Cerimonia di conferimento della laurea honoris causa al cardinale Gianfranco Ravasi

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Societร  e religione

Un altro percorso tematico di particolare rilievo, anchโ€™esso strutturale ai fini della riflessione che stiamo ora conducendo, รจ quello del rapporto tra fede e societร  dalle molteplici applicazioni, soprattutto nellโ€™ambito della relazione tra religione e politica, tra la comunitร  ecclesiale e quella civile. Questa interazione โ€“ che puรฒ essere concepita in modo dialettico, antitetico e conflittivo ma anche secondo un contrappunto armonico โ€“ รจ in un certo senso un corollario della visione antropologica generale appena descritta.

Un giorno Cristo viene provocato dai suoi avversari a intervenire sulla questione fiscale, ossia sul tributo imperiale da versare da parte dei cittadini dei territori occupati da Roma, un tema sul quale interverrร  anche san Paolo in un passo veramente sorprendente della Lettera ai Romani (13,1-7) sul quale ritorneremo. La replica di Cristo ai suoi interlocutori รจ lapidaria: Tรก Kรกisaros apรณdote Kรกisari kai ta Theoรบ Theรณ, ยซrendete a Cesare ciรฒ che รจ di Cesare e a Dio ciรฒ che รจ di Dioยป (si puรฒ leggere lโ€™episodio sia nel Vangelo di Matteo 22,15-22, sia in quello di Marco 12,13-17 o di Luca 20,20-26). Risposta tagliente e a prima vista netta nel tracciare una linea di demarcazione che dovrebbe esorcizzare ogni teocrazia (la shariโ€˜a musulmana, per la quale il codice di diritto canonico diventa il codice civile, non รจ evangelica) e ogni cesaropapismo.

Tuttavia, il discorso รจ piรน sofisticato e complesso se si tiene conto della parabola in azione che Gesรน sviluppa attorno a quella frase. Egli, infatti, argomenta tenendo tra le mani simbolicamente una moneta con lโ€™โ€œimmagineโ€, lโ€™icona (eikรดn in greco) dellโ€™imperatore, simbolo evidente della politica e dellโ€™economia, alla quale viene riconosciuta una sua autonomia, un campo di esercizio proprio, una sua capacitร  e indipendenza normativa. Ma ai lettori di oggi sfugge lโ€™ammiccamento testuale ulteriore che Gesรน introduce per il suo uditorio ebraico. Infatti โ€“ e lโ€™abbiamo giร  fatto notare โ€“ nella Genesi (1,27) si ha la definizione dellโ€™essere umano come โ€œimmagineโ€ (nella versione greca eikรดn, icona) di Dio.

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Si delinea, in tal modo, un profilo specifico dellโ€™area โ€œdi Dioโ€ distinta da quella โ€œdi Cesareโ€. Si tratta della tutela della dignitร  superiore e inalienabile della persona e della sua natura intrinseca: la libertร , le relazioni, lโ€™amore (come si รจ appena visto per il passo della Genesi), i grandi valori etici assoluti della solidarietร , della giustizia, della vita non possono essere meramente funzionalizzati allโ€™interesse politico-finanziario e piegati esclusivamente alle esigenze delle strategie del sistema o del mercato. La missione dei profeti biblici e dello stesso Cristo รจ stata appunto quella di essere una sentinella sulla frontiera tra Cesare e Dio, proprio nella difesa di questi valori. Memorabile รจ il ยซNon ti รจ lecito!ยป che Giovanni Battista grida allโ€™arroganza del potere del re Erode Antipa. Martin Luther King nel suo scritto Forza di amare, affermava: ยซLa Chiesa non รจ la padrona o la serva dello Stato, ma รจ la sua coscienzaยป.

รˆ, perรฒ, indiscutibile che la questione si aggrovigli quando si procede nella declinazione storica di questa visione di principio, proprio perchรฉ entrambi gli attori, Cesare e Dio, ossia lo Stato e la Chiesa o il laico e il credente, si interessano di un soggetto comune, la societร  fatta di uomini e donne, e quindi i contrappunti e i conflitti di giudizio sono sempre in agguato. Ci si รจ, cosรฌ, lasciati spesso tentare dalle scorciatoie.

