Societร e religione
Un altro percorso tematico di particolare rilievo, anchโesso strutturale ai fini della riflessione che stiamo ora conducendo, รจ quello del rapporto tra fede e societร dalle molteplici applicazioni, soprattutto nellโambito della relazione tra religione e politica, tra la comunitร ecclesiale e quella civile. Questa interazione โ che puรฒ essere concepita in modo dialettico, antitetico e conflittivo ma anche secondo un contrappunto armonico โ รจ in un certo senso un corollario della visione antropologica generale appena descritta.
Un giorno Cristo viene provocato dai suoi avversari a intervenire sulla questione fiscale, ossia sul tributo imperiale da versare da parte dei cittadini dei territori occupati da Roma, un tema sul quale interverrร anche san Paolo in un passo veramente sorprendente della Lettera ai Romani (13,1-7) sul quale ritorneremo. La replica di Cristo ai suoi interlocutori รจ lapidaria: Tรก Kรกisaros apรณdote Kรกisari kai ta Theoรบ Theรณ, ยซrendete a Cesare ciรฒ che รจ di Cesare e a Dio ciรฒ che รจ di Dioยป (si puรฒ leggere lโepisodio sia nel Vangelo di Matteo 22,15-22, sia in quello di Marco 12,13-17 o di Luca 20,20-26). Risposta tagliente e a prima vista netta nel tracciare una linea di demarcazione che dovrebbe esorcizzare ogni teocrazia (la shariโa musulmana, per la quale il codice di diritto canonico diventa il codice civile, non รจ evangelica) e ogni cesaropapismo.
Tuttavia, il discorso รจ piรน sofisticato e complesso se si tiene conto della parabola in azione che Gesรน sviluppa attorno a quella frase. Egli, infatti, argomenta tenendo tra le mani simbolicamente una moneta con lโโimmagineโ, lโicona (eikรดn in greco) dellโimperatore, simbolo evidente della politica e dellโeconomia, alla quale viene riconosciuta una sua autonomia, un campo di esercizio proprio, una sua capacitร e indipendenza normativa. Ma ai lettori di oggi sfugge lโammiccamento testuale ulteriore che Gesรน introduce per il suo uditorio ebraico. Infatti โ e lโabbiamo giร fatto notare โ nella Genesi (1,27) si ha la definizione dellโessere umano come โimmagineโ (nella versione greca eikรดn, icona) di Dio.
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Si delinea, in tal modo, un profilo specifico dellโarea โdi Dioโ distinta da quella โdi Cesareโ. Si tratta della tutela della dignitร superiore e inalienabile della persona e della sua natura intrinseca: la libertร , le relazioni, lโamore (come si รจ appena visto per il passo della Genesi), i grandi valori etici assoluti della solidarietร , della giustizia, della vita non possono essere meramente funzionalizzati allโinteresse politico-finanziario e piegati esclusivamente alle esigenze delle strategie del sistema o del mercato. La missione dei profeti biblici e dello stesso Cristo รจ stata appunto quella di essere una sentinella sulla frontiera tra Cesare e Dio, proprio nella difesa di questi valori. Memorabile รจ il ยซNon ti รจ lecito!ยป che Giovanni Battista grida allโarroganza del potere del re Erode Antipa. Martin Luther King nel suo scritto Forza di amare, affermava: ยซLa Chiesa non รจ la padrona o la serva dello Stato, ma รจ la sua coscienzaยป.
ร, perรฒ, indiscutibile che la questione si aggrovigli quando si procede nella declinazione storica di questa visione di principio, proprio perchรฉ entrambi gli attori, Cesare e Dio, ossia lo Stato e la Chiesa o il laico e il credente, si interessano di un soggetto comune, la societร fatta di uomini e donne, e quindi i contrappunti e i conflitti di giudizio sono sempre in agguato. Ci si รจ, cosรฌ, lasciati spesso tentare dalle scorciatoie.
Da un lato, si รจ configurato il progetto teocratico, talora esplicito oppure solo sognato: ยซQuesto tempio รจ il mio paese, non ne riconosco altriยป, proclamava il sommo sacerdote ebreo nel dramma Atalia (1691) di Jean Racine. E proprio perchรฉ a gestire questo disegno era il clero, prevalente rispetto ai laici, cioรจ i semplici fedeli, il termine โclericaleโ ha acquisito una connotazione sospetta o essenzialmente negativa.
