CASTITÀ ‐ POVERTÀ – OBBEDIENZA Attraverso l’esempio di Santa Chiara d’Assisi

1847

CASTITÀ ‐ POVERTÀ – OBBEDIENZA

Attraverso l’esempio di Chiara d’Assisi

“Tutti infine abbiano ben chiaro che la professione dei consigli evangelici, quantunque comporti la rinunzia di beni certamente molto apprezzabili, non si oppone al vero progresso della persona umana, ma al contrario per sua natura le è di grandissimo profitto. Infatti, i consigli, volontariamente abbracciati secondo la personale vocazione di ognuno, contribuiscono considerevolmente alla purificazione del cuore e alla libertà spirituale … Né pensi alcuno che i religiosi con la loro consacrazione diventino estranei agli uomini o inutili nella città terrestre. Poiché, se anche talora non sono direttamente presenti a fianco dei loro contemporanei, li tengono tuttavia presenti in modo più profondo con la tenerezza di Cristo, e con essi collaborano spiritualmente, affinché la edificazione della città terrena sia sempre fondata nel Signore, e a lui diretta, né avvenga che lavorino invano quelli che la stanno edificando” (Costituzione dogmatica Lumen Gentium 46).

Mi sembra bello collocare questa bella citazione della Lumen Gentium, in apertura di questo nostro ultimo incontro di approfondimento sulla consacrazione religiosa e sui voti che la veicolano, per non perdere di vista l’umanizzazione che scaturisce da un’autentica esperienza di vita secondo i Consigli evangelici (che, a mio giudizio, sono tutti contenuti – tranne la modalità della clausura ‐ in Mt 19,16‐22.27‐30, brano molto presente a s. Chiara che lo cita espressamente nel cap. II della Regola).

Ci riferiamo questa volta più direttamente a Chiara per rimanere nell’humus del carisma, tratteggiando brevemente il suo itinerario spirituale, a partire dall’innamoramento di Cristo che la porta alla conversione radicale della vita sotto la guida sapiente di Francesco, fino al vissuto del suo dono totale al Signore nella poverissima dimora di san Damiano.

Lo sfondo esistenziale della consacrazione di Chiara ‐ volere riprodurre con amore la povertà / esinanizione di Cristo ‐ è senza dubbio la povertà altissima. La giovane Chiara non rivela certamente una mentalità giuridica, non fa un contratto con Gesù. Quando Francesco la incontrava, prima della decisione della sequela, ciò che le proponeva era proprio la conversione a Gesù Cristo (cf Pro 17,3), intendendo con questo termine la scelta totale e assoluta di Dio (NB: la conversio morum era anche un aspetto centrale della Regola di Benedetto, ma vi si esplicitava in altro modo) e il santo connubio di lui. A questo Chiara ha aderito con tutto il cuore, in una consonanza raggiunta tra desiderio personale e guida spirituale.

Rileggendo il brano di riferimento della Vita di santa Chiara vergine troviamo facilmente tutti gli elementi evidenziati per lo sviluppo vocazionale di chi si decide risolutamente per Dio, mediante la sequela di Cristo Gesù:

«Il padre Francesco la esortava al disprezzo del mondo, dimostrandole, con una parola viva, che la speranza in questo mondo è arida e porta delusione, e le instillava alle orecchie il dolce connubio di Cristo, consigliandole di conservare la gemma della pudicizia verginale per quello sposo beato che per amore si fece uomo. Perché aspettare a lungo? Davanti all’insistenza del padre santissimo, che si comportava con sollecitudine come un fedelissimo paraninfo, la giovane non negò a lungo il suo consenso. Le si aprì subito l’intuito delle gioie eterne, a cospetto delle quali il mondo appare una cosa vile, il desiderio delle quali la scioglieva da se stessa e l’amore delle quali la faceva anelare alle nozze più alte. Infatti, accesa dal fuoco celeste, disprezzò sovranamente a tal punto la gloria della vanità terrena, che già era distaccata da ogni considerazione del mondo. E temendo le lusinghe della carne, si propone di tenersi lontana dal talamo della colpa, volendo fare del suo corpo il tempio di Dio solo, desiderando di meritare con la virtù anche le nozze con il gran Re.

