Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 8 Ottobre 2023

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Questa parabola è la seconda delle tre che nel Vangelo di Matteo hanno lo stesso tema di base: l’accoglienza o il rifiuto del Regno. 

Siamo la vigna del Signore

Diversi tratti di questa seconda parabola rispecchiano la situazione palestinese. Quando si pianta una vigna, viene eretto un muricciolo a sua protezione, vi si scava una buca per la pigiatura, e se la vigna è vasta, vi si erige una torre di guardia per tenere lontani i ladri. 

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Ma più importanti di questi tratti sono i riferimenti veterotestamentari della parabola. Nell’Antico Testamento è ricorrente l’immagine della vigna o della vite per designare Israele in quanto popolo di Dio, sua proprietà (Is 5,1-7; 27,2-6; Ger 2,21; 12,10-11; Ez 15,1-6; 19,10-14; Os 10,1-3; Sl 80,9…): e tale metafora è ripresa anche dai Sinottici (Mt 20,1-16; 21,33-43; Lc 13,6-9). 

La parabola, però, sembra soprattutto riferirsi al famoso canto della vigna di Isaia (Is 5,1-7). Il profeta descrive la monotona storia del suo popolo: da una parte l’amore di Dio e dall’altra il continuo tradimento del popolo. È una storia, conclude il profeta, che non può continuare all’infinito: il popolo, continuando ad allontanarsi da Dio, va verso la propria rovina. Dio si aspettava uva pregiata ed invece ebbe uva scadente. A questo punto non resta che tirare le conseguenze: la vigna cadrà in rovina, non sarà più coltivata e vi cresceranno pruni e rovi.

Il monito di Dio

Fin qui il canto di Isaia. Nella parabola evangelica vengono precisati due punti. Il primo è che la causa del castigo non consiste semplicemente in una generica disobbedienza del popolo di Dio, ma nel fatto che questo popolo ha tolto di mezzo i suoi profeti e, alla fine, i suoi capi addirittura uccideranno il Messia, fuori della vigna, come succederà a Gesù, crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme (Eb 13,12). È un duro giudizio su Israele ed è un perenne avvertimento per gli stessi cristiani. 

Il secondo punto consiste nel fatto che il Regno sarà tolto ai capi d’Israele e sarà dato ad altri, sarà tolto ai vicini e passerà ai lontani. Il v. 43 parla di “èthnos”, che può significare genericamente “gente”, “persone”, ma anche “nazione”, “popolo” (cfr 1 Pt 2,9; Es 19,6), forse indicando non tanto la Chiesa ma il popolo obbediente escatologico: non si usa “laòs”, quindi forse designa solo un “gruppo”, all’interno del giudaismo. Ricordiamo sempre che non tutto Israele ha rifiutato Cristo, ma solo una sua parte: Maria, gli Apostoli, la prima Chiesa infatti, come Gesù, appartenevano al popolo ebreo. 

Anche questo è un perenne monito ai cristiani. Dio è fedele al suo popolo, ma non al punto che il suo disegno di salvezza venga interrotto. Se i cristiani rifiutano, le sue esigenze di verità e giustizia troveranno altrove il modo di esprimersi.

Una grande speranza

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Papa Francesco, sottolineando come le parole di condanna finale non siano del padrone della vigna, ma degli ascoltatori (v. 41), vede in questa parabola una grande speranza: “Per far capire come Dio Padre risponde ai rifiuti opposti al suo amore e alla sua proposta di alleanza, il brano evangelico pone sulle labbra del padrone della vigna una domanda: «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?» (v. 40). Questa domanda sottolinea che la delusione di Dio per il comportamento malvagio degli uomini non è l’ultima parola! È qui la grande novità del Cristianesimo: un Dio che, pur deluso dai nostri sbagli e dai nostri peccati, non viene meno alla sua parola, non si ferma e soprattutto non si vendica!

Fratelli e sorelle, Dio non si vendica! Dio ama, non si vendica, ci aspetta per perdonarci, per abbracciarci. Attraverso le «pietre di scarto» – e Cristo è la prima pietra che i costruttori hanno scartato –, attraverso situazioni di debolezza e di peccato, Dio continua a mettere in circolazione il «vino nuovo» della sua vigna, cioè la misericordia; questo è il vino nuovo della vigna del Signore: la misericordia. C’è un solo impedimento di fronte alla volontà tenace e tenera di Dio: la nostra arroganza e la nostra presunzione, che diventa talvolta anche violenza! Di fronte a questi atteggiamenti e dove non si producono frutti, la Parola di Dio conserva tutta la sua forza di rimprovero e di ammonimento: «A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (v. 43).

Una proposta d’amore

L’urgenza di rispondere con frutti di bene alla chiamata del Signore, che ci chiama a diventare sua vigna, ci aiuta a capire che cosa c’è di nuovo e di originale nella fede cristiana. Essa non è tanto la somma di precetti e di norme morali, ma è prima di tutto una proposta di amore che Dio, attraverso Gesù, ha fatto e continua a fare all’umanità. È un invito a entrare in questa storia di amore, diventando una vigna vivace e aperta, ricca di frutti e di speranza per tutti. Una vigna chiusa può diventare selvatica e produrre uva selvatica. Siamo chiamati ad uscire dalla vigna per metterci a servizio dei fratelli che non sono con noi, per scuoterci a vicenda e incoraggiarci, per ricordarci di dover essere vigna del Signore in ogni ambiente, anche quelli più lontani e disagevoli”.

Carlo Miglietta

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Mt 21, 33-43 | Carlo Miglietta 33 kB 6 downloads

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Il commento alle letture della domenica a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.

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