Dโaltro lato, perรฒ, prendeva contemporaneamente corpo la spinta opposta, caratterizzata da un atteggiamento di protesta contro il distendersi del manto sacrale, ma anche dallo stizzito desiderio di ridurre alle corde la casta religiosa, espellendola radicalmente dalla polis per relegarla nel ristretto spazio templare, tra le volute degli incensi e i melismi dei canti liturgici. ร in questa linea che il termine โlaicoโ acquistava lโaccezione ora dominante, spoglia di qualsiasi radice religiosa originaria (ove indicava il laรณs, cioรจ il popolo cristiano, rispetto ai pastori della Chiesa), e si trasformava nellโorgogliosa affermazione dellโassoluta indipendenza e del primato della politica sulla religione.
Ad essere piรน rigorosi, dobbiamo distinguere tra โlaicitร โ (ยซrendete a Cesare ciรฒ che รจ di Cesareยป) e โlaicismoโ (che elide o reprime il ยซrendete a Dio ciรฒ che รจ di Dioยป), vocaboli che quindi non sono sinonimi. Lโantitesi รจ quella che corre tra โlaicitร โ e โsacralismo teocraticoโ o โfondamentalismoโ e non tra โlaicitร โ e religione. La laicitร รจ, allora, strutturalmente necessaria anche per una corretta dottrina teologica; il suo mancato rispetto attraverso intromissioni โclericaliโ esplicite o surrettizie genera disordine e crea tensioni che si riverberano in altri campi sociali. Dopo tutto, Gesรน Cristo โ come si legge nella Lettera agli Ebrei (7,14; 8,4) โ non apparteneva alla casta sacerdotale ebraica di Levi, essendo membro della tribรน โlaicaโ di Giuda.
Detto questo e proprio sulla base dellโimpostazione ora descritta, รจ necessario riconoscere in modo parallelo la libertร di parola e di azione allโarea dellโยซimmagine di Dioยป (per usare la distinzione di Cristo), cioรจ della religione contro ogni tentazione โlaicistaโ. Questo implica non solo lโesercizio libero del culto e lโelaborazione del pensiero teologico in senso stretto, bensรฌ anche la funzione di essere coscienza critica nei confronti dei valori personali e sociali della giustizia, del bene comune, della vita, della veritร , nella consapevolezza che lโuomo e la donna trascendono il pur legittimo ordinamento economicopolitico, dotato di sue norme proprie. Per concludere, il nodo delicato รจ precisamente in questa interazione indispensabile tra i due ambiti, capace di impedire che lo Stato diventi un Moloch e lโeconomia un Leviatan dominatore e che la Chiesa debordi dal suo orizzonte assumendo forme di integralismo teocratico.
Diritto e religione
Restringendo lโorizzonte della nostra analisi, affrontiamo ora un binomio piรน specifico, quello del rapporto tra il diritto e la religione e, quindi, tra la norma giuridica e il precetto morale. Proprio per le considerazioni precedentemente svolte, anche in questo caso รจ da affermare, contro ogni tentazione integralistica, la netta distinzione tra i due ambiti, distinzione complessa nel suo esercizio anche perchรฉ essa non significa nรฉ opposizione nรฉ separatezza assoluta, essendo comune lโoggetto, ossia la persona umana e la societร . Infatti, sempre piรน si รจ consapevoli dellโinsufficienza di almeno due approcci giuridici.
Il primo รจ quello legato alla concezione del diritto come mero sistema normativo-procedurale asettico e formale senza implicazioni antropologiche e umanistiche (qualcosa di analogo puรฒ essere reiterato per lโeconomia). In questa luce si potrebbero legittimare senza batter ciglio esiti come il diritto nazista. Il secondo modello รจ quello esclusivamente sociologico per cui il diritto sarebbe semplicemente una codificazione di una prassi comportamentale prevalente. In realtร , essendo il sistema giuridico uno strumento per accedere al bene comune, esso deve avere al suo interno finalitร sociali costanti che eccedono una pura e semplice contingenza. ร in questa prospettiva che si puรฒ esercitare un dialogo tra diritto ed etica. Vorremmo, al riguardo, proporre una esemplificazione significativa.
