Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 16 Gennaio 2022

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La Chiesa sposa di Cristo

L’evangelista Giovanni parla della Chiesa sotto vari simbolismi. Ma per lui la Chiesa è innanzitutto la Sposa del Messia. Già l’Antico Testamento aveva espresso il rapporto d’amore tra Dio e il suo popolo tramite la metafora nuziale: Dio è l’Amante, il fidanzato, lo sposo, e Israele l’amata, la fidanzata, la sposa. Nell’immagine matrimoniale non viene però solo significato il rapporto d’amore tra Dio e il suo popolo, ma anche la sua “berit” – alleanza con Israele, il patto definitivo e solenne, il giuramento reciproco di fedeltà (Os 2,15-22; 3,1; Ger 3,1-13; 31,4; Ez 16; 23; Is 54; 62,1-5; Ct). Il matrimonio diventa quindi sacramento (la parola “sacramentum” significa “segno”) di una realtà che lo trascende, profezia di Dio e della sua alleanza con l’uomo.

Il primo miracolo operato da Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana (Gv 2,1-12), rientra nel genere letterario delle “azioni profetiche”, cioè di quelle gestualità che i profeti sono soliti compiere per esprimere un messaggio (Ger 13,1-14; 19; 24; 27-28,10; Ez 3,24-5,17; Zc 11,15).

A Cana i protagonisti non sono gli sposi: la sposa non è neppure nominata. A Cana si celebrano le nozze tra lo Sposo messianico e la sua Sposa, rappresentata da Maria e dai discepoli. “Il «segno» di Cana ha lo scopo di «manifestare la gloria di Gesù», cioè la novità del suo messaggio: il Dio che egli annuncia è un Dio non straniero, ma lo Sposo che chiama alle nozze dell’alleanza l’intera umanità qui rappresentata dai discepoli che sono i garanti del «segno» di Cana di Galilea” (P. Farinella). Infatti una delle immagini costanti dell’Antico Testamento per esprimere la gioia dell’avvento messianico è l’abbondanza di vino (Am 9,13-14; Os 14,8; Gen 49,10-12; Gl 2,24; 4,18; Is 25,6). Scrive infatti l’Apocalisse apocrifa greca di Baruc: “La terra darà i suoi frutti diecimila volte tanto e in una vite ci saranno mille tralci e un tralcio farà mille grappoli e un grappolo farà mille acini e un acino farà un kor di vino (ndr: circa 450 litri).

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E coloro che avevano fame saranno deliziati e, ancora vedranno meraviglie ogni giorno… E accadrà in quel tempo: scenderà nuovamente dall’alto il deposito della manna e in quegli anni ne mangeranno perché loro sono quelli che sono giunti al compimento del tempo. E accadrà dopo ciò: quando il tempo della venuta dell’Unto sarà pieno ed egli tornerà nella gloria, allora tutti quelli che si erano addormentati nella speranza di lui risorgeranno… Le anime dei giusti usciranno e la moltitudine delle anime sarà vista insieme in un’unica assemblea di un’unica intelligenza… Sapranno infatti che è giunto il tempo di cui è detto: è il compimento dei tempi”.

A Cana Gesù procura miracolosamente da quattrocentottanta a settecentoventi litri di vino, davvero un po’ troppo per un semplice banchetto nuziale! I discepoli capiscono che è il Messia-Sposo del tempo finale, che convoca l’assemblea escatologica degli eletti. Come dice Agostino: “Cristo… è lo sposo delle nozze di Cana, infatti, cui fu detto: «Hai conservato il buon vino fino ad ora». Cristo, infatti, aveva conservato fino a quel momento il buon vino, cioè il suo Vangelo”. In ebraico, vino si dice “yayìn”, le cui consonanti (y – y – n) corrispondono al numero 70 (10 + 10 + 50), cioè il numero delle nazioni della terra secondo il giudaismo: il Vangelo è proprio universale, tutti sono chiamati all’assemblea degli eletti.

Il Cantico dei Cantici impiega otto volte la metafora del vino per esprimere l’amore ardente tra lo Sposo e la Sposa (Ct 1,2.4; 2,4; 4,10; 5,1; 7,3.10; 8,2). È Gesù lo Sposo, e tale lo proclamerà il Battista (Gv 3,29).