Da allora si affida tutta al consiglio di Francesco, scegliendolo come guida dopo Dio per dirigere la sua vita. E da allora la sua anima è attaccata ai suoi santi ammonimenti e accoglie nel suo petto ardente tutto ciò che egli annunzia con i suoi discorsi sul buon Gesù. Ormai porta malvolentieri gli abiti della bellezza secondo il mondo e considera quasi spazzatura tutte quelle cose che rifulgono esteriormente, per poter guadagnare Cristo. (Vita di santa Chiara Vergine 5-6; NB: il corsivo nel testo citato è mio per evidenziare le caratteristiche dello sviluppo della vocazione di Chiara).

Un’osservazione immediata e ovvia può riguardare il linguaggio e le metafore medioevali, che peraltro ricorrono abbondantemente anche nelle lettere di Chiara (si veda ad esempio la prima sulle nozze con Cristo! ‐ Testo molto importante per un approfondimento sulla castità come incontro totalizzante con Gesù, Dio incarnato per eccesso amore, cui corrisponde l’eccesso di amore di Chiara che si dispiega nella povertà, cioè l’abbraccio con Cristo povero). Ma il contenuto dei testi e la fenomenologia della vocazione sono limpidi! Chiara, già attratta dalle realtà spirituali (→ vocazione per attrazione, vedi papa Francesco, incontro con i Superiori maggiori del 2013), attraverso il discernimento operato con Francesco, desidera scegliere totalmente il buon Gesù e dedicare a Lui, Dio venuto nello sprofondo della povertà umana, la sua vita, i suoi pensieri e desideri, le sue azioni, tutta se stessa. Si profilano qui, nell’orizzonte della totalità del dono, i tratti della consacrazione che si attualizza attraverso i voti di cui stiamo parlando. Tra l’altro è da notare nel testo il riferimento a Fil 3,8, passo neotestamentario ancor oggi probativo della vocazione religiosa. Ciò significa che se la teologia illustra la fenomenologia, la vita conferma e illumina con splendore d’amore la teologia.

A distanza di otto secoli san Giovanni Paolo II confermava la via di Chiara indicandone l’attualità per il nostro oggi:

“Se Caterina da Siena è la Santa piena di passione per il Sangue di Cristo, Teresa la Grande è la donna che si spinge di «mansione» in «mansione» fino alla soglia del Gran Re nel Castello interiore e Teresa di Gesù Bambino è colei che percorre con semplicità evangelica la piccola via, Chiara è l’amante appassionata del Crocifisso povero, con cui vuole assolutamente identificarsi. *

In una sua lettera così si esprime: «Vedi che Egli per te si è fatto oggetto di disprezzo, e segui il suo esempio, rendendoti, per amor suo, spregevole in questo mondo. Mira… lo Sposo tuo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo ripetutamente flagellato, e morente perfino tra i più struggenti dolori sulla croce. Medita e contempla e brama di imitarlo. Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai con Lui godrai; se con Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi, e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita . . .» (Lett. II, 19-22: FF 2879-2880).

Chiara, entrata in monastero a 18 anni appena, vi muore a 59, dopo una vita di sofferenze, di preghiera mai allentata, di strettezza e di penitenza. Per questo «ardente desiderio del Crocifisso povero» nulla le peserà mai, al punto da dire in fin di vita a frate Rainaldo, che l’assisteva «nel lungo martirio di così gravi infermità…: Da quando ho conosciuto la grazia del Signore mio Gesù Cristo per mezzo di quel suo servo Francesco, nessuna pena mi è stata molesta, nessuna penitenza gravosa, nessuna infermità mi è stata dura, fratello carissimo!» (Legg. S. Ch. 44: FF 3247).