Da un lato, si รจ configurato il progetto teocratico, talora esplicito oppure solo sognato: ยซQuesto tempio รจ il mio paese, non ne riconosco altriยป, proclamava il sommo sacerdote ebreo nel dramma Atalia (1691) di Jean Racine. E proprio perchรฉ a gestire questo disegno era il clero, prevalente rispetto ai laici, cioรจ i semplici fedeli, il termine โ€œclericaleโ€ ha acquisito una connotazione sospetta o essenzialmente negativa.

Dโ€™altro lato, perรฒ, prendeva contemporaneamente corpo la spinta opposta, caratterizzata da un atteggiamento di protesta contro il distendersi del manto sacrale, ma anche dallo stizzito desiderio di ridurre alle corde la casta religiosa, espellendola radicalmente dalla polis per relegarla nel ristretto spazio templare, tra le volute degli incensi e i melismi dei canti liturgici. รˆ in questa linea che il termine โ€œlaicoโ€ acquistava lโ€™accezione ora dominante, spoglia di qualsiasi radice religiosa originaria (ove indicava il laรณs, cioรจ il popolo cristiano, rispetto ai pastori della Chiesa), e si trasformava nellโ€™orgogliosa affermazione dellโ€™assoluta indipendenza e del primato della politica sulla religione.

Ad essere piรน rigorosi, dobbiamo distinguere tra โ€œlaicitร โ€ (ยซrendete a Cesare ciรฒ che รจ di Cesareยป) e โ€œlaicismoโ€ (che elide o reprime il ยซrendete a Dio ciรฒ che รจ di Dioยป), vocaboli che quindi non sono sinonimi. Lโ€™antitesi รจ quella che corre tra โ€œlaicitร โ€ e โ€œsacralismo teocraticoโ€ o โ€œfondamentalismoโ€ e non tra โ€œlaicitร โ€ e religione. La laicitร  รจ, allora, strutturalmente necessaria anche per una corretta dottrina teologica; il suo mancato rispetto attraverso intromissioni โ€œclericaliโ€ esplicite o surrettizie genera disordine e crea tensioni che si riverberano in altri campi sociali. Dopo tutto, Gesรน Cristo โ€“ come si legge nella Lettera agli Ebrei (7,14; 8,4) โ€“ non apparteneva alla casta sacerdotale ebraica di Levi, essendo membro della tribรน โ€œlaicaโ€ di Giuda.

Detto questo e proprio sulla base dellโ€™impostazione ora descritta, รจ necessario riconoscere in modo parallelo la libertร  di parola e di azione allโ€™area dellโ€™ยซimmagine di Dioยป (per usare la distinzione di Cristo), cioรจ della religione contro ogni tentazione โ€œlaicistaโ€. Questo implica non solo lโ€™esercizio libero del culto e lโ€™elaborazione del pensiero teologico in senso stretto, bensรฌ anche la funzione di essere coscienza critica nei confronti dei valori personali e sociali della giustizia, del bene comune, della vita, della veritร , nella consapevolezza che lโ€™uomo e la donna trascendono il pur legittimo ordinamento economicopolitico, dotato di sue norme proprie. Per concludere, il nodo delicato รจ precisamente in questa interazione indispensabile tra i due ambiti, capace di impedire che lo Stato diventi un Moloch e lโ€™economia un Leviatan dominatore e che la Chiesa debordi dal suo orizzonte assumendo forme di integralismo teocratico.

Diritto e religione

Restringendo lโ€™orizzonte della nostra analisi, affrontiamo ora un binomio piรน specifico, quello del rapporto tra il diritto e la religione e, quindi, tra la norma giuridica e il precetto morale. Proprio per le considerazioni precedentemente svolte, anche in questo caso รจ da affermare, contro ogni tentazione integralistica, la netta distinzione tra i due ambiti, distinzione complessa nel suo esercizio anche perchรฉ essa non significa nรฉ opposizione nรฉ separatezza assoluta, essendo comune lโ€™oggetto, ossia la persona umana e la societร . Infatti, sempre piรน si รจ consapevoli dellโ€™insufficienza di almeno due approcci giuridici.

Il primo รจ quello legato alla concezione del diritto come mero sistema normativo-procedurale asettico e formale senza implicazioni antropologiche e umanistiche (qualcosa di analogo puรฒ essere reiterato per lโ€™economia). In questa luce si potrebbero legittimare senza batter ciglio esiti come il diritto nazista. Il secondo modello รจ quello esclusivamente sociologico per cui il diritto sarebbe semplicemente una codificazione di una prassi comportamentale prevalente. In realtร , essendo il sistema giuridico uno strumento per accedere al bene comune, esso deve avere al suo interno finalitร  sociali costanti che eccedono una pura e semplice contingenza. รˆ in questa prospettiva che si puรฒ esercitare un dialogo tra diritto ed etica. Vorremmo, al riguardo, proporre una esemplificazione significativa.

