Celebrazione eucaristica per le Esequie del Maestro Franco Zeffirelli – Omelia del Card. Betori

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L’uomo vive fatalmente la morte come una lacerazione, una ingiustizia che si abbatte sulla sua aspirazione profonda a conservare intatto il bene della vita. Ne era ben consapevole il maestro Zeffirelli, quando in una recente intervista confessava: «Ho paura di morire. Sono credente e prego molto, ma quando in giardino mi guardo intorno, dico ai miei figli: pensate, prima o poi non potrò più godere di questa meraviglia, non vedrò più questa bellezza». Non sono parole di una fede debole, al contrario. Esse riflettono sentimenti che i vangeli riconoscono nel cuore stesso di Gesù, che, nell’approssimarsi alla morte, giunge a chiedere al Padre che gli sia risparmiato il calice amaro della sofferenza, e che teme il distacco dai suoi discepoli. La morte è cosa seria e chi ha fatto esperienza profonda e ricca della vita non può non sentire il peso delle cose che finiscono.

Di fronte a questo strappo, in particolare quando ci priva di persone che ci sono care, c’è solo dolore e una profonda inquietudine per un senso che sembra mancare. Quello che chiediamo alla fede in questo momento è il dono di un significato, di una luce che ci permetta di attraversare questo buio sfuggendo all’angoscia e al tormento.

La risposta che Gesù ci offre, quella che offre ai suoi discepoli nella pagina del vangelo ‘ un dialogo che precede di poco la sua Passione ‘ è anzitutto una prospettiva di condivisione: anch’egli si appresta a entrare nel mistero della morte e quella che è la sorte di ogni uomo diventerà anche il suo destino, per di più nell’atroce supplizio della croce. Ma, accanto a questo suo rassicurante farsi nostro compagno fino al fondo della vita, egli annuncia anche che oltre la morte si apre per lui e per tutti noi un’altra condivisione, quella della casa sua e del Padre suo, in cui egli va a preparare un posto per ciascuno di noi.

È l’annuncio della risurrezione, che nelle parole di Gesù prende le forme di un’esperienza familiare, quella di una casa da condividere per l’eternità, mentre nelle parole di Isaia, ascoltate nella prima lettura, ci è stata descritta come la profezia di un evento che sconvolge il mondo, nell’immagine di un velo che viene tolto e finalmente le cose, le nostre stesse vite, escono dalla penombra della nostra parziale comprensione per apparire nella loro piena verità: un destino di luce, la partecipazione a un banchetto che non vuole escludere nessuno, la sparizione della sofferenza, la sconfitta della morte, la presenza di Dio a tutti. E tutto questo «per sempre».

Non siamo fatti per la fugace comparsa di un tempo delimitato su questa terra. Il Padre ha per i suoi figli un progetto che va oltre questo tempo. La fede ora ci aiuta a togliere, nella speranza, il velo che avvolge il mondo e ci proietta oltre il tempo nell’eternità di un abbraccio, quello di un Padre che non lascia che i suoi figli siano preda del nulla. Ed è questa fede a dare senso ai nostri giorni quaggiù. Lo dico con parole del maestro, anch’esse tratte da un’intervista degli ultimi tempi: «Dobbiamo sperare. Solo quello. Affidarci e sperare. La fede è un dono, ne sono certo. L’ho avuto e devo tenerlo stretto».

Nel condividere questa esplicita affermazione di fede, non vogliamo però che ci sfugga anche la concretezza della persona che oggi affidiamo alle braccia del Padre. Il momento del distacco può diventare momento di malinconia, di rimpianto, ma nella fede deve diventare ricordo grato. La vita di un uomo è un dono che ci è stato dato e che ha inciso nel cammino di ciascuno di noi, per il quale ciascuno in questo momento è invitato a dire grazie al Signore che ce lo ha fatto incontrare, per la sua irripetibile persona e per ciò che attraverso di lui ci è giunto di bene. Ognuno ha i suoi ricordi. Uno lo ha anche chi vi parla, che non può dimenticare che il giorno in cui giunse vescovo in questa città trovò Franco Zeffirelli ad accoglierlo ai piedi dell’immagine di Maria cara a tutti i fiorentini, quella della Ss.ma Annunziata. So che nel giorno del mio ingresso egli volle a tutti i costi avere la possibilità di dirmi benvenuto in questa sua città che stava per diventare anche la mia, e questo avvenne sotto lo sguardo di Maria, immagine di quella maternità che a lui era stata troppo presto negata. Per me fu un segno che Firenze mi avrebbe voluto bene, nella sua Madre e nei suoi figli, di cui quell’uomo, così illustre e famoso nel mondo, si faceva interprete. Ognuno di voi a questo punto può aggiungere nel suo cuore le esperienze di incontro con la persona del maestro o delle sue opere e riconoscere il dono di bellezza, di gioia, di fraternità che queste esperienze hanno seminato nel cuore.