Ma Colui che soffre sulla croce è anche Colui che riflette la gloria del Padre e trascina con sé nella sua Pasqua chi lo ha amato fino a condividerne per amore le sofferenze” (Lettera di Giovanni Paolo II per l’VIII Centenario della nascita di santa Chiara d’Assisi, nn. 4-5, agosto 1993).

*(NB: ho evidenziato alcune frasi con il corsivo per dare risalto ai concetti che esprimono l’iter della vocazione e della consacrazione a Dio di Chiara).

Ho stralciato abbondantemente questo testo in quanto riporta elementi che avrei comunque desiderato sottolineare: al centro della vita di Chiara, l’incontro con Cristo si esprime e concretizza nel desiderio e in una prassi di vita all’insegna della più austera ed effettiva povertà, che nella visione francescana vuol tradurre la partecipazione alla Pasqua del Signore (aspetto di partecipazione alla redenzione, al di là di derivazioni pietistiche, di cui oggi non si parla molto a vantaggio della valorizzazione della gioia che deriva dalla consacrazione a Cristo ‐ da papa Francesco a … Cettina Militello che auspica un cambiamento di modelli). Chiara ama Gesù. Ricordo che a un giornalista che intervistava madre Teresa di Calcutta, prossima alla canonizzazione, la stessa Teresa rispose semplicemente, ma efficacemente: mi sono innamorata di Gesù! Ecco la scelta della povertà e, insieme, il cuore della castità!

Brevi cenni sulla Povertà.

La povertà, anzi l’altissima povertà che è quella di Gesù Cristo, è senza dubbio l’elemento caratterizzante la sequela Christi di santa Chiara e delle sue figlie di ogni tempo. Vogliamo qui parlare della povertà che nella visione francescana – a mio giudizio ‐ include castità e obbedienza, avendo l’occhio su Gesù e su Chiara, senza perdere di vista i documenti della Chiesa come anche le nostre domande, le nostre esperienze, le nostre difficoltà.

Francesco presenta dunque a Chiara il Povero che è Dio fatto uomo, da abbracciare e seguire totalmente  sul piano materiale e spirituale.

Così la povertà assimilata da Chiara diventa contemplazione della povertà del Bambino di Betlemme che, nei suoi poveri pannicelli, ispira il comando di vestire indumenti vili nella Regola (RsC II), mentre lo sguardo sull’Uomo divenuto poverissimo sulla Croce strappa infocate parole d’amore (cf 1LAg – dove la povertà di Cristo motiva la povertà delle Clarisse, e 4LAg che propone una meditazione contemplazione intensa del Crocifisso in una Chiara ormai avanzata nelle vie dello spirito).

Si può qui anche ricordare, come abbiamo già visto, come il cap II della Regola citi Mt 19,21 e la prima lettera Lc 9,58. E’ evidente che in Chiara osservare il Vangelo significava assumerlo in toto, vivendo con lo sguardo rivolto alla povertà del Figlio incarnato: quindi nella concretezza di bimbo bisognoso, di uomo pellegrino sotto il sole, privato del dignità e della vita, fino a reclinare il capo sulla croce. Questa è  la povertà per santa Chiara, con tutte le implicazioni pratiche e spirituali che conosciamo e continuano a interpellare il nostro oggi di Sorelle povere del XXI secolo!

Se vogliamo fare un accenno all’attualizzazione della povertà – su cui però sarebbe preferibile fare uno scambio attraverso le domande delle presenti – si può anche semplicemente accennare, oltre agli aspetti materiali di una sobrietà reale e della semplicità della vita, ad aspetti meno immediatamente leggibili, come l’irrilevanza sociale che dovrebbe caratterizzare le figlie di santa Chiara, la libertà dalla cultura dell’immagine, da ogni possibile forma di protagonismo, etc … Povertà, ancora, nella forma di vita clariana  è non essere più “io” ma “noi” mediante l’immersione nella dimensione comunitaria in cui l’individualismo viene superato dal dono di sé (che, solo, realizza la persona), nella condivisione e comunione di vita.

