Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 2 Aprile 2023

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LA PASSIONE E MORTE DI GESU’

SECONDO MATTEO (26-27)

Gli studiosi della Bibbia sono generalmente d’accordo nell’affermare che questa parte della tradizione evangelica fu la prima in ordine di tempo ad acquistare una struttura fissa. Nessuna parte della vita di Gesù è redatta con uguale abbondanza di dettagli e con uguale concordanza delle fonti. Lo spazio assegnato al racconto della passione in Marco in rapporto al resto del suo Vangelo è indice del ruolo importante che questa narrazione ebbe nella Chiesa apostolica; la sproporzione è notevole pure in Matteo, anche se minore. La predicazione primitiva di Gesù era incentrata sul racconto della morte e della risurrezione. Questo fu il grande atto salvifico di Dio e il punto culminante dell’azione salvifica nella storia della salvezza. Paolo disse che egli predicava Cristo e questi crocifisso (1 Cor 2,2). 

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Mentre nelle “Vite degli Eroi” in auge nell’antichità si raccontavano con dovizia i successi e i prodigi dei grandi personaggi, e fugacemente si accennava alla loro fine, i primi Cristiani dedicano la maggior parte dei Vangeli a raccontare il tragico trapasso del loro Maestro e Signore, la sua passione, morte e resurrezione. Fu questo un tema che turbò profondamente la prima comunità: era inconcepibile che un Dio potesse soffrire e morire. È interessante notare che quando Gesù aveva preannunciato che “il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato…, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare…, Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo” (Mc 8,31-32)! L’attesa di Israele era di un Messia che portasse libertà, salvezza, pace e felicità attraverso una manifestazione di gloria e di potenza. I sommi sacerdoti e gli scribi, ai piedi della croce, diranno proprio a Gesù: “Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo” (Mc 15,31-32). E le prime eresie contestarono proprio che il Figlio di Dio avesse potuto soffrire e morire. Inoltre i primi credenti furono sconvolti dal vedere non solo la morte di Dio, ma che Dio moriva in una maniera tragica, “annoverato fra i malfattori” (Lc 22,37, cfr Is 53,12; Gv 18,30). 

Il racconto della passione in Matteo contiene alcuni ampliamenti suoi propri. Alcuni di questi sono leggendari, altri sono il frutto di un’interpretazione di testi di “compimento” delle Scritture dell’Antico Testamento simile a quella notata frequentemente nei racconti dell’infanzia, e con meno frequenza in altre parti del Vangelo.

Il racconto della passione non è un resoconto delle parole di Gesù, benché Gesù parli più frequentemente in Matteo che in Marco, ma di fatti che contengono delle rivelazioni. Potrebbe sembrate strano a noi, ma in effetti i Vangeli non contengono alcuna esposizione teologica della passione, né attraverso le parole di Gesù né utilizzando le parole degli altri. Ciò fu demandato all’insegnamento apostolico, il che risulta chiaramente dalle lettere di Paolo.

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PECULIARITA’ DEL RACCONTO DI MATTEO

Matteo dipende da Marco, ma ha sette interpolazioni proprie:

a) la parola al discepolo che ha colpito di spada: 26,52-54

b) la morte di Giuda: 27,3-10

c) il sogno della moglie di Pilato: 27,19

d) Pilato che si lava le mani: 27,24-25

e) l’apertura dei sepolcri: 27,51-53

f) le guardie alla tomba: 27,62-66

g) le guardie prezzolate: 28,11-15

  Caratteristiche teologiche della Passione secondo Matteo:

a) La Passione è il compimento di tutte le Scritture

b) Gesù domina la scena: in più di venti casi Matteo nomina esplicitamente Gesù, mentre in Marco è solo implicito; Gesù sa tutto in anticipo (“gnòus”: 26,10); ha titoli di regalità: Signore (22,26), Messia (26,68; 27,17.22), Figlio di Dio (27,40.43).

c) La responsabilità degli Ebrei nella morte di Gesù, sottolineata da tre interpolazioni a lui proprie: Pilato che si lava le mani (27,24-25), le guardie alla tomba (27,62-66), le guardie prezzolate (28,11-15).

d) Passione e resurrezione sono eventi apocalittici: l’apertura dei sepolcri (27,51-53).

La sezione si divide in sei parti, ciascuna delle quali composta da tre unità:

1. Preparativi di morte (26,1-16)

2. La cena pasquale (26,17-29)

3. Al Getsemani (26,30-56)

4. Il processo giudaico (26,57-27,10)

5. Il processo romano (27,11-31)

6. Il Calvario (27,32-61)

LA MORTE IN CROCE DI GESU’, SUPREMO DONO D’AMORE

Contemplando, come siamo invitati a fare dalla Liturgia odierna, la Passione e Morte del Signore, dobbiamo purificare il nostro corrente concetto di “sacrificio” da tante scorie pagane e non certo evangeliche che spesso lo accompagnano.

Innanzitutto il Vangelo sottolinea che non è volontà del Padre la morte cruenta del Figlio, ribadendo invece la responsabilità delle forze del male che si coalizzano contro il Cristo. Sono le potenze religiose e politiche del tempo di Gesù che solidarizzano contro di lui perché si oppongono al suo messaggio di bene, di amore, di giustizia. “Gesù ha incontrato una morte inflittagli dagli uomini ingiusti perché, in un mondo ingiusto, il giusto può solo essere condannato, rifiutato, ucciso” (E. Bianchi). “Nel gesto con cui Gesù è tradito e «consegnato nelle mani dei peccatori» (Mt 26,45) si riassume tutto il rifiuto d’Israele, e più globalmente dell’umanità, nei confronti di colui che il Padre ha inviato” (A. Bozzolo). I Vangeli non raccontano la morte di Gesù come una morte rituale, ma come un’ingiustizia palese; Matteo ci dice che Pilato “sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia” (Mt 26,18), e che la moglie aveva avuto un sogno che la induceva a dichiararlo “giusto” (Mt 26,19).   

La Croce non è quindi il momento della “soddisfazione” di un Dio vendicativo, ma la sublime rivelazione di ciò che è la sua “giustizia” (Rm 1,17; 3,21-26), cioè la sua volontà di entrare in comunione con noi totalmente, condividendo la vita umana fino alla sua fine, anche se tragica! Gesù trasforma la croce da ciò che era, cioè simbolo della violenza degli uomini, in un segno d’amore: è infatti il momento storicamente supremo della sua Incarnazione, di una vita che è stata tutta dono, “kenosis”, “spogliazione” per gli uomini (Fil 2,7: seconda Lettura). Karl Rahner afferma: “I Vangeli desacralizzano la categoria religiosa del sacrificio, sostituendo al concetto del sangue espiatorio e della soddisfazione vicaria, quello di un amore che perdona e salva”. 

 La morte in Croce di Gesù è davvero il suo supremo dono d’Amore.

Carlo Miglietta


Il commento alle letture di domenica 2 aprile 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.