Ci riferiamo al particolare equilibrio che deve intercorrere tra giustizia ed equitร  che non sono totalmente sinonimi, come giร  affermava Aristotele nellโ€™Etica Nicomachea: ยซIl giusto e lโ€™equo non sono la stessa cosa e, pur essendo entrambi eccellenti, lโ€™equo รจ il miglioreโ€ฆ Lโ€™equo รจ giusto ma non secondo la legge, al contrario รจ una correzione del giusto legaleโ€ฆ La natura dellโ€™equitร  รจ di essere correzione della legge nella misura in cui essa viene meno a causa della sua formulazione universaleยป (1137b). รˆ nota, al riguardo, la riflessione di John Rawls nel suo saggio Giustizia come equitร . Una riformulazione (Feltrinelli, Milano 2002).

Aveva giร  intuito questa aporia la classicitร  romana col celebre adagio Summum ius summa iniuria, citato da Cicerone nel suo De officiis (I, 10, 33) e declinatopoiinmilleformediverse,introducendoanchecategorieulterioricome la pietร  (Dostoevskij), la caritร  (Mauriac), la clemenza, le attenuanti e cosรฌ via, nella consapevolezza che un diritto troppo rigido e frigido puรฒ trasformarsi in ingiustizia. Folgorante รจ un asserto di don Lorenzo Milani: ยซNon cโ€™รจ nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disegualiยป. รˆ, questa, una piรน circoscritta applicazione di un altro motto del diritto romano, il citato Suum cuique tribuere, attribuito a Ulpiano nel suo Digesto (I, 10, 1) e ribadito da Giustiniano nelle sue Institutiones (I, 1, 3), sintetizzato nella formula Unicuique suum, nota per la sua presenza in capo allโ€™โ€œOsservatore Romanoโ€ e nella versione italiana.

A ciascuno il suo, titolo di un romanzo di Leonardo Sciascia (1966). In alcuni casi una certa โ€œparzialitร โ€ diventa paradossalmente il massimo dellโ€™imparzialitร . รˆ questo il senso anche del sorprendente appello del biblico Qohelet a ยซnon essere troppo giustiยป (7,16).

A questo punto vorremmo, invece, invertire i ruoli e mostrare come la religione possa essere uno stimolo fecondo per il diritto e non solo quando ribadisce il valore della giustizia, ma anche quando diventa una spina nel fianco con la sua provocazione. รˆ il caso di quella Magna Charta del cristianesimo che รจ il โ€œDiscorso della montagnaโ€ di Gesรน (Matteo 5-7). Esso, a prima vista, sembra il sovvertimento e persino la negazione del diritto coi suoi precetti radicali: ยซnon giudicareยป, ยซporgere lโ€™altra guanciaยป, perdono del nemico e cosรฌ via. A questo riguardo il pensatore Jean Charbonnier osservava: ยซIl diritto รจ certamente giustizia e attribuisce a ciascuno il suo dovuto, ma รจ anche grazia, ricerca della pace, ripristino della concordia e dellโ€™amore. Lรฌ potrebbe essere la sostanza del diritto evangelicoยป, presente in quelle pagine matteane.

La funzione di essere coscienza critica puรฒ espletarsi da parte della religione in vari modi, a partire dagli imperativi del Decalogo e dalla voce dei profeti che, ad esempio, con Isaia denunciano la giustizia ingiusta: ยซGuai a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto lโ€™innocenteโ€ฆ Guai a coloro che emettono decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per defraudare gli orfaniยป (5,23; 10,1-2). Oppure รจ la stessa legislazione biblica che, pur essendo โ€œincarnataโ€ in coordinate storiche contingenti, puรฒ trasformarsi in monito morale attuale anche per una questione rovente dei nostri giorni: ยซVi sarร  una sola legge per il nativo e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voiโ€ฆ Quando uno straniero risiederร  presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Lo straniero residente fra voi lo tratterete come colui che รจ nato tra voi. Anzi, lo amerai come te stesso, perchรฉ anche voi siete stati stranieri in terra dโ€™Egittoยป (Esodo 12,49; Levitico 19,33-34).

