La Domenica della Samaritana, terza Domenica di Quaresima, pone al centro dell’esperienza di conversione il dono della fede e il tema battesimale dell’acqua. Il grido del popolo assetato nel deserto provoca la fede di Mosè e la misericordia di Dio (I lettura), così come la Samaritana con la sua sete di fede e verità provoca la rivelazione di Gesù al pozzo di Sicar (Vangelo): è lui che dona l’acqua viva che scaturisce dal suo costato aperto, effusione del dono dello Spirito, che, sgorgato da Cristo crocifisso e risorto, è stato effuso nei credenti (II lettura).
Il tema battesimale dell’acqua riporta la comunità alle sorgenti dell’esperienza credente e alla fecondità della sua testimonianza.In questa Domenica, laddove si celebra il primo degli scrutini di preparazione al Battesimo per gli eletti che saranno battezzati nella prossima Veglia pasquale, si utilizza il formulario proprio (MR p. 764).La liturgia di questa terza Domenica di Quaresima è esperienza comunitaria e personale del senso ecclesiale e spirituale dell’udito.
La Chiesa, come ogni discepolo di Cristo, è capace di ascoltare Dio e l’umanità, perché il Signore stesso si è messo in ascolto del grido del popolo provato dalla sete nel deserto, si è lasciato attrarre dalla sete della Samaritana al pozzo di Giacobbe e ha ascoltato la sua invocazione di verità e di fede. La liturgia odierna offre la possibilità di riattivare la capacità di ascolto della Parola e dei gemiti e delle speranze della nostra umanità assetata di fede e di amore vero.
COME LA CERVA ANELA Al CORSI D’ACQUA
Il percorso biblico, offerto dalla III alla V domenica di Quaresima del Lezionario A, ha un chiaro rimando battesimale con i riferimenti all’acqua (III), alla luce (IV), alla vita nuova (V). Si tratta di uno schema che offre un supporto importante per una riflessione sul Battesimo e sulle implicazioni esistenziale che esso offe al credente di oggi. Sappiamo che questo itinerario spirituale è originariamente rivolto ai catecumeni, pertanto lo sguardo si amplia ricordando che in queste domeniche il RICA propone anche le Traditiones, le consegne del Simbolo di Fede e della Preghiera del Signore (qualora non fossero state anticipate per motivi pastorali). A questi riti liturgici si aggiungono gli Scrutini che intendono offrire una scrutatio, una verifica del vissuto del catecumeno alla luce della Parola, per vagliare quanto il Vangelo stia fruttificando nella vita del discepolo per farne un apostolo, testimone e annunciatore del Signore. Il tutto è supportato dai riti di “purificazione” che sono gli Esorcismi maggiori, benedizioni speciali che preparano al grande lavacro battesimale.
COSI’ L’ANIMA MIA ANELA A TE, O DIO
Il tema di fondo che accompagna le letture è il simbolo dell’acqua, che possiamo desumere principalmente dal Vangelo e dalla Prima Lettura, anche se nell’ordine del dissetare e non del lavare-purificare. Nel testo dell’Esodo (17,3-7) si evince la crisi che il popolo d’Israele vive nel deserto per la mancanza di acqua. Nonostante i ripetuti segni della cura divina che accompagna gli esuli, narrati nel capitolo precedente (la manna e le quaglie), il popolo pressa Mosè; questi si rivolge a Dio, che gli concede una fonte d’acqua dopo che Mosè ebbe battuto sulla roccia con il bastone che lo aveva supportato in Egitto. Quel luogo assume un nome indicativo, Massa, ossia “prova” e Meriba, “contesa”. Il popolo, come ogni uomo, non può vivere senza l’acqua: è elemento essenziale, ma esso evoca anche una sete più profonda, un bisogno più radicale che abita il cuore umano. Una prova che può generare un contenzioso, un alterco, con Dio e tra il popolo. Riconoscere la sete che abita nel cuore dell’uomo, in primis di amore, di fiducia in sé stesso e soprattutto in Dio su cui poggiare la propria vita come su di una roccia, permette di trasformare una vita arida in fonte d’acqua.
Come quella roccia è stata “spaccata” dal bastone di Mosè, così avverrà nel contesto della crocifissione, quando la roccia, Cristo, sarà ferita, e sgorgherà dal costato l’acqua che disseta e purifica, come viene spesso inteso questo brano dai padri della Chiesa. La prova può inaridire il cuore del credente attivando un processo di confronto con Dio, anche acceso. Solo il riconfermare la fiducia in lui permette di riconoscere che la cura amorevole di un Dio che è Padre non abbandona mai i suoi figli. Il salmo 94 (95) così recita su questa esperienza:
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
Il Vangelo di Giovanni offre una serie di rimandi battesimali molto interessanti. Dopo aver presentato il Cristo come il Logos incarnato (prologo poetico, Gv 1,14) e l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (con le parole di Giovanni il Battista, sempre nel primo capitolo, nel prologo narrativo, Gv 1,29), inizia la sezione detta dei “segni” che prepara al grande evento della manifestazione di Dio nell’ora di Gesù sulla croce (Gv 2-12). Tali “segni”, appunto i miracoli, sono indicativi perché conducono verso il riconoscimento di Gesù come il Figlio di Dio. Anche gli incontri del Cristo pellegrino verso la sua ora/Pasqua sono indicativi. Dopo l’incontro con il mondo giudaico, attraverso il giudeo dubbioso, l’amico notturno che comparirà alla fine, alla morte del Maestro, Nicodemo (Gv 3,1-21), è la volta dei Samaritani (Gv 4,1-42) e poi dei pagani con il funzionario regio (Gv 4,46-54).