Cana deriva da “qanah”, che significa “acquistare” ma, quando ha per soggetto Dio, anche “creare” (Gen 14,22; Es 15,16; Dt 32,6; Pr 8,22; Is 43,21; Sl 78,54; 139,13). Il fatto avviene “il terzo giorno” (Gv 2,1), così come “il terzo giorno” era avvenuta la teofania sinaitica (Es 19,11). Le parole di Maria: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,4) richiamano la promessa di Israele al Sinai: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8). Le sei giare “di pietra” (Gv 2,6) ricordano le tavole “di pietra” (Es 31,18; 32,15; 34,1.4) su cui è scolpita le Legge del Sinai. “A Cana Gesù «crea» il nuovo popolo dei suoi discepoli; essi sono la «primizia archetipa» della comunità messianica, fondata sulla fede in Cristo. Cana, a somiglianza del Sinai, è l’«arché» di una nuova creazione, che sta in linea di continuità con la creazione genesiaca” (A. Serra) e con il popolo di Israele.

Il matrimonio sacramento dell’amore di Cristo per la Chiesa

Durante la cattività (61-63), che lo distoglie da problemi immediati, Paolo scrive le lettere ai Filippesi (che taluni pongono però verso il 56), a Filemone, e forse la sua scuola scrive ai Colossesi e agli Efesini. Allora l’“ekklesìa” non è più la comunità locale, come, salvo rare eccezioni, era prima da lui considerata, ma è contemplata nel suo mistero di universalità, di cattolicità.

“Non è per un’addizione di comunità che si forma la Chiesa totale, così come nel movimento protestante si concepisce, intendendo ognuna delle comunità autonoma e autogenetica; parlo del congregazionalismo, tentazione che si sente oggi presente anche nella Chiesa cattolica. Invece ogni comunità, per quanto piccola possa essere, traendo il suo valore dalla Chiesa totale, la rappresenta tutta, incarna il Mistero di quella chiamata che era così presente alla coscienza dei primi cristiani” (L. Giussani).

Le Chiese locali non sono solo unite da una fede e da ordinamenti comuni (1 Cor 7,17; 11,16), ma formano veramente un’unità mistica di dimensioni cosmiche (Col 2,19; Ef 1,23; 4,13): le varie comunità formano l’unica Sposa, termine che designa al contempo la diversità e l’intima unione d’amore con lo Sposo, il Cristo.

La lettera agli Efesini (Ef 5,26-27) presenta la nuzialità umana come icona del rapporto tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,21-33): il matrimonio è “mistero grande…, in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,32). L’esortazione ai coniugi, inserita in questa che è l’epistola ecclesiale per eccellenza, è per Paolo importante occasione proprio per un nuovo tipo di riflessione sulla Chiesa.

“Mistero grande” (Ef 5,32) non è solo il fatto che Cristo ci ama come il più tenero degli sposi, ma anche che il matrimonio è chiamato ad essere segno dell’amore divino per la Chiesa. Per capire il rapporto di Cristo con la sua Chiesa, dobbiamo meditare sull’amore coniugale, che dell’amore divino è sacramento, cioè segno, icona, secondo la grande tradizione ebraica, che Cristo, lo Sposo escatologico, porta a compimento. Ogni matrimonio è profezia dell’amore di Dio. Da ogni matrimonio, dalla sua passione, dalle sue tenerezze, dalle sue dolcezze, dal suo calore, noi dobbiamo cogliere piccoli ma concreti segni dell’Amore stesso di Dio. I nostri amori sono traccia, esperienza e anticipazione di quello di Dio: per immaginare l’Amore divino bisogna partire dai nostri amori, ovviamente elevandoli all’ennesima potenza.

 “Il rapporto reciproco tra i coniugi, marito e moglie, va inteso dai cristiani a immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa” (Giovanni Paolo II). Al contempo “si ha l’impressione che Paolo, parlando della prima alleanza nella realtà umana – tra marito e moglie -, la più fondamentale di tutte le alleanze, voglia riportarla alla sua radice profonda, radice che tutto spiega e da cui tutto deriva: l’alleanza tra Cristo e la Chiesa” (C. M. Martini).

“Questa simbologia trova pieno compimento in un duplice senso: anzitutto in Cristo si fa tangibile l’unione tra Dio e l’umanità poiché Cristo è il soggetto in cui divinità e umanità si sposano e si uniscono indissolubilmente in lui stesso Uomo-Dio. In secondo luogo Cristo viene evidenziato in un rapporto unico, fedele, intimo e non solubile, con la comunità dei credenti: la Chiesa. L’immagine della Sposa applicata alla Chiesa fa, perciò, un plastico riferimento all’intimità assoluta che esiste fra Cristo e la Chiesa” (S. T. Stancati).

Da: C. MIGLIETTA, EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA. Perché (e come) essere Chiesa secondo la Bibbia, Gribaudi, Milano, 2010, con presentazione di S. E. Mons. Guido Fiandino


Il commento alle letture di domenica 16 gennaio 2022 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.