Il capitolo 13 del Vangelo di Matteo è interamente costruito da parabole. Sei volte ricorre la formula: “Il Regno dei Cieli è simile a..”; dieci volte ricorre il sostantivo “parabole” (cioè similitudine, paragone), otto volte ricorre l’espressione “Regno dei Cieli”.
La parabola del seminatore domina tutte le altre: il regno di Dio è il seme, la barca è il simbolo della missione dei credenti, i terreni siamo noi. Le parabole sono sette (non a caso): quella del seminatore è la più importante e le altre corrispondono ai quattro tipi di terreno o di persone che sono chiamate ad ascoltare: la zizzania, il granello di senape, il lievito, il tesoro, la perla e la rete.
Nel brano odierno (Mt 13,24-43) abbiamo tre parabole e la spiegazione che Gesù dà ai suoi discepoli della prima parabola.
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La prima parabola è quella della pazienza di Dio. Tante volte noi vorremmo che Dio intervenisse per castigare già ora i peccatori, per distruggere i tiranni e gli oppressori. Fu la grande crisi della prima comunità cristiana: i “santi di Dio”, gli “eletti” fanno esperienza del male, del peccato, anzi della stessa morte, senza avere visto l’arrivo del Signore. “Schernitori beffardi” cominciano a dire: “Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione” (2 Pt 3,3-4).
E si tentano varie risposte: “Il Signore non tarda nell’adempire la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt 3,9); “Vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo…, di non lasciarvi così facilmente confondere o turbare la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione” (2 Ts 2,1-8): questo testo annuncia che prima dell’arrivo del Signore vi sarà l’apostasia e dovrà essere rivelato un non meglio identificato “uomo iniquo”, il “figlio della perdizione”, che la tradizione chiamerà poi l’Anticristo.
Il grande insegnamento di questo brano evangelico è che dobbiamo imparare a vivere immersi in un mondo che è impastato di iniquità, di ingiustizia, di male. Con umiltà, senza velleità giustizialistiche, ma nella certezza che alla fine il Signore metterà a posto le cose e che vi sarà solo più un Regno di pace, di bellezza, di giustizia, di amore.
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La seconda e la terza parabola ci ricordano che la Chiesa, pur essendo anticipazione del Regno, non deve mai perdere la propria consapevolezza di essere minoranza, di essere il “resto di Israele” (Is 10,20): Gesù ne parla come del “granello di senape” (Mt 13,31), del “lievito” (Mt 13,33), del “sale della terra” (Mt 5,13), del “piccolo gregge” (Lc 12,32), tutte immagini che si riferiscono a una dimensione di modestia, di umiltà, di piccolezza.
“Nella società il «peso» dei cattolici non è più quello di una maggioranza. Constatiamo un’oggettiva perdita d’influenza e spesso un discredito culturale. La vita sociale si svolge «come se Dio non esistesse». In una situazione minoritaria molti sentono il bisogno di delineare meglio la loro identità e di avere dei segni della loro differenza rispetto agli altri. Con il pericolo evidente del ripiegamento identitario, che minaccia ogni religione del nostro tempo e suscita forme di fondamentalismo. Come accettare di essere minoritari senza diventare una setta? Questa è una parte della sfida” (B. Chenu).
“Questa piccolezza può far nascere il dubbio e lo scoraggiamento nel cuore di molti. Ma è uno scoraggiamento da fugare: la storia di salvezza è regolata dalla legge del «resto d’Israele», cioè del piccolo gruppo di autentici credenti nel quale il Regno si attua a beneficio di tutti.
Il piccolo gregge è invitato a non temere. «Non temete» (Lc 12,32): vigilanza sì, prontezza e impegno, ma tutto in un clima di grande fiducia. Il Regno è donato (al Padre è «piaciuto dare a noi il Regno»), poggia sul suo amore e non sulle nostre prestazioni: dunque nessuna ansia” (B. Maggioni).
Infine Gesù parla ai suoi discepoli della “fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt 13,42). Le immagini della beatitudine dei giusti (“Regno”, “città santa che scende dal cielo”, “banchetto di nozze”…) e della dannazione dei peccatori (“tenebre”, “inferno”, “fuoco eterno”, “fornace ardente”, “Gheenna”…) sono dei generi letterari, e vanno quindi intese secondo il linguaggio biblico: esse non intendono descriverci concretamente luoghi o modi di felicità o di sofferenza, ma solo esprimere che chi ha scelto Dio, fonte della vita, avrà vita in pienezza, con la gioia più completa, vivrà con lui e di lui, contemplandolo faccia a faccia (1 Cor 13,12), immerso nel suo Amore, mentre chi lo ha coscientemente rifiutato (ma il Vangelo non ci dice se qualcuno davvero lo ha fatto…) si è allontanato dalla vita, e avviato per una via di morte, di negatività.
Dobbiamo perciò accettare il mistero sul “come” e sul “quando”: “Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo però, dalla rivelazione, che… la felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruzione; e restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l’uomo” (Gaudium et Spes, n. 39).
Carlo Miglietta
Il commento alle letture di domenica 23 luglio 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.