Povertà è anche esperienza e accoglienza della sofferenza del mondo nella propria solitudine esistenziale.

Castità – Gesù al centro del mio cuore.

Pur tenendo conto del linguaggio e della simbolica nuziale del tempo, di cui abbondavano i testi liturgici (ad es. la Passio sanctae Agnetis nell’Ufficio corrispondente) e che Chiara fa suoi, le Lettere sono comunque indicative di un rapporto di intima comunione di santa Chiara con Gesù, rapporto che è stato reale, ovvero non sentimentale né solo ideale o intellettuale ma così profondo da potere essere espresso con i termini della fisicità: toccare, abbracciare (cf 1LAg 8‐11) … La via della concretezza per Chiara passa dalla preghiera che sfocia nella contemplazione (guarda – medita – contempla) e dal servizio alle sorelle in cui ella serve Cristo stesso. (cf Proc II,3; III,9; 1X,6).

A questo proposito – cioè della concretezza che supera ogni possibile forma di spiritualismo ‐ mi piace qui ricordare quanto papa Francesco ha detto alle nostre sorelle del proto monastero allorché fu in visita ad Assisi, il 4 ottobre 2013:

“… questa è la vostra contemplazione: la realtà. La realtà di Gesù Cristo. Non idee astratte, non idee astratte, perché seccano la testa. La contemplazione delle piaghe di Gesù Cristo! E le ha portate in Cielo,  e le ha! E’ la strada dell’umanità di Gesù Cristo: sempre con Gesù, Dio-uomo. E per questo è tanto bello quando la gente va al parlatorio dei monasteri e chiedono preghiere e dicono i loro problemi. Forse la suora non dice nulla di straordinario, ma una parola che li viene proprio dalla contemplazione di Gesù Cristo, perché la suora, come la Chiesa, è sulla strada di essere esperta in umanità. E questa è la vostra strada: non troppo spirituale! Quando sono troppo spirituali, io penso alla fondatrice dei monasteri della concorrenza vostra, Santa Teresa, per esempio. Quando a lei veniva una suora, oh, con queste cose… diceva alla cuoca: “dalle una bistecca!”. Sempre con Gesù Cristo, sempre. L’umanità di Gesù Cristo! Perché il Verbo è venuto nella carne, Dio si è fatto carne per noi, e questo darà a voi una santità umana, grande, bella, matura, una santità di madre. E la Chiesa vi vuole così: madri, madre, madre. Dare vita”.

La contemplazione alimentata nella preghiera diviene circolazione di carità all’interno della comunità, là dove – ce lo dice chiaramente papa Francesco – l’amore di Cristo è chiamato ad abbracciare le sorelle e quanti si avvicinano al monastero. Non ce lo ha forse detto Chiara nel Testamento (parole ultime in cui emergono le cose che più stanno a cuore): “E amandovi a vicenda nella carità di Cristo, dimostrate al di fuori con le opere l’amore che avete nell’intimo, in modo che, provocate da questo esempio, le sorelle crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità”? (TestsC 59-60).

E sul servizio dell’abbadessa: “Ancora prego colei che avrà l’ufficio delle sorelle, che si studi di presiedere alle altre per virtu` e santi costumi, più che per l’ufficio, affinché le sue sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano, non tanto per l’ufficio, ma piuttosto per amore. Sia anche provvida e discreta verso le sue sorelle, come una buona madre verso le sue figlie …” (TestsC 61-63).