Siamo, cosรฌ, su un terreno nel quale lโ€™appello etico puรฒ penetrare anche nelle aule processuali e nellโ€™esercizio del potere giudiziario, oltre che nel palazzo della politica. In questa luce รจ facile evocare molti ammonimenti sottesi agli aforismi della tradizione classica e cristiana, a partire dalla certezza del diritto messa in crisi dalla proliferazione elefantiaca delle leggi: Corruptissima republica plurimae leges, affermava giร  Tacito (Annales III, 27, 3), ripreso anche dallโ€™ Esprit des lois di Montesquieu. Parallela รจ anche lโ€™esortazione alla perspicuitร  lineare della legislazione per una sua comprensione aperta a tutti, come sosteneva nelle sue Epistolae ad Lucilium Seneca: Legem brevem esse oportet quo facilius ab imperitis teneatur.

La morale sapienziale, poi, ha coniato, pare fin da Solone, il detto purtroppo sempre valido che compara le leggi a ยซuna ragnatela: se vi cade qualcosa di leggero, essa lo trattiene, mentre ciรฒ che รจ pesante la rompe e fugge viaยป. Un motto che due scrittori come Carlo Porta e Honorรฉ de Balzac hanno reso con una metafora molto vivace. Eccola nella versione di Balzac: ยซLe leggi sono ragnatele che le mosche grosse o i calabroni sfondano, mentre le piccole vi restano impigliateยป (in Maison Nucingen del 1838). Anche a questo livello piรน semplice e popolare, diritto e morale possono procedere insieme.

Legalitร  e religione

Intendiamo col termine โ€œlegalitร โ€ lโ€™osservanza delle leggi, un capitolo estremamente vario nelle sue applicazioni perchรฉ deve calibrare lโ€™incontro tra lโ€™oggettivitร  della norma e la soggettivitร  della coscienza e dellโ€™adesione del singolo. Si tratta di un incrocio spesso arduo nella sua concretezza, come insegna il tema dellโ€™obiezione di coscienza che non รจ possibile affrontare ora nelle sue molteplici sfumature e implicazioni. Noi ci accontentiamo, invece, di sviluppare la questione con una premessa di indole generale e con una successiva applicazione particolarmente grave e rilevante che attiene al sistema criminale alternativo alla legalitร .

La premessa punta al legame tra etica e legalitร , considerato dal punto di vista della morale. Mentre รจ evidente che alcune norme giuridiche sono cogenti anche in sede etica, possono esserci di primo acchito imposizioni legali prive di impatto morale. Tuttavia, anche in questo settore si possono registrare esempi significativi che ripropongono quel vincolo. Facciamo un paio di esempi. Pensiamo innanzitutto al codice della strada che, a una prima impressione, puรฒ apparire solo come un regolamento legale asettico, apparentemente estraneo al dominio morale. Ma come non vedervi in azione anche una delle virtรน cardinali, la prudenza? Una sua violazione grave, che conduce al cosiddetto โ€œomicidio stradaleโ€, rivela chiaramente che lโ€™osservanza di quelle regole ha un rilievo non solo penale ma anche morale.

Ancor piรน emblematico รจ il secondo esempio che suggeriamo, quello riguardante il sistema fiscale. Esso puรฒ sembrare solo una struttura politicogestionale della cosa pubblica. Si tratta, invece, di una realtร  che รจ finalizzata al bene comune e, come tale, ha implicazioni etiche. Non era, perciรฒ, corretta una prassi spesso in passato sostenuta anche in ambito teologico secondo la quale lโ€™evasione o lโ€™elusione fiscale era considerata merepoenalis, cioรจ unโ€™imposizione che ricadeva soltanto sotto il regime della punizione legale e non aveva ridondanza morale. Si รจ, cosรฌ, creato indirettamente anche quello scarso senso dello Stato, tipico di alcuni paesi a matrice cattolica.

Certo da un lato, la corruzione politica cade giร  evidentemente sotto il marchio non solo della penalitร  ma anche della moralitร . Dโ€™altro lato, perรฒ, essa non puรฒ costituire un alibi per lโ€™evasione fiscale. Lโ€™osservanza delle norme tributarie รจ da san Paolo esaltata in modo netto e in chiave morale-religiosa nel paragrafo giร  citato della Lettera ai Romani (13,1-7), tanto che egli giunge al punto di affermare: ยซPagate le tasse: quelli che sono incaricati dellโ€™esazione sono al servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciรฒ che gli รจ dovuto: a chi si devono le tasse, versate le tasse; a chi lโ€™imposta, lโ€™imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispettoยป (13,6-7). Non si dimentichi che allora a capo dellโ€™impero romano cโ€™era Nerone.

