Con la resurrezione di Lazzaro si conclude la prima parte del Vangelo di Giovanni, il cosiddetto “Libro dei Segni”. Per Giovanni, il “segno” (semeion) è un evento che deve portare alla fede in Gesù. Giovanni ne racconta sette: il segno del vino a Cana, la guarigione del figlio del funzionario, la guarigione dell’infermo alla piscina di Betzaetà, la moltiplicazione dei pani, il camminare sulle acque, la guarigione di un cieco tale dalla nascita, la resurrezione di Lazzaro. Il segno può portare alla fede, ma Gesù rimprovera una fede troppo basata sui segni (2,23-24; 4,48; 20,28: “Beati quelli che crederanno senza aver veduto!”), e in ogni caso il segno è sotto il primato della Parola che lo esplica (5,46).
Il Libro dei Segni è articolato attorno a sette festività liturgiche ebraiche, citate esplicitamente, nell’arco di due anni. Nella Festa della Dedicazione (Gv 10,22), in cui si celebrava IHWH, con la recita del Salmo 30, come Datore di vita, Gesù, a Betania, la “casa dell’afflizione”, proclama di essere lui stesso la vita, e ne dà segno nella resurrezione di Lazzaro, il cui nome significa “Dio aiuta”.
Gesù è il Dio della vita: è Dio che soffre di fronte alla condizione umana e che si fa ad essa solidale nel dolore (Es 2,24-25). Non è Dio che ci manda il male: il nostro Dio si adira contro il male! “Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò… Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro”: il verbo “embrimasthai” (Gv 11,33.38) non indica tanto “commozione”, quanto “collera”, “ira”: la malattia non è qualcosa verso cui rassegnarsi, ma contro cui sdegnarsi, combattere, lottare. Se siamo nella sofferenza, Dio è al nostro fianco, piange con noi, si adira con noi; e interviene a darci la vita, anche se talora non come vorremmo noi: talora aspetta il “terzo giorno” (v. 6): “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!»” (Gv 11,6-8).
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Ma in ogni caso ogni malattia o morte è per la sua Gloria, perché egli trionferà sul male e ridarà la vita: è questa la stupenda certezza cristiana: “Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato»… Disse Gesù (a Marta): «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?»” (Gv 11,4.40).
Il Vangelo odierno è anche un racconto esemplificativo del cammino di fede del cristiano. Ne sono tipo i discepoli, che non comprendono perché il Cristo, Figlio di Dio, debba andare a soffrire (v. 8), che non capiscono il mistero della malattia di Lazzaro e perché Gesù tardi ad intervenire (vv. 12-14): è l’obiezione del mondo, personificato dai Giudei (v. 37), su perché Dio permetta il dolore umano e non intervenga, se è Onnipotente. Ma in fondo i discepoli, per bocca di Tommaso, intuiscono il “misterium crucis”, e in qualche modo sono coloro che accettano di “andare a morire con lui”: “Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, il Gemello, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!»” (Gv 11,16).
Anche Marta è tipo del cristiano: avverte Gesù di essere nel bisogno (v. 3), fa esodo verso di lui (v. 20), si rivolge a lui con titoli elevati (“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”: vv. 20-21): ma la sua fede è inadeguata. Non ha ancora capito che è Gesù la vita stessa (v. 24). Prima afferma: “Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà” (v. 22), che sembrerebbe esprimere fede indiscussa, ma poi emerge subito l’incredulità del v. 39: “Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni»”.
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Ma Gesù richiama il credente al cuore della fede: la Cristologia. Se accettiamo lui, abbiamo la vita eterna: chi crede in lui, vedrà la Gloria di Dio (v. 40). Marta è come noi: professiamo con la bocca che la luce e la vita sono venute nel mondo, ma il nostro cuore è ancora incerto, vacillante.
Altro modello del discepolo è Maria: è la dimensione contemplativa (vv. 2.20.32; Lc 10,39; Gv 12,3), è l’adorazione, la liturgia, la dimensione sacerdotale del credente che, pur in una fede imperfetta, porta a Dio, nelle lacrime, la sofferenza dell’uomo.
Pure Lazzaro è tipo del credente: è l’amico di Dio (v. 3), colui a cui il Signore vuole molto bene (v. 5): ma, lontano dal Cristo, si ammala e muore (vv. 21.32), imputridisce (v. 39).
Gesù, per intercessione della comunità, va alla ricerca dell’uomo anche se questi non fa nulla per invocarlo: ci viene a scovare là dove siamo, scende nei nostri sepolcri, indipendentemente dai nostri meriti. E ci chiama a “uscir fuori” (v. 43) dalla nostra condizione di morti imputriditi, e ci risuscita. Ma noi spesso restiamo mummie incapaci di muoverci: Gesù ordina alla comunità di sciogliere i nostri legami e renderci capaci di “andare” (v. 44) dietro di lui, coinvolti nel mistero pasquale di morte e resurrezione.
Carlo Miglietta
Il commento alle letture di domenica 26 marzo 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.