Il brano ha come sfondo il pozzo di Sicar e rimanda ad una storia di incontri e di contese, come ricorda l’annotazione iniziale del brano evangelico con i riferimenti a Gen 29,9-12 (l’incontro al pozzo tra Giacobbe e Rachele). Pertanto il rimando “teologico e tipologico” che si coglie subito dal narratore è che quell’incontro in Samaria richiama la vicenda amorosa di Giacobbe e Rachele, ma anche la vicenda di Giuseppe, rifiutato, rinchiuso in una «cisterna vuota, senz’acqua» (Gen 37,24). Due eventi che ricordano la stessa famiglia, uno lieto e l’altro triste, uno “fecondo d’acqua”, l’altro sperienza desertificante e di sofferenza.
Con questa chiave di lettura è possibile riflettere su Gesù che incontra la donna Samaritana e questo popolo. Si tratta di un incontro che rivela un bisogno di acqua, una sete che è più intensa e profonda di quanto la semplice acqua può soddisfare. Sappiamo anche dal brano che le relazioni tra Ebrei e Samaritani non sono buone, infatti la storia richiama la distruzione da parte degli Assiri del Regno del Nord (722 a.C.), la deportazione degli abitanti e l’introduzione forzata di popolazioni pagane in questa regione. L’esito era stato una contaminazione etnica e religiosa, confermata anche dallo scisma dal Regno del Sud, la Giudea, compiuto da Geroboamo (1Re 12,25-32). A questo si aggiunge il fatto che i Samaritani facevano prevalentemente riferimento al Pentateuco e non frequentavano il culto al tempio di Gerusalemme, riconoscendo il monte Garizim come luogo di culto.
L’ANIMA MIA HA SETE DEL DIO VIVENTE
Ordinariamente una donna non si reca al pozzo per attingere acqua a mezzogiorno a motivo del caldo; l’anomalia è legata, probabilmente, alla situazione della donna che non desiderava incontrare nessuno. Eppure quell’ora della giornata è la più luminosa, quindi può diventare una opportunità per quella donna per ricevere la luce ed il calore di cui ha profondamente bisogno. C’è un confronto interessante sul “dissetarsi” che mette in relazione Gesù e questa donna, di cui non conosciamo l’identità ma solo il suo stato di vita (cinque mariti, e l’attuale uomo con cui vive non è suo marito). C’è un intreccio tra il bisogno di acqua del Signore e quello della donna, entrambi bisognosi. È importante notare gli atteggiamenti del Signore e della donna, da ultimo, come una cornice, degli apostoli e del popolo samaritano.
In primo luogo Gesù appare “umano” nella sua stanchezza e bisognoso di acqua e in questa condizione incontra una donna che vive le proprie stanchezze e cerca di soddisfare un bisogno pratico, materiale, attingendo al pozzo. Il Maestro non è giudicante nei confronti di questa donna, ma si pone sullo stesso piano del bisogno di essere dissetato. Un processo di conversione e/o discepolato parte sempre da un bisogno che si confronta con uno sguardo accogliente del Signore, un cuore comprensivo e rispettoso che promuove una relazione di intimità feconda. Di fatto il dialogo si apre con la richiesta di acqua da parte del Signore che suscita meraviglia nella Samaritana a causa della diversa etnia di Gesù.
Il climax crescente del dialogo è percepibile dalle parole del Signore: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». E poco dopo: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». Si ha un passaggio sostanziale: dall’essere assetato al donare acqua, dal chiedere acqua per dissetarsi ad offrire un’acqua che disseta in eterno al punto da rendere sorgente.
Il cammino di fede che il credente è chiamato a compiere parte sempre da un bisogno, da una mancanza, da una incompletezza. L’andare ad attingere ad una fonte, quale può essere un momento spirituale, un percorso formativo, una esperienza di ascolto intimo della Parola, una celebrazione… offre al credente la possibilità di sentirsi atteso dal Signore al pozzo, a quel luogo di ristoro. Talvolta anche degli incontri casuali e non previsti, come quello del pozzo di Sicar, diventano una esperienza di annuncio della fede, un incontro generativo di vita nuova, che apre uno spiraglio di luce nell’intimo, per chi si lascia interpellare e toccare da questi eventi. Certi passaggi di vita sono soglie esistenziali, pasque esistenziali che permettono al credente di scorgere un di più, un mistero che si cela nell’intimo di se stessi offrendo una luce altra, una chiave di lettura della propria vita. Questo di fatto accade a questa donna.
