Con gioia inizio con voi quest’anno liturgico nella contemplazione dei Vangeli festivi.
Innanzitutto facciamo conoscenza con l’Evangelista che ci accompagnerà quest’anno: è Matteo, un “impuro” perché pubblicano e quindi collaborazionista con il regime di Roma (Mt 9,9), che Gesù chiama, tra lo scandalo generale, a diventare uno dei suoi intimi: il suo nome è assonante con “Maththaìos”, “Discepolo”: “ed egli, lasciando tutti, lo seguì” (Lc 5,27-32). Matteo scrive il suo Vangelo per le comunità cristiane di provenienza dall’ebraismo: è “uno scriba (sofer) divenuto discepolo del regno dei cieli” (Mt 13,52).
Il Vangelo di oggi ci fa meditare sulla venuta definitiva del Signore. Sarà un momento improvviso ma splendido (Is 2,1-5), di riconciliazione tra le genti, giorno in cui il sogno dell’agognata pace finalmente si realizzerà, e la luce del Signore sarà finalmente tutto in tutti.
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Il Vangelo (Mt 24,37-44) ci esorta ad un’attesa vigilante ed operosa. L’Eucarestia celebra l’attesa gioiosa dell’incontro definitivo con Dio: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11,26). Dopo aver pronunciato le parole sul calice, Gesù afferma: “Io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio” (Mc 14,25). Quest’accenno escatologico è presente in tutte le narrazioni di istituzione dell’Eucarestia, al punto che alcune liturgie orientali includono questo versetto nelle formule di consacrazione. Inoltre “il vino del banchetto celeste viene detto «nuovo» (kainon), cioè non «giovane» in rapporto a «vecchio», ma radicalmente diverso, inventato, inaspettato, proprio come la terra nuova e i cieli” (X. Léon-Dufour).
La “speranza” dei Cristiani è un fatto reale, già attuato, al punto che Paolo parla della “speranza che vi attende nei cieli” (Col 1,5), e ci invita a “vivere… nell’attesa della beata speranza” (Tt 2,13): “Animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato» anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui” (2 Cor 4,13-14); “Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste… Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e, sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (2 Cor 5,1-8).
Talora i cristiani aspettano il ritorno del Signore con la noia con cui… si aspetta il tram alla fermata. Il Vangelo ci invita all’entusiasmo, alla veglia gioiosa, ad uscire da un cristianesimo “addormentato” (Mc 13,36), per attendere il Signore con l’ansia con cui l’innamorata aspetta l’innamorato. Diceva il cardinal Pellegrino: “Il monito di Paolo è chiaro e deciso: «Se la nostra speranza in Cristo fosse circoscritta soltanto a questa vita, saremmo i più miserabili di tutti gli uomini!» (1 Cor 15,19). Come l’apostolo anela a salpare dal porto dell’esistenza terrena per «essere con Cristo» (Fil 1,23), il cristiano pienamente consapevole della sua vocazione sa cosa significa l’«impazienza di Dio»…, il querere Deum del salmista…, l’immagine del cervo che anela alla fonte d’acqua viva (Sl 42)”.
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Quando a Giovanni XXIII viene annunciata l’imminente morte per un tumore allo stomaco, risponde con il Salmo: “Esultai quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore»” (Sl 121,1). E al Segretario Mons. Capovilla che gli annunciava tra le lacrime che era alle ultime ore di vita, il Papa rispondeva: “Perché piangere? È un momento di gioia questo, un momento di gloria”.
Pietro nella sua prima Lettera dice del nostro rapporto con Gesù: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1 Pt 1,8-9). E Isaia: “Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e in Gerusalemme e davanti ai suoi anziani sarà glorificato” (Is 24,23). Che il nostro invecchiare sia davvero l’attesa della manifestazione dell’Amato!
Afferma Papa Francesco: “Siamo venuti al mondo per risorgere: non siamo nati per la morte, ma per la risurrezione. Infatti, come scrive San Paolo, già da ora «la nostra cittadinanza è nei cieli» (Fil 3,20) e, come dice Gesù, saremo risuscitati nell’ultimo giorno… Possiamo chiederci: che cosa mi suggerisce il pensiero della risurrezione? Come rispondo alla mia chiamata a risorgere? Un primo aiuto ci viene da Gesù, che ci dice: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37). Ecco il suo invito: «Venite a me» (cfr Mt 11,28). Andare a Gesù, il Vivente, per vaccinarsi contro la morte, contro la paura che tutto finisca… Insomma, vivo andando al Signore o ruoto su me stesso?
Qual è la direzione del mio cammino…? Vedere la realtà con gli occhi del Signore e non solo con i nostri; per avere uno sguardo proiettato sul futuro, sulla risurrezione, e non solo sull’oggi che passa; per compiere scelte che abbiano il sapore dell’eternità, il gusto dell’amore. Esco da me per andare ogni giorno al Signore…? Tra le tante voci del mondo che fanno perdere il senso dell’esistenza, sintonizziamoci sulla volontà di Gesù, risorto e vivo: faremo dell’oggi che viviamo un’alba di risurrezione”.
Carlo Miglietta
Il commento alle letture di domenica 27 novembre 2022 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.