Affermato il legame dellโ€™etica col diritto attraverso i due esempi appena indicati, ora possiamo allargare la nostra considerazione su una grave questione spinosa, la coesistenza serena e persino codificata tra sacro e criminalitร , una contiguitร  che trasforma la religione in un sostegno paradossale per giustificare lโ€™illegalitร  e il delitto. In questo ambito svetta la realtร  mafiosa, studiata secondo tale prospettiva da vari saggi, tra i quali spiccano quelli di Alessandra Dino, La mafia devota. La Chiesa, la religiositร , Cosa Nostra (Laterza, Roma-Bari 2008) e di Salvo Palazzolo e Michele Prestipino, Il codice Provenzano (Laterza 2007). Siamo in presenza di un fenomeno registrato giร  dai profeti biblici che lo condannavano con veemenza. Lapidaria รจ, al riguardo, una frase che Isaia mette in bocca a Dio: ยซNon posso sopportare delitto e solennitร ยป (1,13). E il discorso divino proclamato dal profeta รจ molto articolato, giungendo al punto di denunciare come farsa sgradevole la ritualitร  del criminale, la sua preghiera ipocrita, le sue false devozioni, perchรฉ ben altro รจ il culto che Dio si attende: ยซCessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustiziaยป (1,16-17).

La religiositร  dei mafiosi ignora questo che รจ il cuore della vera fede e, senza imbarazzo โ€“ come ricorda il citato magistrato Prestipino, che del tema รจ un grande esperto (potremmo dire in corpore vili) โ€“ si giunge al paradosso per cui ยซun killer di Cosa nostra, ogni volta che gli ordinavano di commettere un omicidio, prima si recava in Chiesa e pregava s. Rosalia perchรฉ lo proteggesse e perchรฉ lโ€™azione andasse a buon fine e, dopo averla commessa, tornava dalla santa per ringraziarla del buon esito dellโ€™azioneยป. Queste degenerazioni blasfeme e idolatriche si sono trasformate in un vero e proprio culto perverso tra i โ€œnarcosโ€ del Messico con la venerazione della โ€œSanta Muerteโ€, modellato sulla popolare Vergine di Guadalupe. Da noi le esemplificazioni sono piรน immediate, come attestano i โ€œpizziniโ€ religiosi (sic!) di Bernardo Provenzano che citavano ininterrottamente Dio, Gesรน Cristo e la divina Provvidenza o come si scopre attraverso gli altarini, i vari santini, persino le Bibbie e i testi spirituali, i libri di preghiere ritrovati nei covi o nei bunker dei mafiosi.

In realtร  si tratta di una deformazione religiosa in cui la Chiesa deve ora porsi โ€“ e lo fa anche sotto lo stimolo delle staffilate di Giovanni Paolo II o di papa Francesco e delle testimonianze di figure come il beato don Pino Puglisi โ€“ in antitesi assoluta a questa che รจ in realtร  irreligiositร  e ipocrisia blasfema, divenendo una costante spina nel fianco di ogni forma mafiosa. Questa scelta puรฒ essere anche una catarsi per certe connivenze del passato quando alcuni pastori in anni di guida di una diocesi o parrocchia non osavano pronunciare mai la parola โ€œmafiaโ€ o โ€œโ€™ndranghetaโ€ o โ€œcamorraโ€, oppure quando parroci, come ricordava Alessandra Dino nel suo saggio, ai funerali di un capo-mafia non esitavano ad appellare alla ยซgiustizia divina, la sola che non sbaglia e alla quale nessuno puรฒ sottrarsi e raccontare il falso, mentre quella terrena puรฒ commettere grandi erroriยป. Come ha sottolineato il noto magistrato Giuseppe Pignatone, la religiositร  mafiosa sfrutta ยซil legame esistente tra la Chiesa e larghi strati delle popolazioni dellโ€™Italia meridionaleยป adottandolo come ยซsovrastruttura permanente attraverso cui camuffare la reale essenza dellโ€™organizzazioneยป basata sulla violenza, lโ€™ingiustizia, lโ€™illegalitร , ossia sullโ€™esatto opposto dellโ€™autentica fede.

