spesso sconfina nello sberleffo. Ma il messaggio è lo stesso, una Chiesa missionaria e solidale.

Altro elemento centrale nel film è la cultura: il bisogno di tornare a scommettere convintamente sulla cultura, balsamo per lenire gli strappi delle ingiustizie sociali e per lasciare filtrare il sogno del cambiamento, la presenza di quell’ascensore sociale ancora in funzione. È attraverso il personaggio di Giovanni/Albanese che questo messaggio trova eco nella storia. Per buona parte del film Giovanni è ridicolizzato, in primis da Monica, perché crede ancora che con la cultura si possa mangiare; lui spende ogni sua energia per convincere tutti del contrario, che di cultura ci si può campare benissimo, soprattutto in Italia, e che potrebbe essere la soluzione a tanti problemi atavici nelle nostre realtà. […]

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