Carlo Miglietta – Commento alle letture di domenica 10 Settembre 2023

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Il mondo moderno vive generalmente all’insegna dell’egoismo, dell’isolamento, del disinteressarsi degli altri. “Pensa a te stesso”, “Fatti gli affari tuoi”, “Non mettere il naso nei fatti altrui”, “Homo homini lupus”, “Mors tua, vita mea”, “Poca brigata, vita beata”, “Morto io, morti tutti”…: sono le “massime” correnti della morale contemporanea. La logica di Dio è completamente diversa: il nostro Dio è il Dio della relazione, è il Dio della “giustizia” (in ebraico “sedaqah” e in greco “dikaiosyne”), che nella Bibbia altro non significa che la sua volontà di essere comunicazione, comunione, solidarietà.

Dio crea l’uomo perché sia anche lui relazione, con tutto il creato e soprattutto con i suoi simili. Fin dalla Genesi è ricordata la reciproca fratellanza degli uomini: nel racconto di Caino e Abele (Gn 4,1-16) la parola-chiave “fratello” (“‘ah”) ricorre ben sette volte. E viene sottolineato che ciascuno è custode del fratello: ognuno è responsabile di fronte a Dio dei problemi, delle sofferenze, delle tragedie degli altri. Perché “la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo” (Gn 4,10), dice il Signore: a lui dovremo rispondere di tutti i morti di fame, di solitudine, di malattie curabili, di povertà, di violenza per conflitti sociali, razziali, economici, politici, religiosi: ogni uomo è mio fratello! Caino è cacciato in una terra desertica (Gn 4,12.14), tuttavia anche lui è un fratello, e pertanto porterà un segno che lo proteggerà dalla vendetta (Gn 4,15).

La consapevolezza di essere un popolo di fratelli regola in Israele i rapporti sociali: il Deuteronomio riprende tutte le disposizioni dell’Esodo reinterpretandole in chiave di fratellanza (Dt 15,1-15). Il Levitico afferma: “Non odierai il fratello…, ma amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,17-18). Il “fratello” non è solo il membro della stessa famiglia, dello stesso clan o dello stesso popolo, ma anche lo straniero (Lv 19,34). 

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Il Vangelo (Mt 18,15-20) ci invita ad ogni sforzo per ricucire relazioni profonde con i fratelli, facendoci ministri di vera riconciliazione e di perdono. Di fronte al mondano: “Ma chi se ne importa!”, il Vangelo ci chiama a quello che sarà il motto di Don Milani: “I care”, “Me ne prendo cura”, “Me ne interesso”. 

“I pochi versetti proclamati in questa domenica vogliono indicare la necessità della riconciliazione sia nel vivere quotidiano sia nella preghiera rivolta al Signore vivente. Ecco allora la prima parola di Gesù: «Se tuo fratello pecca (contro di te), va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello». In verità questa sentenza di Gesù è attestata nei manoscritti in due forme: quella breve, che parla di un fratello che pecca (cioè che compie un peccato contro le esigenze cristiane), e quella lunga, che specifica «contro di te», ipotizzando un’offesa personale.

Nel primo caso la direttiva sarebbe ecclesiale, e dunque si tratterebbe di un preciso comportamento da viversi come chiesa; nel secondo caso Gesù si riferirebbe alla riconciliazione fraterna in caso di dissidio o offesa. La traduzione italiana ufficiale opta per questa seconda lettura, ma sia l’una sia l’altra versione sono accentuazioni diverse di un’unica verità, perché il peccato intravisto è comunque un peccato grave che impedisce la comunione fraterna… Il cristiano assume su di sé due responsabilità, quella di perdonare il peccato oppure di non perdonarlo: «Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo».

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Il potere del legare e dello sciogliere, conferito da Gesù a Pietro (cfr Mt 16,19), è dato anche a ogni cristiano affinché eserciti il ministero della riconciliazione, sempre e con autorevolezza. Questo potere è dato ai discepoli come l’ha avuto Gesù stesso, «non per giudicare ma per salvare il mondo» (cfr Gv 3,17). Nella sua Regola san Benedetto sa che, esaurita ogni possibilità di correzione di un fratello che continua a dimorare nel peccato grave, non resta che pregare, rimettendo l’altro alla misericordia del Signore e alla potenza della grazia, l’amore che non va mai meritato (cfr RBen 23-28)” (E. Bianchi).

La fonte di quel miracolo che è la trasformazione dei nostri deserti di solitudine ed egoismo nei prati rigogliosi della relazione e della carità è Cristo stesso, sempre presente laddove due o tre sono riuniti, sono “sinfonici” (“si metteranno d’accordo”, da sýn-phonéo) nel suo nome (Mt 18,20). Ed ogni Eucarestia, incontro specialissimo con lui, deve spingerci a creare legami di fraternità profonda a livello non solo personale ma anche comunitario e sociale. “L’Eucarestia è una riconciliazione con Dio che si realizza mediante una riconciliazione fra noi e con le cose.

Il pane e il vino sono il «simbolo dei beni della terra e del lavoro dell’uomo»: il simbolo del petrolio, del carbone, del rame, dell’oro, delle banane, dello zucchero, del caffè, dei manufatti, dei macchinari, di tutti quei beni cioè che sono la causa prima delle nostre separazioni, della disuguaglianza profonda tra popoli, fra nazioni e nazioni, fra uomo e uomo, i simboli della non-fraternità, dell’esclusione. Il grande tema che tutte le generazioni si trovano assegnato come compito essenziale da svolgere…, è precisamente il tema eucaristico: il tema dell’uguaglianza tra tutti gli uomini, della relazione e della riconciliazione” (A. Paoli).

Carlo Miglietta

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Mt 16, 21-27 | Carlo Miglietta 35 kB 3 downloads

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Il commento alle letture di domenica 3 settembre 2023 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.