Con la Domenica delle Palme ha inizio il cammino della Grande e Santa Settimana. Questa domenica dell’Anno Liturgico, attraverso il particolare rilievo dato alla Passione del Signore, è annuncio della regalità messianica. La Chiesa invita la Comunità cristiana a rinnovare la sua sequela di Cristo, seguendone le orme (1Pt 2,21) e a comprendere il vero senso della Passione come via della risurrezione e fonte della nostra salvezza.
Gli elementi più significativi che la liturgia di questo giorno ci offre sono due: la processione con i rami di ulivo o palma, che introduce la celebrazione, e la lettura prolungata dei “Vangeli della Passione”, secondo la versione dei sinottici. Il primo elemento, già raccontato nel IV secolo dalla pellegrina Egeria, è di origine gerosolomitana, mentre il secondo appartiene proprio alla liturgia romana che, per tale motivo, definisce da tempi immemorabili questa domenica come in palmas de passione Domini.
I testi delle Scritture della Domenica delle Palme e di Passione ci offrono due vangeli: il Vangelo di Matteo 21,1-11, che ricorda il momento dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, e la lettura della Passione, tratto sempre dal Vangelo sinottico di Matteo. Mentre le due letture della celebrazione riguardano Is 50,4-7, il Servo Sofferente, e la pagina bellissima di Paolo sulla Kènosi, Fil 2,6-11.
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La scelta qui è quella di soffermarsi sul Vangelo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, così da provare a vivere questa celebrazione secondo l’animo di Gesù, il suo sentire spirituale, in prossimità di Gerusalemme e della sua Pasqua. Cioè partecipare, grazie ad essa, agli stessi sentimenti che spinsero il Crocifisso-Risorto a compiere la profezia dell’ingresso regale del Messia. Si tratta di entrare nella Settimana Santa con quel sentire spirituale, cioè con quello stesso Spirito, che condusse il Figlio nell’ingresso alla città santa, città della uccisione dei profeti, ma anche città di Dio.
Il primo momento di riflessione riguarda il legame di Gesù con Gerusalemme. Ricordando la paura di Pietro, discepolo come noi, la percezione del pericolo per Gesù se si fosse recato a Gerusalemme, è una notizia forte dei vangeli. Eppure, Gesù, fa duro il suo volto verso Gerusalemme, e chiede a Pietro di mettersi dietro, di seguirlo, perché da Gerusalemme passa il compiersi della volontà del Padre. Egli va decisamente verso Gerusalemme perché in essa si vive come tempio, come rito, come legge, il legame tra il popolo e Dio, fino a poter dire, senza nominare il nome di Dio invano, “popolo mio” e “mio Dio”.
In questa relazione di appartenenza e di rivelazione, Gesù vuole porre, con la sua morte e risurrezione, la nuova ed eterna alleanza; desidera mettere il dono della salvezza; aspira a liberare il popolo dalla schiavitù del peccato e restituirlo al Padre come popolo dei figli della risurrezione.
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Lungo il cammino della passione, guardando le donne che piangono su di lui, chiamandole donne di Gerusalemme, annuncia il compiersi del giorno di Dio per tutti i figli del popolo. E dalla croce, guardando i capi del popolo che hanno insegnato alla folla a gridare il nome di Barabba (figlio del padre) e di Cesare e hanno tradito il grido del popolo verso Dio, dona ad ogni grido di popolo per le ingiustizie e le sofferenze la dignità della preghiera, la forza della speranza, la libertà dell’abbandono, la santità della consegna. Gerusalemme è la città della volontà del Padre come salvezza: è la sua opera di Figlio, è il compiersi delle profezie e delle promesse della storia di Israele.
Il racconto del Vangelo di Matteo ci offre poi alcuni spunti per prendere dimora spirituale nei sentimenti del Figlio, della sua umiltà profonda, del suo legame con il Padre, della sublime altezza della sua libertà e obbedienza fino alla morte, e alla morte di croce. Vuole, prima di tutto, che i discepoli vedano ciò che la Scrittura aveva promesso e che adesso si compie: un’asina e un puledro. Ciò che vedono li ricondurrà alla profezia del re di Israele. Vedere il compiersi delle Scritture è dinamica pneumatologica del regno di Dio e del re di Israele.
Ai discepoli, il Vangelo di Matteo consegna un compito proprio dei discepoli dopo la risurrezione: quello di legare e sciogliere. Qui, ironicamente quasi, i discepoli devono fare esercizio di slegare, di sciogliere, delle bestie da soma, perché su di esse il Messia intende fare il suo ingresso a Gerusalemme. Desidera che i discepoli imparino a fidarsi del compiersi della volontà di Dio nella storia e nelle povertà degli umili, vuole che imparino che la collaborazione al loro ministero apostolico dipenderà dal loro legame con gli ultimi e i poveri. Sciogliere un’asina e un puledro perché legati ai poveri e agli ultimi, non ai potenti e ai capi.
Il grido della folla, l’osanna, il sentire samaritano del Maestro come vicino al popolo, come uno che conosce bene le condizioni difficili della vita, che cura i malati, che fascia le ferite, che restituisce la vista ai ciechi, la parola ai muti, lo stare in piedi agli storpi, la libertà agli indemoniati, la dignità alle prostitute, il perdono ai peccatori. Nessuno del popolo si sente escluso dallo sguardo di questo re. Il suo stare sul dorso di un puledro e di un’asina non è sul popolo, ma per il popolo, perché tutti possano essere visti, ascoltati, amati, salvati.
Il grido, nelle ultime espressioni di questa pagina evangelica, diventa domanda: «chi è costui?» Il legame di salvezza, il legame di popolo chiede il discernimento, chiede e attende di capire, di sapere l’identità di quell’uomo, il suo nome. Già nell’esodo, Mosè, uomo scelto da Dio per il popolo, caricandosi del legame di Dio con il popolo come salvezza e come liberazione, disse che il grido sarebbe diventato domanda: «Chi è Colui che ti manda?» Ora anche qui il grido diventa domanda. Ma il Vangelo ci consegna un’ultima tensione, tutta pasquale, secondo le Scritture, che riguarda la relazione di Dio con il popolo d’Israele: quella tra i profeti e i re. Quando la disobbedienza rende la regalità idolatria e potere, il profeta diventa memoria per il popolo della sovranità di Dio e del primato della sua volontà. E quando i profeti diventano memoria della fedeltà a Dio di fronte alla menzogna dell’idolatria e del potere, vengono uccisi. Il Vangelo ci consegna, con la consapevolezza del popolo di Israele della frattura tra profezia e regalità, le coordinate dell’obbedienza filiale fino alla morte e alla morte di croce. Egli è il Messia, il Crocifisso Risorto.
Fonte: il sussidio Quaresima/Pasqua CEI
A cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale, con la collaborazione del settore per l’Apostolato Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità e di Caritas Italiana