Ci riferiamo al particolare equilibrio che deve intercorrere tra giustizia ed equitร che non sono totalmente sinonimi, come giร affermava Aristotele nellโEtica Nicomachea: ยซIl giusto e lโequo non sono la stessa cosa e, pur essendo entrambi eccellenti, lโequo รจ il miglioreโฆ Lโequo รจ giusto ma non secondo la legge, al contrario รจ una correzione del giusto legaleโฆ La natura dellโequitร รจ di essere correzione della legge nella misura in cui essa viene meno a causa della sua formulazione universaleยป (1137b). ร nota, al riguardo, la riflessione di John Rawls nel suo saggio Giustizia come equitร . Una riformulazione (Feltrinelli, Milano 2002).
Aveva giร intuito questa aporia la classicitร romana col celebre adagio Summum ius summa iniuria, citato da Cicerone nel suo De officiis (I, 10, 33) e declinatopoiinmilleformediverse,introducendoanchecategorieulterioricome la pietร (Dostoevskij), la caritร (Mauriac), la clemenza, le attenuanti e cosรฌ via, nella consapevolezza che un diritto troppo rigido e frigido puรฒ trasformarsi in ingiustizia. Folgorante รจ un asserto di don Lorenzo Milani: ยซNon cโรจ nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disegualiยป. ร, questa, una piรน circoscritta applicazione di un altro motto del diritto romano, il citato Suum cuique tribuere, attribuito a Ulpiano nel suo Digesto (I, 10, 1) e ribadito da Giustiniano nelle sue Institutiones (I, 1, 3), sintetizzato nella formula Unicuique suum, nota per la sua presenza in capo allโโOsservatore Romanoโ e nella versione italiana.
A ciascuno il suo, titolo di un romanzo di Leonardo Sciascia (1966). In alcuni casi una certa โparzialitร โ diventa paradossalmente il massimo dellโimparzialitร . ร questo il senso anche del sorprendente appello del biblico Qohelet a ยซnon essere troppo giustiยป (7,16).
A questo punto vorremmo, invece, invertire i ruoli e mostrare come la religione possa essere uno stimolo fecondo per il diritto e non solo quando ribadisce il valore della giustizia, ma anche quando diventa una spina nel fianco con la sua provocazione. ร il caso di quella Magna Charta del cristianesimo che รจ il โDiscorso della montagnaโ di Gesรน (Matteo 5-7). Esso, a prima vista, sembra il sovvertimento e persino la negazione del diritto coi suoi precetti radicali: ยซnon giudicareยป, ยซporgere lโaltra guanciaยป, perdono del nemico e cosรฌ via. A questo riguardo il pensatore Jean Charbonnier osservava: ยซIl diritto รจ certamente giustizia e attribuisce a ciascuno il suo dovuto, ma รจ anche grazia, ricerca della pace, ripristino della concordia e dellโamore. Lรฌ potrebbe essere la sostanza del diritto evangelicoยป, presente in quelle pagine matteane.
La funzione di essere coscienza critica puรฒ espletarsi da parte della religione in vari modi, a partire dagli imperativi del Decalogo e dalla voce dei profeti che, ad esempio, con Isaia denunciano la giustizia ingiusta: ยซGuai a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto lโinnocenteโฆ Guai a coloro che emettono decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per defraudare gli orfaniยป (5,23; 10,1-2). Oppure รจ la stessa legislazione biblica che, pur essendo โincarnataโ in coordinate storiche contingenti, puรฒ trasformarsi in monito morale attuale anche per una questione rovente dei nostri giorni: ยซVi sarร una sola legge per il nativo e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voiโฆ Quando uno straniero risiederร presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Lo straniero residente fra voi lo tratterete come colui che รจ nato tra voi. Anzi, lo amerai come te stesso, perchรฉ anche voi siete stati stranieri in terra dโEgittoยป (Esodo 12,49; Levitico 19,33-34).
