La settimana centrale dell’Anno Liturgico, cuore pulsante da cui scaturiscono tutti i giorni santi (cf. Annuncio del giorno di Pasqua nella solennità dell’Epifania), viene definita in vari modi, appartenenti alle varie tradizioni ecclesiali e liturgiche: settimana santa, settimana autentica, grande settimana. Nella differenza della denominazione, un richiamo è chiaro: nello spazio dell’Anno Liturgico, in cui siamo chiamati a contemplare il mistero di amore del Cristo, in questa settimana, culmine del cammino quaresimale, il tempo si dilata fino a farci rivivere in forma memoriale, rituale e reale l’esodo pasquale di Gesù.
La denominazione ambrosiana “Settimana Autentica” ci aiuta a cogliere l’aspetto storico, autenticamente narrativo della settimana, e ci incoraggia ad intraprendere un reale cammino di conversione. La definizione di Settimana Santa, tipica della liturgia romana, rimanda alla centralità di questi giorni in cui la liturgia ci offre l’opportunità d’immergerci negli eventi centrali della Redenzione, di rivivere il Mistero Pasquale, il grande mistero della nostra fede: Cristo Gesù assume su di sé le debolezze dell’essere umano e, obbediente al disegno salvifico del Padre, «accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi ad una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza» (Prefazio della Domenica delle Palme).
La Domenica delle Palme va intesa come un grande portale che permette al Popolo santo di Dio di potersi introdurre nella Settimana più importante e più solenne di tutto l’anno liturgico. In questo giorno la Chiesa commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, osannato dalla folla (cf. Mt 21,1-11 e par.), e, nondimeno, l’inizio del suo mistero pasquale di morte e risurrezione, in quanto il Figlio di Dio entra nella Città Santa per celebrare la sua Pasqua, quella definitiva, che, passando attraverso l’umiliazione della croce, ha ottenuto per l’uomo la salvezza.
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La Messa in «Cena del Signore» rappresenta il preludio e la porta d’ingresso del Triduo Pasquale. Seppur sotto il profilo della temporalità, noi celebriamo e scandiamo in tre momenti celebrativi l’evento pasquale: i tre giorni del Triduo rappresentano un unicum nel quale la Chiesa celebra la globalità del mistero pasquale. Come mostrano, infatti, i continui legami proposti dalla liturgia, ciascun giorno del Triduo, pur concentrando l’attenzione su una delle fasi della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù, mette sempre in luce l’intero evento pasquale.
Il Giovedì Santo la liturgia ci porta a fare memoria dell’Ultima Cena, nella quale Gesù istituisce l’Eucaristia, dando compimento al rito pasquale ebraico legato all’immolazione degli agnelli e anticipando il senso salvifico della sua morte e risurrezione: Gesù è il vero agnello pasquale. Accanto all’esplicito riferimento all’istituzione dell’Eucaristia nel contesto dell’Ultima Cena, questa celebrazione si caratterizza per la presenza del segno rituale della lavanda dei piedi. Già conosciuto nell’Antico Testamento (cf. Gen 18, 4) e nei primi secoli dell’era cristiana, il gesto della lavanda dei piedi fu curato anzitutto dalle comunità monastiche.
Nel 694 il Concilio di Toledo colloca questo segno il Giovedì Santo, rendendolo obbligatorio per tutti i vescovi e presbiteri nei riguardi dei loro fedeli. La lavanda dei piedi sarà introdotta a Roma a partire dal X secolo, come elemento proprio della liturgia vespertina del Giovedì Santo. Essa può essere interpretata in due modi: come segno battesimale o di purificazione e, soprattutto, come esempio di umiltà dato da Cristo ai suoi discepoli prima della sua passione.
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Nel Venerdì Santo la Chiesa non celebra la vittoria della morte, ma la morte vittoriosa di Cristo Signore e la salvezza che viene dall’albero della croce, nel quale è racchiusa la storia di Dio, che «ha voluto assumere la nostra storia e camminare con noi» (Papa Francesco, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae – L’albero della croce, sabato, 14 settembre 2013). I tre elementi tradizionali che accompagnano il radunarsi della Comunità ecclesiale in questo giorno sono: la Liturgia della Parola, il cui centro è costituito dalla lettura evangelica della “Passione secondo Giovanni” e dalla lunga Preghiera Universale in cui si alternano la proclamazione dell’intenzione di preghiera da parte di un fedele e l’orazione del ministro che presiede la celebrazione; l’adorazione della croce, già attestata nei Titoli di Roma a partire dal VII secolo; ed infine la comunione con le specie eucaristiche consacrate nella Messa in «Cena del Signore».
Il Sabato Santo, giorno in cui la terra tace perché il suo Signore e Redentore è sceso nel buio del sepolcro, predomina il silenzio, il raccoglimento, la meditazione, per Gesù che giace nel sepolcro prima della gioia della Domenica di Pasqua con l’annuncio della Risurrezione. La Chiesa, come le donne «sedute di fronte alla tomba» (Mt 27,61), sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte, la discesa agli inferi, aspettando nella preghiera e nel digiuno la sua risurrezione.
La Veglia Pasquale è il momento culminante del Triduo Sacro e dell’intera Settimana Santa. Essa è conosciuta come “la madre di tutte le Veglie”, in cui si celebra – secondo la nota espressione di San Leone Magno – «totum paschale sacramentum». Questa celebrazione è caratterizzata da una ricca struttura rituale che affonda le sue origini nel VII secolo: la liturgia della Parola, l’amministrazione del battesimo e la celebrazione eucaristica. Un insieme di ossimori fanno da cornice all’intero quadro celebrativo: morte/vita, tenebra/luce, peccato/rigenerazione. Difatti in questa notte si celebra il memoriale della risurrezione del Signore i cui frutti salvifici intendono raggiungere ogni uomo chiamato a morire al peccato e ad abbandonare ogni sorta di tenebra che avvolge la propria esistenza, per vivere perennemente nella luce della Pasqua di Cristo.
Nel PDF messo a disposizione nel sito della CEI è possibile leggere molti altri approfondimenti.