Si dispiega, nel vissuto povero ma ardente di carità di San Damiano in Assisi – e di ogni san Damiano del mondo ‐ l’essere sorella sposa madre, di cui si individuano i tratti già nella prima lettera di Chiara ad Agnese di Boemia, là dove tale nuova dimensione relazionale è vista in riferimento alla povertà:

“… avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, là dove ne´ la ruggine consuma, ne´ il tarlo distrugge ne´ i ladri rovistano e rubano, abbondantissima è la vostra ricompensa nei cieli; con ciò a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’altissimo Padre e della gloriosa Vergine” (1LAg 22-24).

“E se la madre ama e nutre la sua figlia carnale – dirà Chiara stessa nella Regola – con quanto maggiore amore deve la sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale?” (RsC VIII 16).

Castità vuol dire capacità di relazioni affettive buone, libere e trasparenti, oltre la ricerca di sé, per uno stile di vita di condivisione dell’essere oltre che dei beni (cf VC 88).

Commentando la dimensione di vita comunitaria di Chiara, approfondendo l’espressione sorella – sposa – madre, così mi esprimevo in un recente lavoro:

«Quando Chiara, in profonda identità di visione spirituale con Francesco, usava la terminologia sorella, sposa e madre, sapeva bene di riferirsi innanzitutto a un’intensa relazione di comunione con l’Amore trinitario che è Dio. Francesco infatti, nella Lettera ai Fedeli, aveva fatto un’esegesi originale della parola di Gesù: “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Cf. Mt 12,50) riferendola ai rapporti di familiarità che, grazie all’azione dello Spirito santo, il credente instaura con l’indicibile mistero di Dio uno e trino.

Ma Chiara, come Francesco, non esita ad estendere all’ambito comunitario le relazioni di sororità e di maternità che, come tutti sappiamo, appartengono alla dimensione antropologica della persona e alla sua esperienza umana. Ed è proprio in questo campo che si esprime la delicata ed elevata sensibilità femminile della santa assisana che, per averlo sperimentato e desiderandolo ardentemente, giunge a comandare alle sorelle la confidenza delle une verso le altre, come anche la reciproca cura e sollecita premura fra di loro. La citazione che offro costituisce, a mio avviso, un segnale significativo di come l’esperienza spirituale possa splendidamente congiungersi all’espressione di una genuina, quanto limpida affettività umana: “Tranquillamente manifesti l’una all’altra la propria necessità. E se la madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanto maggiore amore deve la sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale?”.

Potrebbe stupire che in un capitolo della Regola (l’ottavo) che disegna la povertà estrema del monastero di San Damiano, in cui il sine proprio si estendeva all’espropriazione di ogni piccolo possesso, Chiara illumini l’austerità della vita con uno sprazzo di calda umanità che svela la sua modalità di relazione con gli altri dentro e fuori il monastero. Sappiamo dalle testimonianze delle sorelle e del primo biografo con quanto amore ella accogliesse quanti approdavano al monastero e come questo tratto di misericordia e di pace appartenga alle sue figlie di ogni tempo; anche di oggi, in cui tante persone continuano a venire a bussare  alla porta dei monasteri per ascoltare la parola del conforto. Ma a ben vedere c’è un’intima coerenza tra povertà radicale – o altissima, come la definiva Chiara in riferimento alla povertà di Cristo – e amore proveniente da cuori purificati da ogni pretesa di possesso. L’amore fraterno nell’esperienza francescana si declina come palestra di vita in cui la reale vicinanza tra le sorelle si coniuga con la giusta distanza, e il prendersi cura le une delle altre non diventa mai pretesa di possesso. La vita in santa unità – come il carisma la delinea – rimanda a una limpidezza di rapporti liberi, nell’impegno di rimanere tali, incoraggiando la presenza, il vivere in comunità attuando una sorta di gara di esemplarità. Non a caso Chiara parla dello specchio che ogni sorella deve essere per l’altra mostrando in sé la via del Vangelo amato e vissuto fino in fondo.