Siamo, cosรฌ, su un terreno nel quale lโappello etico puรฒ penetrare anche nelle aule processuali e nellโesercizio del potere giudiziario, oltre che nel palazzo della politica. In questa luce รจ facile evocare molti ammonimenti sottesi agli aforismi della tradizione classica e cristiana, a partire dalla certezza del diritto messa in crisi dalla proliferazione elefantiaca delle leggi: Corruptissima republica plurimae leges, affermava giร Tacito (Annales III, 27, 3), ripreso anche dallโ Esprit des lois di Montesquieu. Parallela รจ anche lโesortazione alla perspicuitร lineare della legislazione per una sua comprensione aperta a tutti, come sosteneva nelle sue Epistolae ad Lucilium Seneca: Legem brevem esse oportet quo facilius ab imperitis teneatur.
La morale sapienziale, poi, ha coniato, pare fin da Solone, il detto purtroppo sempre valido che compara le leggi a ยซuna ragnatela: se vi cade qualcosa di leggero, essa lo trattiene, mentre ciรฒ che รจ pesante la rompe e fugge viaยป. Un motto che due scrittori come Carlo Porta e Honorรฉ de Balzac hanno reso con una metafora molto vivace. Eccola nella versione di Balzac: ยซLe leggi sono ragnatele che le mosche grosse o i calabroni sfondano, mentre le piccole vi restano impigliateยป (in Maison Nucingen del 1838). Anche a questo livello piรน semplice e popolare, diritto e morale possono procedere insieme.
Legalitร e religione
Intendiamo col termine โlegalitร โ lโosservanza delle leggi, un capitolo estremamente vario nelle sue applicazioni perchรฉ deve calibrare lโincontro tra lโoggettivitร della norma e la soggettivitร della coscienza e dellโadesione del singolo. Si tratta di un incrocio spesso arduo nella sua concretezza, come insegna il tema dellโobiezione di coscienza che non รจ possibile affrontare ora nelle sue molteplici sfumature e implicazioni. Noi ci accontentiamo, invece, di sviluppare la questione con una premessa di indole generale e con una successiva applicazione particolarmente grave e rilevante che attiene al sistema criminale alternativo alla legalitร .
La premessa punta al legame tra etica e legalitร , considerato dal punto di vista della morale. Mentre รจ evidente che alcune norme giuridiche sono cogenti anche in sede etica, possono esserci di primo acchito imposizioni legali prive di impatto morale. Tuttavia, anche in questo settore si possono registrare esempi significativi che ripropongono quel vincolo. Facciamo un paio di esempi. Pensiamo innanzitutto al codice della strada che, a una prima impressione, puรฒ apparire solo come un regolamento legale asettico, apparentemente estraneo al dominio morale. Ma come non vedervi in azione anche una delle virtรน cardinali, la prudenza? Una sua violazione grave, che conduce al cosiddetto โomicidio stradaleโ, rivela chiaramente che lโosservanza di quelle regole ha un rilievo non solo penale ma anche morale.
Ancor piรน emblematico รจ il secondo esempio che suggeriamo, quello riguardante il sistema fiscale. Esso puรฒ sembrare solo una struttura politicogestionale della cosa pubblica. Si tratta, invece, di una realtร che รจ finalizzata al bene comune e, come tale, ha implicazioni etiche. Non era, perciรฒ, corretta una prassi spesso in passato sostenuta anche in ambito teologico secondo la quale lโevasione o lโelusione fiscale era considerata merepoenalis, cioรจ unโimposizione che ricadeva soltanto sotto il regime della punizione legale e non aveva ridondanza morale. Si รจ, cosรฌ, creato indirettamente anche quello scarso senso dello Stato, tipico di alcuni paesi a matrice cattolica.
Certo da un lato, la corruzione politica cade giร evidentemente sotto il marchio non solo della penalitร ma anche della moralitร . Dโaltro lato, perรฒ, essa non puรฒ costituire un alibi per lโevasione fiscale. Lโosservanza delle norme tributarie รจ da san Paolo esaltata in modo netto e in chiave morale-religiosa nel paragrafo giร citato della Lettera ai Romani (13,1-7), tanto che egli giunge al punto di affermare: ยซPagate le tasse: quelli che sono incaricati dellโesazione sono al servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciรฒ che gli รจ dovuto: a chi si devono le tasse, versate le tasse; a chi lโimposta, lโimposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispettoยป (13,6-7). Non si dimentichi che allora a capo dellโimpero romano cโera Nerone.
