card. Gianfranco Ravasi – Tua moglie ti darà un figlio

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Su quelle imponenti rovine soffia ora il vento del deserto. Siamo idealmente saliti su un colle che s’affaccia sulla distesa salata del Mar Morto. Lassù si ergeva una possente fortezza che il re Erode aveva eretto e che comprendeva anche un reparto carcerario. Il nome della roccaforte era Machaerus, Macheronte: in essa, durante un banchetto tragico, era stato presentato su un vassoio il capo mozzato di un prigioniero, Giovanni Battista, in una scena macabra. Protagoniste erano state due donne, Erodiade e sua figlia Salome. Ora, però, fermiamoci su quel martire celebre e risaliamo alla madre che l’aveva concepito e generato, «colmato di Spirito Santo fin dal grembo materno».

È Luca (1,15) a delineare così l’origine del Precursore e a porre sulla ribalta la donna che l’aveva partorito. Il cui nome era solenne, lo stesso della moglie di Aronne, fratello di Mosè e capostipite del sacerdozio di Israele: Elisheba‘, cioè Elisabetta, che in ebraico significava “Dio ha giurato” o forse anche “Dio è pienezza” (a causa di sheba‘ che, sempre in ebraico, è il numero “sette”, simbolo di perfezione). Pure a lei, che era parente della madre di Gesù, Maria, era toccato il destino di sposare un sacerdote, Zaccaria, anche perché essa discendeva genealogicamente proprio dal celebre Aronne, appena citato.

Ma quel matrimonio non era stato del tutto felice. Gli anni passavano, la sua carne sfioriva come la vigoria di suo marito, e il suo grembo rimaneva sterile. Nell’antico Israele restare senza figli, che ti ricordassero oltre la morte, era quasi una maledizione. Ma le cose un giorno precipitarono. Il marito Zaccaria, mentre presiedeva il sacrificio vespertino dell’incenso nel tempio di Gerusalemme, aveva avuto una visione con un annunzio angelico sconcertante: «Tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni» (1,13).

Quella sera il marito era tornato a casa come colpito da un ictus: non riusciva più a parlare. Ma a lei era accaduto qualcosa di ben più sorprendente: aveva sentito germogliare nel suo grembo sterile e ormai vecchio una vita. Un giorno era venuta a trovarla la sua parente Maria, già incinta di Gesù, e il bambino di Elisabetta aveva dato i segni della sua presenza sussultando nel grembo: era come un salto di gioia, quasi sentisse che vicino a lui c’era quell’altro bambino che avrebbe segnato la sua vita.

Lasciamo Elisabetta in dolce attesa, forse in quel delizioso sobborgo di Gerusalemme di nome ‘Ain Karem (“la fonte della vigna”) identificato dalla tradizione cristiana. Invitiamo i lettori a seguire integralmente la sua storia, intrecciata con quella del marito, che dopo la nascita del figlio tornerà a parlare, e del neonato Giovanni: essa è narrata nel primo capitolo del Vangelo di Luca ed è stata tante volte ricreata dalla storia dell’arte.

Suo figlio ci insegnerà con l’indice puntato su Gesù – «Ecco l’Agnello di Dio!» (Giovanni 1,36) – a rivolgerci all’altro Figlio, quello di Maria. E anche lei, la madre di Cristo, nell’arte bizantina sarà raffigurata con l’indice puntato verso il suo bambino, divenendo così l’Odighítria, in greco “colei che indica la via” verso il Salvatore. La via che era stata indicata anche dal figlio di Elisabetta: «Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”» (Luca 3,4).

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