Si profila in tal senso anche l’obbedienza francescana, dal volto fraterno e dall’esigente impegno caritativo nelle relazioni. L’obbedienza come ascolto (obbedire da ob-audire) e condiscendenza al desiderio buono dell’altra, e ancora come contestazione pacifica dell’incapacità di entrare in contatto con se stessi e con gli altri.

In modo analogo, l’essere madre comporta una forma di dedizione fatta di piccoli gesti, nella comprensione, nell’accoglienza, nel perdono, nell’essere costanti e fedeli promotrici di speranza e di pace. In tal modo si genera spiritualmente il Cristo nella comunità, giacché ciascuna, facendo esperienza dell’amore gratuito  della sorella, nasce in certo modo ogni giorno alla vita.

L’icona più bella e simbolicamente eloquente della maternità spirituale rimane Maria vergine e madre, Madre di Cristo in quanto vergine, Vergine anche in quanto madre espropriata del Figlio. Può accadere  anche a noi di trovarci talvolta davanti a un distacco che induce l’esperienza di un vuoto che rimanda alla realtà di non possesso propria della verginità.

Ma ciò che qui preme notare è scoprire come la vita di Chiara e delle sorelle sveli un cuore e un tratto di sincero affetto fraterno, a conferma che realmente la vera contemplazione non rende estranei all’uomo».

Quanto all’essere sposa del Signore Gesù Cristo, scrivevo nello stesso lavoro:

«E’ indubbio che il rapporto di comunione con il Signore immetta in una corrente di amore che si scopre a mano a mano che si procede nella familiarità con la Bibbia – il Vangelo in particolare – e nella frequentazione dell’Eucaristia, quotidianamente celebrata, contemplata e adorata nel segno sacramentale, che nel mio monastero rimane offerto all’adorazione dei fedeli ogni giorno per lo spazio dell’intera  mattinata. L’itinerario che introduce alla conoscenza del Cristo – e che apre anche a un amore vero per il suo corpo ecclesiale, tutta l’umanità pellegrina nel mondo e in essa ogni uomo che soffre, lavora, spera – passa indubbiamente per una comprensione della Scrittura che definirei mistica in quanto rivelatrice di contenuti profondi che generano una forte esperienza spirituale. E’ davvero inaudita la profondità della Parola, inesauribile nei contenuti e rivelatrice della persona umano divina del Signore. Così come nel rapporto eucaristico cresce il desiderio di conformità al dono totale che Gesù ha fatto di se stesso al Padre per la vita del mondo.

Santa Chiara ha pagine vibranti sull’incontro con Cristo nella contemplazione. Il Signore che lei ci invita a guardare, considerare, contemplare nel desiderio di imitarlo – le espressioni sono della stessa santa Madre – è Gesù, vero Dio e vero uomo, vissuto tra gli uomini e morto “tra le angosce della croce” (2LAg 21), ma anche risorto e fruibile nella visione come avviene per lei al momento della morte (cf Pro IV, 4)».

Obbedienza.

Chiara non parla molto dell’obbedienza in modo esplicito o “tecnico”: ha un riferimento ad essa al cap. X del Regola, ma molto di più testimonia in sé stessa l’obbedienza servendo, lavando i piedi, dando vita a una forma di vita fraterna in cui il comando dell’amore è legge, in una vita in cui i bisogni e le ricchezze sono condivise. Un po’ come gli apostoli, cui la vita consacrata pure si ispira. Si interagisce con l’altro nel servizio reciproco (si pensi ad es. al cap. VI (vv 3‐4) della Rnb di Francesco: “nessuno sia chiamato priore, ma tutti allo stesso modo siano chiamati frati minori. E l’uno lavi i piedi dell’altro”.

Per Chiara l’obbedienza, che ha una chiarissima ricaduta comunitaria e relazionale, è già implicita nel seguire, seguire l’Agnello dovunque egli vada (cf Ap 14,4; 4LAg 3). Si lasciano le proprie cose e i propri affetti e si segue; per questo dicevo che l’obbedienza (come la povertà e la castità) è già in certo senso contenuta nel brano di Mt 19,16‐22.27‐30. Si segue non facendo la volontà propria ma entrando sempre di più in un altro progetto, quello del Padre, che è di relazione salvifica con l’uomo e con tutti gli uomini.