Affermato il legame dellโetica col diritto attraverso i due esempi appena indicati, ora possiamo allargare la nostra considerazione su una grave questione spinosa, la coesistenza serena e persino codificata tra sacro e criminalitร , una contiguitร che trasforma la religione in un sostegno paradossale per giustificare lโillegalitร e il delitto. In questo ambito svetta la realtร mafiosa, studiata secondo tale prospettiva da vari saggi, tra i quali spiccano quelli di Alessandra Dino, La mafia devota. La Chiesa, la religiositร , Cosa Nostra (Laterza, Roma-Bari 2008) e di Salvo Palazzolo e Michele Prestipino, Il codice Provenzano (Laterza 2007). Siamo in presenza di un fenomeno registrato giร dai profeti biblici che lo condannavano con veemenza. Lapidaria รจ, al riguardo, una frase che Isaia mette in bocca a Dio: ยซNon posso sopportare delitto e solennitร ยป (1,13). E il discorso divino proclamato dal profeta รจ molto articolato, giungendo al punto di denunciare come farsa sgradevole la ritualitร del criminale, la sua preghiera ipocrita, le sue false devozioni, perchรฉ ben altro รจ il culto che Dio si attende: ยซCessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustiziaยป (1,16-17).
La religiositร dei mafiosi ignora questo che รจ il cuore della vera fede e, senza imbarazzo โ come ricorda il citato magistrato Prestipino, che del tema รจ un grande esperto (potremmo dire in corpore vili) โ si giunge al paradosso per cui ยซun killer di Cosa nostra, ogni volta che gli ordinavano di commettere un omicidio, prima si recava in Chiesa e pregava s. Rosalia perchรฉ lo proteggesse e perchรฉ lโazione andasse a buon fine e, dopo averla commessa, tornava dalla santa per ringraziarla del buon esito dellโazioneยป. Queste degenerazioni blasfeme e idolatriche si sono trasformate in un vero e proprio culto perverso tra i โnarcosโ del Messico con la venerazione della โSanta Muerteโ, modellato sulla popolare Vergine di Guadalupe. Da noi le esemplificazioni sono piรน immediate, come attestano i โpizziniโ religiosi (sic!) di Bernardo Provenzano che citavano ininterrottamente Dio, Gesรน Cristo e la divina Provvidenza o come si scopre attraverso gli altarini, i vari santini, persino le Bibbie e i testi spirituali, i libri di preghiere ritrovati nei covi o nei bunker dei mafiosi.
In realtร si tratta di una deformazione religiosa in cui la Chiesa deve ora porsi โ e lo fa anche sotto lo stimolo delle staffilate di Giovanni Paolo II o di papa Francesco e delle testimonianze di figure come il beato don Pino Puglisi โ in antitesi assoluta a questa che รจ in realtร irreligiositร e ipocrisia blasfema, divenendo una costante spina nel fianco di ogni forma mafiosa. Questa scelta puรฒ essere anche una catarsi per certe connivenze del passato quando alcuni pastori in anni di guida di una diocesi o parrocchia non osavano pronunciare mai la parola โmafiaโ o โโndranghetaโ o โcamorraโ, oppure quando parroci, come ricordava Alessandra Dino nel suo saggio, ai funerali di un capo-mafia non esitavano ad appellare alla ยซgiustizia divina, la sola che non sbaglia e alla quale nessuno puรฒ sottrarsi e raccontare il falso, mentre quella terrena puรฒ commettere grandi erroriยป. Come ha sottolineato il noto magistrato Giuseppe Pignatone, la religiositร mafiosa sfrutta ยซil legame esistente tra la Chiesa e larghi strati delle popolazioni dellโItalia meridionaleยป adottandolo come ยซsovrastruttura permanente attraverso cui camuffare la reale essenza dellโorganizzazioneยป basata sulla violenza, lโingiustizia, lโillegalitร , ossia sullโesatto opposto dellโautentica fede.
