Prefazio V domenica di Quaresima
La via dell’esodo nel deserto quaresimale
Tu riapri alla Chiesa la strada dell’esodo
attraverso il deserto quaresimale,
perché ai piedi della santa montagna,
con il cuore contrito e umiliato,
prenda coscienza della sua
vocazione di popolo dell’alleanza,
convocato per la tua lode
nell’ascolto della tua parola
e nell’esperienza gioiosa dei tuoi prodigi.
La Comunità cristiana nel mondo è chiamata ad annunciare, celebrare e testimoniare la Pasqua del Signore: è questo Mistero che la Chiesa proclama con la sua azione a tutti i livelli e con tutti i linguaggi, ed è con la vitalità di questo Mistero che la Comunità cristiana è presente nella storia, nel mondo. I “quaranta giorni” che precedono la Pasqua sono il cammino in cui lo sguardo della Chiesa è puntato sul Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. La Quaresima non può che essere tutta rivolta verso la Pasqua. Non ci sarebbe Quaresima senza Pasqua. Non si potrebbe camminare senza una direzione, senza un orizzonte che si apra davanti a noi, e che ci dischiuda il senso della vita.
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“Tu riapri alla Chiesa la strada dell’esodo attraverso il deserto quaresimale…”
Quaresima, comincia il deserto. Il deserto è il luogo dell’essenziale, l’essenziale è il nome dello stile che dobbiamo assumere per dare testimonianza. Possiamo ancora una volta fare spazio nella vita, svuotandola di ciò che è ingombrante, prendendo il posto che non gli spettava: denaro, potere, successo, sono tutti i riempitivi che tendenzialmente riducono, restringono la visuale su Dio e sugli altri.
La Chiesa così è invitata a prendere “coscienza della sua vocazione di popolo dell’alleanza, convocato per la tua lode, nell’ascolto della tua parola e nell’esperienza gioiosa dei tuoi prodigi”.
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Per diventare santi ci vuole tempo, non basterà una Quaresima. Nella strada dell’esodo abbiamo una via riaperta verso la libertà, nella vocazione che caratterizza la nostra identità. Prendere coscienza della nostra identità significa riconoscere la vocazione di persone che crescono nella consapevolezza dell’amore del Signore, il quale convoca il suo popolo per amarlo, comprenderlo, sostenerlo nel cammino. Il Signore in questo modo non è lì a sorprendere le nostre debolezze, ma a moltiplicare le nostre forze; Lui non fa conto del nostro peccato, ma punta il suo sguardo sul bene che possiamo ancora realizzare, sulla testimonianza che possiamo ancora esprimere.
È questo che avviene con la celebrazione eucaristica: Dio vuole e può realmente operare qualcosa di nuovo per la vita di uomini e donne che fanno parte della Chiesa, che abitano il mondo. Lo spazio e il tempo sono riformati dalla celebrazione eucaristica: lì avviene l’incontro con il Signore della vita e della storia, incontro che qualifica inequivocabilmente la nostra vita come cristiana. Con la celebrazione noi entriamo nel gioco libero e fedele della relazione con Lui, vi entriamo come gente che è sua.
Per entrare in un contesto bisogna necessariamente uscire da un altro. Ogni domenica dobbiamo lasciare la nostra casa, varcare la soglia della porta di ingresso e lasciarla alle nostre spalle. La verità del nostro celebrare e quindi del nostro accogliere il Signore comincia di qui. Celebrare l’Eucaristia implica questa apertura di mente e di cuore, questa disponibilità a mettersi in cammino, a uscire da noi stessi, dalle mura di casa nostra, da tutto ciò che ci attanaglia. Devi uscire anche da quello che vorresti sul momento, dal tuo gusto personale, devi uscire anche dalle tue idee su Dio. Devi uscire per entrare. Devi compiere un esodo.
Il Prefazio porta nel suo testo il senso di tutto quello che accade nella celebrazione eucaristica, e mette in luce la vocazione per i cristiani ad essere popolo dell’alleanza, un popolo che segue il suo maestro e guida, che ascolta la sua chiamata per vivere in comunione con Lui. Ascoltare come popolo la Parola di Dio significa lasciarsi rivolgere quella domanda che sta alle origini del rapporto tra Dio e l’uomo: “Dove sei?”. Devo lasciare che Lui parli alla mia vita senza censure, senza scappare, senza temere per la mia incolumità, senza pensare di avere una sorta di immunità nei confronti della Parola di Dio.
Lasciamoci veramente rieducare ogni volta da questa Parola, lasciamo che porti via incrostazioni, pessimismo, sfiducia, amarezze, giudizi, rancori. Compiamo un vero esodo che significa uscire per entrare: usciamo dalla schiavitù dell’Egitto ed entriamo nella libertà della Terra Promessa, nel ritmo liturgico-sacramentale della storia salvifica, che sempre è ‘attesa, profezia e compimento’, e mai ‘disfatta, tracollo, fallimento’.
Nella vita di Gesù, nella sua vicenda terrena, nella sua storia personale fino alla morte in Croce e alla Risurrezione, si rende evidente che tutto quello che è successo è realmente una chiave di ingresso per scoprire il senso della vita umana. Nella vita di Gesù noi troviamo il ritmo che dà senso alla nostra vita. La sua vita è il tempo del senso. In quel tempo, tempo denso di senso e di prospettive, viene rivelato ciò che normalmente non emerge, non si nota.
Si trova il riverbero di ciò che è avvenuto una volta per tutte ma che ogni volta è disponibile per me nella celebrazione eucaristica. La misericordia di Dio si è espressa nella storia di Gesù con “gesti e parole”, questi gesti e parole si ripercuotono nella celebrazione ripetuta dalla Chiesa: Dio continua a donarsi al suo popolo e a renderlo “nuovo” aprendo nel deserto quaresimale la strada dell’esodo che conduce alla contemplazione e all’esperienza dei prodigi che Dio continuamente compie per il suo popolo. E tutti noi siamo invitati a ritrovare il coraggio di venerare e adorare colui che è il Signore, il Maestro, l’Unto, il Messia, il Figlio di Dio. Chiediamo il coraggio di riconoscerlo così davanti a tutti, senza vergogna