Si è già parlato del servizio caritativo di Chiara verso le sorelle, che traduceva in prassi sia l’esempio di umiltà che di obbedienza di Cristo al Padre nell’opera della redenzione: Gesù è venuto per servire e dare la vita in riscatto per tutti, non compiacendo sé stesso (Fil 2,5‐12), ma in obbedienza filiale e piena di amore a Colui che lo ha mandato. E questo è il fondamento cristologico dell’obbedienza.

Chiara imita dunque appassionatamente Gesù, e lo imita nei gesti, ma – a mio parere – in quanto questi gesti realizzano ed esprimono la sua volontà di somiglianza, fino alla trasparenza, del modo di vivere del Cristo per il Padre. È la meta di quella trasformazione cercata nella preghiera e nella contemplazione, ma anche accompagnata da uno stile di vita che mai distoglieva lo sguardo da Gesù (cf Eb 12,2).

Cerco di spiegarmi: il Figlio di Dio umanato non ha solo osservato i comandamenti di Dio, ma ha vissuto interamente rivolto al Padre (cf Gv 1,1) e alla missione salvifica che gli era stata affidata. (Cf Gv 10,14‐18). Gesù non ha vissuto per sé stesso (come avrebbe potuto! È l’egoismo, che appartiene a noi creature umane, che ci fa rivolgere verso noi stessi e ci impedisce di vedere Dio e il fratello!) ma occupato solo nella volontà del Padre (cf Lc 2,49). Nel vangelo di Giovanni questa ricerca inesausta della volontà del Padre in profonda unità d’intenti ‐ fino poter dire Gesù: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9) ‐ è fortissima. Molti brani si potrebbero qui citare.

Gesù, e solo Lui, è stato dunque la norma di vita fondamentale di Chiara, come di Francesco, di cui si è giunti a dire che era divenuto alter Christus! La forma di vita è osservare il Vangelo, cioè vivere come Gesù, essere Gesù vivendo in castità, povertà, etc … I voti – lo ripeto ‐ sono solo i mezzi per assomigliare a Lui.

Del resto, non è la stessa vita cristiana vivere per gli altri? Mi piace qui riportare un brano di Enzo Bianchi, priore di Bose, sulla proesistenza del credente:

“Un cristiano, proprio perché discepolo di Cristo, sull’esempio di Gesù è chiamato a fare della propria vita una pro-esistenza, cioè un’esistenza tesa a far vivere gli altri che gli stanno intorno. Questo è l’itinerario: amare l’altro che ci è prossimo, che ci è accanto; amare quelli che incontriamo, e tra di loro soprattutto gli ultimi, i feriti dalla vita; esercitarci ad amare tutti gli uomini, anche i nemici. Solo questa pratica di una vita umana buona ci permette di conoscere qualcosa del mistero di Dio (e me lo si permetta: questo vale per cristiani e non cristiani, credenti e non credenti!). Senza questa pratica umanissima, quotidiana, di amore dell’altro, Dio è solo un’illusione immaginaria. D’altronde Gesù, prima di morire, ha voluto consegnare ai suoi un mandatum, e ha dato loro il comandamento nuovo, nuovo perché non ce ne sono altri per Gesù: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 13,34; 15,12). L’amore e la giustizia verso il prossimo come li ha vissuti Gesù sono amore per Dio e sostituiscono tutti i precetti della legge!” (Enzo Bianchi, “la dimensione bella, buona e beata della vita cristiana”, intervento al Centro Pastorale Diocesano di Cremona, 14 maggio 2003).

In Chiara, come in Francesco, tale impegno di vita è divenuto esperienza pasquale, pieno passaggio nella vita del Figlio e, attraverso Lui, nel Padre.