Meritano, perciรฒ, di essere segnalati gli inequivocabili appelli e giudizi che il magistero ecclesiale piรน alto ha moltiplicato in questi ultimi decenni, a partire dalle ormai famose parole di san Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993 ad Agrigento: ยซLa nostra fede esige una chiara riprovazione della cultura della mafia, che รจ una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignitร  della persona e della convivenza civileยป. Nel 2010 erano, invece, i vescovi italiani a ยซcondannare con forza una delle piaghe piรน profonde e durature del Mezzogiorno, un vero e proprio cancro, una tessitura maleficaโ€ฆ

Le mafie sono la configurazione piรน drammatica del โ€œmaleโ€ e del โ€œpeccatoโ€ยป. Nello stesso anno, il 3 ottobre 2010, a Palermo era Benedetto XVI a sollecitare i giovani a ยซnon cedere alle suggestioni della mafia che รจ una strada di morte, incompatibile col Vangeloยป. Un monito che papa Francesco ha ribadito con sdegno a Napoli, nel quartiere emblematico di Scampia il 21 marzo 2015, ricorrendo a quellโ€™inedito termine secondo il quale ยซla corruzione spuzzaยป, evocando quindi non solo il fetore del sangue versato ma anche il tanfo morale che avvolge quella struttura perversa. Ed รจ dei nostri giorni lโ€™impegno comune di Chiesa e Stato con tutti i loro organi istituzionali โ€“ soprattutto nella regione calabrese โ€“ per erigere una barriera contro la violenza mafiosa, togliendole gli alibi religiosi delle processioni e dei santuari (Polsi ne รจ unโ€™attestazione esplicita).

La voce di Cesare Beccaria

Lโ€™esercizio della giustizia รจ un atto talmente alto e delicato che deve sempre imporre al giudice ยซtimore e tremoreยป, per usare unโ€™espressione paolina (1Corinzi 2,3). Anche se si รจ adottato comunemente a livello di lessico il lemma โ€œpotere giudiziarioโ€, bisogna sempre ricordare che si tratta, piรน che di un dominio, di un servizio alla comunitร  da espletare con competenza giuridica, con rigore documentario, con umiltร  morale. Il magistrato dovrebbe, perciรฒ, rivolgere a se stesso lโ€™interrogativo di Dante (anche se nellโ€™originale destinato a un diverso oggetto): ยซOr tu chi seโ€™, che vuoโ€™ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta dโ€™una spanna?ยป (Paradiso XIX, 79-81). รˆ la consapevolezza del proprio limite creaturale perchรฉ, come scriveva Jorge

Luis Borges nella poesia Calma spavalda, ยซLa mia umanitร  sta nel sentire che siamo voci / di una comune indigenzaยป. รˆ questa consapevolezza che rende piรน capace il giudice di unire giustizia ed equitร , come abbiamo sopra indicato.

Concludo la riflessione, ampia ma sempre incompleta, finora condotta con una testimonianza personale. Dal 1989 al 2007 come Prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana ho custodito, oltre al Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, opere dโ€™arte e migliaia di codici manoscritti letterari, storici, teologici, artistici, giuridici. Alle mie spalle, nella cosiddetta โ€œSala del Prefettoโ€, cioรจ nello studio ufficiale, si levava la libreria di Cesare Beccaria che, oltre a vari volumi, conservava molti vari suoi testi autografi. Tra questi campeggiava il manoscritto originale, tormentato a livello di stesura, dellโ€™opera che lo ha reso celebre, Dei delitti e delle pene (1764). Vorrei, perciรฒ, lasciare a lui la parola per tre note finali rispettivamente sulla certezza delle pene, sulla pena di morte e sulla prevenzione.

ยซUno dei piรน gran freni dei delitti non รจ la crudeltร  delle pene, ma lโ€™infallibilitร  di esseโ€ฆ La certezza di un castigo, benchรฉ moderato, farร  sempre una maggior impressione che non il timore di un altro piรน terribile, unito con la speranza dellโ€™impunitร ยป (c. XXVII, โ€œDolcezza delle peneโ€).

ยซParmi un assurdo che le leggi che sono lโ€™espressione della pubblica volontร , che detestano e puniscono lโ€™omicidio, ne commettano uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dallโ€™assassinio, ordinino un pubblico assassinioยป (c. XXVIII, โ€œDella pena di morteโ€).

ยซรˆ meglio prevenire i delitti che punirgliยป (c. XLI, โ€œCome si prevengono i delitti).

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