Tutto questo non scompare con la morte, perché come ci ha assicurato l’apostolo Paolo il mistero della risurrezione non segna una cesura da questo mondo, bensì la sua trasfigurazione. L’attesa di un mondo nuovo non è solo il desiderio profondo del cuore, ma il progetto di una creazione che attende un nuovo parto. Questo mondo non viene annullato, ma ricreato, e la storia non scompare da noi ma ci segue per essere anch’essa trasfigurata e quindi compresa nella sua intenzionalità più profonda. Mi affido ancora a parole di Franco Zeffirelli che ridicono la dottrina di Paolo in espressioni di profonda semplicità: «Il Paradiso’ Non penso che sarà un luogo in cui la storia si ripeterà, ma immagino possa essere un luogo dei ricordi dove la nostra vita sarà compiuta dall’incontro con Dio».

La vita che Franco Zeffirelli porta con sé davanti al Signore è quella di un uomo di cultura, di un artista. Nell’espressione culturale e artistica la Chiesa riconosce una modalità alta della vocazione dell’uomo alla trascendenza e quindi un’esperienza che si intreccia con il cammino della fede. Mi affido alle parole del Santo Papa Paolo VI, con il quale il maestro più volte si confrontò mentre preparava il Gesù di Nazareth: «Voi [artisti] avete anche questa prerogativa, nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo allo stesso tempo». Di qui la grandezza dell’arte e della missione che le è affidata, di cui Franco Zeffirelli è stato un protagonista universale. Di qui l’attenzione che la Chiesa riserva agli artisti, grata per come attraverso le loro opere l’uomo venga richiamato ai suoi interrogativi più profondi e indirizzato verso un oltre che lo svincoli dalle miserie del consumismo e dell’utilitarismo.

Al Signore Gesù Franco Zeffirelli consegna anche la sua radicata fiorentinità. Solo chi è o diventa davvero fiorentino può comprendere la grazia e il tormento di essere impregnato della storia grande e del carattere complesso di questa città. Tutto questo il maestro ha espresso in una vita che ha portato lui e le sue opere in tutti gli angoli del mondo, ma in cui egli si è sempre sentito figlio di questa città, ne è stato testimone del suo volto più bello e glorioso, quello rinascimentale. Per questo la città, anche accogliendolo per l’ultimo suo saluto nella sua cattedrale, oggi gli manifesta gratitudine, orgogliosa di lui.

Da ultimo, non possiamo nascondere che questa nostra celebrazione, come accade per le esequie di ogni credente, non è solo proclamazione di fede, memoria grata, ma anche invocazione di misericordia. Di perdono e misericordia abbiamo bisogno tutti di fronte al mistero di Dio. Ne era ben consapevole Franco Zeffirelli, che parlando di sé si collocava nell’orizzonte della fede, «quella alla quale mi sono aggrappato nei momenti difficili, da peccatore certo, ma soprattutto da uomo che ha sempre riposto la fiducia nel Signore». Parole che sentiamo di poter e dover condividere, sia nel riconoscimento delle fragilità, sia nell’aspirazione all’affidamento al Signore. Per questo sentiamo di doverci far voce di questo nostro fratello che si accosta al trono di Dio, invocando per lui e con lui la misericordia di cui tutti abbiamo bisogno e che il Padre non nega ai figli che gli si affidano. Alla paternità di Dio, che è ben oltre e sana ogni paternità umana, affidiamo il nostro fratello Franco, perché i riflessi della bellezza eterna che egli ha diffuso tra noi siano ora da lui contemplati in pienezza per l’eternità.

Giuseppe card. Betori

Arcivescovo di Firenze

Foto: ANSA