Le parole di Chiara morente dicono il percorso, partito con la formula vitae datole da Francesco all’inizio dell’esperienza in San Damiano e culminato nell’esperienza della piena figliolanza raggiunta e testimoniata dalle sue ultime meravigliose parole: “Volgendosi poi a se stessa, la vergine santissima parla silenziosamente alla sua anima: «Va’ sicura – le dice – perché hai buona scorta, nel viaggio. Va’, perché Colui che t’ha creata, ti ha santificata e sempre guardandoti come una madre suo figlio, ti ha amata con tenero amore». «E tu, Signore – soggiunge – sii benedetto, che mi hai creata»”.

Aspetti pratici: Credo, che al di là dei contenuti oggettivi del voto di obbedienza, che possiamo leggere nelle CCGG: artt. 40‐45, l’obbedienza di Chiara vada innanzitutto in questa linea: non guardare se stessi ma il Regno di Dio presente nel Figlio umanato e sempre veniente.

Concretamente ciò può tradursi in beatitudine della mitezza e dell’amore fraterno. Tessere buone relazioni nell’accoglienza e nel dialogo con tutti, sviluppando l’ascolto e disposti a perdere il proprio punto di vista. In altri termini nella vita perduta nella santa unità, secondo la carità voluta da Cristo e da Lui testimoniata nelle grandi e piccole cose.

Ciò non esclude ovviamente l’aspetto specificamente verticale dell’obbedienza: a Dio, innanzitutto e poi al Vangelo, alla forma di vita, ai superiori, alle sorelle. Si obbedisce anche alla vita nelle sue diverse stagioni da accogliere. …

Non dobbiamo dimenticare che obbedire non è facile, anzi… Il maggior male dell’uomo è la disobbedienza, di cui molte volte non si accorge, ritenendo i suoi bisogni e la tirannia del suo “io” qualcosa non solo di lecito, ma di dovuto! In realtà è solo tornando alla sottomissione libera e amorosa di Dio e alle sue leggi – per noi: il Vangelo, la Regola, le CCGG, l’autorità costituita, le consuetudini (anche la realtà comunitaria così com’è) – che si recupera l’ordine interiore e comunitario, altrimenti ci sarà il caos. “L’inferno siamo noi” (J. Sartre). Siamo noi il male di noi stessi.

L’obbedienza è anche principio di unità, non per omologazione superficiale e coatta, ma per l’intima vibrazione dello Spirito che ci spinge a essere e a vivere insieme, servi di Dio e le une delle altre.

Altrimenti: individualismo, indipendenza, egoismo, inquietudine, divisione… tutte porte aperte all’infiltrazione dell’avversario.

Il Regno di Dio è pace e gioia nello Spirito santo. Non provochiamoci e invidiamoci gli uni gli altri. L’obbedienza è l’antidoto alla ribellione che ogni uomo e ogni donna portano in sé. E’  importante saperlo, ancora più fondamentale riconoscerlo e avere il coraggio di prendere la via opposta, difficile ma liberante, dell’obbedienza!

 

Per una conclusione:

I tempi cambiano; la società in evoluzione ci coinvolge. E’ ancora possibile oggi vivere la Vita consacrata? C’è crisi. Ma questa è forse essenzialmente crisi di rapporto personale con Gesù.

Il Vangelo è amore di Dio e del prossimo. La VC è amore assoluto di Dio e del prossimo. Come si può dunque affrontare la crisi? Tornando alle radici.

Vivere come poveri (di contro al consumismo), casti (di contro all’erotismo), obbedienti di fronte alla libertà sfrenata, (cf VC 88 e numeri seguenti) è essere oggi profeti. Profeti di un altro modo di essere e di vivere.

A lode di Cristo! Amén.

Sr M. Fernanda Dima, osc 

San Casciano VP (FI), 22/02/2016