Eppure l’essere riconosciuta nella sua povertà affettiva e relazionale, la porta a spostare la sua attenzione dal vissuto personale alla fede del suo popolo. Si sente “scoperta”, allora il suo dialogo di sposta su principi di fede, luoghi e stili. La donna fa riferimento all’adorare, Gesù sposta l’attenzione da un luogo geografico ad una relazione vitale con Dio che presenta come Padre. «Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Si adora, si entra in una relazione intima, un portare alla bocca la mano per fare silenzio, quasi in un bacio silenzioso, ma anche un rivolgere la preghiera a Dio, ma solo grazie allo Spirito Santo e a Cristo, via verità e vita. Quella donna, di fatto, rivela un vulnus, un bisogno profondo di intimità che solo in Dio poteva trovare la fonte da cui attingere il vero amore. Gesù, pertanto, si rivela come il Messia, con una dichiarazione esplicita, di grande portata per la fede. «Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. Le dice Gesù: “Sono io, che parlo con te”». Quella donna andrà via, nel villaggio, senza la sua anfora: ormai ha trovato quella fonte da cui può attingere e diventa anche lei credente e apostola, messaggera, fontana di acqua viva per i suoi concittadini. Ha finalmente trovato l’uomo che ha dato luce e calore alla sua vita.
Mai nessuno è escluso dal Signore, anche chi appare meno adatto a seguirlo e ad essere suo messaggero: agli occhi di Dio è idoneo chi apre il suo cuore ad una relazione autentica.
PERCHÉ TI RATTRISTI ANIMA MIA, PERCHÉ TI AGITI IN ME?
I discepoli si meravigliano a loro volta del dialogo tra il Maestro e quella donna. Il registro linguistico cambia, e dall’acqua si passa al cibo; i discepoli lo intendono come la donna in senso materiale e Gesù ne parla in termini esistenziali e spirituali. «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera». Fare la volontà di Dio spesso è intesa in senso obbligante, come un peso, una catena che ci blocca. La logica di Gesù è dell’ordine del nutrimento: il volere di Dio è il suo cibo, donato dal Padre, colui che lo ha inviato per compiere così la sua opera di salvezza, la riconciliazione dell’umanità. Cristo si nutre della relazione con Dio, da lui proviene, da lui è inviato, nel suo nome compie la sua opera. I discepoli sono associati a questa missione, a mietere quanto altri, i profeti e lui, hanno seminato, subentrando nella fatica.
Anche i Samaritani faranno la loro professione di fede in Gesù, inizialmente per la “loquacità” della donna, per il suo “pettegolezzo”, – questo è il termine usato da Giovanni (lalián) – ma successivamente «perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Anche i credenti in cammino o i catecumeni sono invitati a passare da una fede per convenzione, assunta dagli insegnamenti della famiglia, per il percorso iniziatico o per altra via, ad una fede personale, consapevole, responsabile. Ecco il senso anche di associare a questa domenica la Consegna del Simbolo di Fede ai catecumeni: la comunità ecclesiale dona la sua fede come annuncio, come acqua viva, ma spetta al singolo credente professarla personalmente, assimilarla, dissetarsi e, in vista del battesimo, riconsegnarla, alla luce di quanto questa relazione con il Signore è diventata fontana vivace, esperienza rigenerante.
SPERA IN DIO, SALVEZZA DEL MIO VOLTO
Siamo invitati a sperare in Dio, anche quando le nostre tristezze e il senso di peccato ci abitano, quando il peso delle nostre aridità ci disorientano. C’è sempre un pozzo dove incontrare il Signore: è la sua Parola, da cui attingere ristoro. Per fare questo è importante contemplare la santa umanità del Cristo che ci riabilita a questa relazione. Paolo afferma nella seconda Lettura che siamo «giustificati per fede», e Cristo ha manifestato la sua solidarietà con noi facendosi debole con i deboli. «Ma Dio dimostra il suo amore verso di Dio nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Così dice s. Agostino:
È per te che Gesù si è stancato nel viaggio. Troviamo Gesù pieno di forza e lo vediamo debole; Gesù è forte ed è debole. […] La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato. La forza di Cristo fece sì che esistesse ciò che non era, la debolezza di Cristo fece sì che non si perdesse ciò che era. Ci ha creati con la sua forza, ci ha cercato con la sua debolezza. Con la sua debolezza nutre i deboli come la gallina i suoi pulcini. Ad essa lui stesso si è paragonato: «Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli sotto le ali, come la gallina i suoi pulcini, e tu non hai voluto!» (Mt 23,37). […] Stanco per il cammino che altro significa se non affaticato nella carne? Gesù è debole nella carne ma tu non essere debole; sii forte nella sua debolezza perché «la debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1, 25).
Fonte: il sussidio Quaresima/Pasqua CEI