Meritano, perciรฒ, di essere segnalati gli inequivocabili appelli e giudizi che il magistero ecclesiale piรน alto ha moltiplicato in questi ultimi decenni, a partire dalle ormai famose parole di san Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993 ad Agrigento: ยซLa nostra fede esige una chiara riprovazione della cultura della mafia, che รจ una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignitร della persona e della convivenza civileยป. Nel 2010 erano, invece, i vescovi italiani a ยซcondannare con forza una delle piaghe piรน profonde e durature del Mezzogiorno, un vero e proprio cancro, una tessitura maleficaโฆ
Le mafie sono la configurazione piรน drammatica del โmaleโ e del โpeccatoโยป. Nello stesso anno, il 3 ottobre 2010, a Palermo era Benedetto XVI a sollecitare i giovani a ยซnon cedere alle suggestioni della mafia che รจ una strada di morte, incompatibile col Vangeloยป. Un monito che papa Francesco ha ribadito con sdegno a Napoli, nel quartiere emblematico di Scampia il 21 marzo 2015, ricorrendo a quellโinedito termine secondo il quale ยซla corruzione spuzzaยป, evocando quindi non solo il fetore del sangue versato ma anche il tanfo morale che avvolge quella struttura perversa. Ed รจ dei nostri giorni lโimpegno comune di Chiesa e Stato con tutti i loro organi istituzionali โ soprattutto nella regione calabrese โ per erigere una barriera contro la violenza mafiosa, togliendole gli alibi religiosi delle processioni e dei santuari (Polsi ne รจ unโattestazione esplicita).
La voce di Cesare Beccaria
Lโesercizio della giustizia รจ un atto talmente alto e delicato che deve sempre imporre al giudice ยซtimore e tremoreยป, per usare unโespressione paolina (1Corinzi 2,3). Anche se si รจ adottato comunemente a livello di lessico il lemma โpotere giudiziarioโ, bisogna sempre ricordare che si tratta, piรน che di un dominio, di un servizio alla comunitร da espletare con competenza giuridica, con rigore documentario, con umiltร morale. Il magistrato dovrebbe, perciรฒ, rivolgere a se stesso lโinterrogativo di Dante (anche se nellโoriginale destinato a un diverso oggetto): ยซOr tu chi seโ, che vuoโ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta dโuna spanna?ยป (Paradiso XIX, 79-81). ร la consapevolezza del proprio limite creaturale perchรฉ, come scriveva Jorge
Luis Borges nella poesia Calma spavalda, ยซLa mia umanitร sta nel sentire che siamo voci / di una comune indigenzaยป. ร questa consapevolezza che rende piรน capace il giudice di unire giustizia ed equitร , come abbiamo sopra indicato.
Concludo la riflessione, ampia ma sempre incompleta, finora condotta con una testimonianza personale. Dal 1989 al 2007 come Prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana ho custodito, oltre al Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, opere dโarte e migliaia di codici manoscritti letterari, storici, teologici, artistici, giuridici. Alle mie spalle, nella cosiddetta โSala del Prefettoโ, cioรจ nello studio ufficiale, si levava la libreria di Cesare Beccaria che, oltre a vari volumi, conservava molti vari suoi testi autografi. Tra questi campeggiava il manoscritto originale, tormentato a livello di stesura, dellโopera che lo ha reso celebre, Dei delitti e delle pene (1764). Vorrei, perciรฒ, lasciare a lui la parola per tre note finali rispettivamente sulla certezza delle pene, sulla pena di morte e sulla prevenzione.
ยซUno dei piรน gran freni dei delitti non รจ la crudeltร delle pene, ma lโinfallibilitร di esseโฆ La certezza di un castigo, benchรฉ moderato, farร sempre una maggior impressione che non il timore di un altro piรน terribile, unito con la speranza dellโimpunitร ยป (c. XXVII, โDolcezza delle peneโ).
ยซParmi un assurdo che le leggi che sono lโespressione della pubblica volontร , che detestano e puniscono lโomicidio, ne commettano uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dallโassassinio, ordinino un pubblico assassinioยป (c. XXVIII, โDella pena di morteโ).
ยซร meglio prevenire i delitti che punirgliยป (c. XLI, โCome si prevengono i delitti).