C’è del buon seme nel mio campo? L’identità dei giovani: chi sono io?

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Improntata alla gioia vera e duratura che solo il Vangelo può dare la meditazione di padre Ermes Ronchi nella prima delle tre serate di catechesi organizzate dalla Pastorale giovanile. Più di 400 i presenti nella basilica di San Nicolò, oltre a quelli collegati via radio, web e Twitter.

Chiamati anche quest’anno a raccontare e a “raccontarsi” sulle grandi questioni del senso della vita e della fede, i giovani, come sempre, non deludono. Infatti la prima delle catechesi diocesane loro dedicate, svoltasi ieri sera nella basilica di San Nicolò a Lecco – alla presenza del vicario episcopale di Zona monsignor Maurizio Rolla, col saluto iniziale del prevosto monsignor Franco Cecchin – è stata non solo un successo per i numeri (oltre 400 partecipanti), ma soprattutto per l’insieme della serata, che ha avuto al “cuore” la riflessione di un predicatore di eccezione, il teologo padre Ermes Ronchi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria e priore della Comunità di San Carlo al Corso a Milano, in dialogo con i ragazzi. Trasmessa su Radio Marconi, sul nostro Portale e in diretta Twitter, la Catechesi è stata così seguita, da casa, anche da molti gruppi parrocchiali e da singoli che hanno posto le loro domande con telefonate e messaggi.

Insomma, un bel modo per approfondire il tema complessivo delle tre serate, “Il buon seme chiamato a diventare grano”, e quello specifico della prima, “C’è del buon seme nel mio campo? L’identità dei giovani:chi sono io?”. Questioni particolarmente urgenti nell’età giovanile, affrontate a partire dalla proposta pastorale dell’Arcivescovo, “Il campo è il mondo”.

Così come ha evidenziato in apertura don Maurizio Tremolada, responsabile del settore Giovani della Pastorale giovanile: «Vogliamo favorire un cammino unitario di discernimento su alcuni ambiti con i quali quotidianamente si confronta il vissuto dei giovani, tenendo vivi i contenuti fondamentali della fede secondo il nucleo centrale del progetto di Pastorale giovanile. All’orizzonte sta sempre il mistero di Cristo, la vita della comunità cristiana radunata intorno all’Eucaristia e l’impegno verso il mondo», ha sottolineato. Il tutto coinvolgendo parrocchie, movimenti, articolazioni ecclesiali, associazioni, per «dare forma a quella che il Cardinale chiama “pluriformità nell’unità”».

Una pluriformità che ha riguardato anche gli interrogativi emersi dall’intervento di uno spinner, quei giovani che sono stati il “collegamento” tra la base dei coetanei e l’Arcivescovo nell’esperienza del 2013 con la catechesi “Varcare la soglia”. Efrem Gianola, proveniente dalla parrocchia di San Dionigi a Premana (Unità pastorale Premana-Pagnona), chiede appunto come “vacare la soglia”, come comprendere il nodo tra fede e vita – « riuscire a trovare una risposta razionale, a giustificare la Fede con la ragione», – e come imparare a pregare.

La catechesi di padre Ronchi, non si nasconde alla complessità dei temi posti, in una precisa consapevolezza: «La parabola della zizzania e del buon grano mi ha cambiato la vita. Ho capito che ogni cuore è una zolla di terra capace di dare vita ai semi di Dio; che una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo; che il peso specifico del bene è più alto del peso del male; che la fede non è centrata sul paradigma del peccato, ma sul paradigma della pienezza. Io non sono i miei limiti, ma le mie maturazioni. Io non sono i miei difetti, ma le mie potenzialità. Non sono il mio peccato, ma il buon frutto che posso maturare domani», scandisce.

C’è una seconda domanda determinante da porre all’inizio di ogni cammino umano, osserva ancora padre Ermes: «Chiedetevi che cosa dà gioia. Il Vangelo ci assicura che la vita è, e non può che essere, una ricerca di felicità. Il primo passo di questa ricerca consiste nell’interrogarmi su quali cose mi danno gioia vera e duratura. Ricordatevi che solo ciò che dura vale e solo ciò che vale dura nel tempo. Dio vi seduce perché sa parlare il linguaggio della gioia».

Le parole di Sonia Polvara, della parrocchia di S. Antonio Abate a Valmadrera, che prende la parola subito dopo, sono quasi una risposta immediata: «Per me portare la testimonianza ai ragazzi, in oratorio e nella vita di tutti i giorni, vuol dire mostrare che c’è un’altra possibilità rispetto allo sguardo negativo: lo sguardo di Gesù. Un’altra possibilità rispetto al buttarsi via: riconoscersi preziosi agli occhi di altri. Un’altra possibilità rispetto al perdere tempo perché non si sa cosa fare: vivere la vita in modo pieno, anche contro gli ideali di oggi guardando Gesù come un compagno di viaggio. Un’altra possibilità rispetto al “tanto non cambia niente”: riconoscere, noi per primi, che si può essere il buon seme che può cambiare il mondo. Dentro queste possibilità si può costruire la propria vita e vivere la propria vocazione che è, prima di tutto, chiamata a essere Figli».

L’ultima parola è sul battesimo. «Come un giovane può oggi riscoprirne il valore, ma soprattutto, cosa vuol dire nella vita di ogni giorno questa condizione di figli di Dio che i nostri genitori hanno voluto donarci?». «La mia identità è di essere figlio – conclude Ronchi – nella somiglianza sempre più forte e ricercata al Padre, che fonda la nostra persona».

Mentre in Basilica la serata volge al termine, dalla sacrestia don Emanuele Colombo, responsabile della Pastorale Giovanile della Zona di Lecco, risponde in diretta alle domande. La sensazione è che i giovani cerchino risposte per «giocarsi davvero in prima persona», come raccomanda spesso il Cardinale.