La scorsa settimana avevamo proposto un passo autobiografico in cui san Paolo riassumeva la vicenda della sua vocazione. Questa sua confidenza l’apostolo la scriveva al suo discepolo, collaboratore e amico Timoteo, al quale aveva indirizzato le due Lettere che sono entrate nelle Scritture Sacre neotestamentarie. Vorremmo oggi delineare un ritratto di questo personaggio, evocando quella sorgente che è stata la sua vocazione, generatrice di una missione apostolica.
Timoteo è un nome greco che significa “colui che onora Dio”. Egli era nato a Listra di Licaonia, nell’attuale Turchia centrale, da padre greco e madre giudeo-cristiana. Era venuto alla luce in una famiglia cristiana osservante, tant’è vero che Paolo cita con affetto la mamma e la nonna di Timoteo, suggerendo quanto sia rilevante una comunità familiare per far sbocciare una vocazione: «Ricordo la tua fede schietta, che pervase prima tua nonna Loide e poi tua madre Eunice» (2Timoteo 1,5).
Stando al racconto degli Atti degli Apostoli, Timoteo si era unito a Paolo nell’impegno missionario, scegliendo quindi come sua vocazione la via della predicazione e della testimonianza cristiana. L’apostolo curiosamente decise di imporgli la circoncisione, contrariamente alla sua prassi solita che giudicava inutile a un pagano il passaggio nel giudaismo. La scelta fu motivata da una strategia pastorale, «per riguardo ai giudei che risiedevano in quella regione: tutti, infatti, sapevano che suo padre era greco» (Atti 16,1-3).
Paolo, per il quale ormai «la circoncisione non contava nulla, come l’incirconcisione» (1Corinzi 7,19), si era adattato – per evitare inutili proteste e ostacoli – a questa soluzione, che invece non accetterà per Tito, che rimarrà incirconciso (anch’egli era di origine pagana, come attesta il nome tipicamente latino). Nella Lettera ai Galati l’apostolo scrive, infatti: «Tito, che era con me, sebbene fosse greco, non fu obbligato a circoncidersi» (2,3).
Timoteo è spesso citato nell’epistolario paolino e negli Atti degli Apostoli (cc. 16-20) ed emerge come un compagno intimo e fidato di Paolo. Le due Lettere a lui indirizzate sono la via migliore per scoprire la profonda sintonia umana e spirituale che unisce i due, tant’è vero che l’apostolo lo considera un «vero figlio nella fede», chiamato come lui a combattere una «buona battaglia», a tutelare la dottrina pura della fede cristiana, e a gestire la comunità cristiana nelle sue varie articolazioni.
Si ha, così, quasi il profilo di un «vescovo » che guida una Chiesa locale, in particolare quella di Efeso. E Paolo sente di averlo accanto anche nei momenti oscuri. «Soffri con me per il Vangelo», potrebbe essere il motto di una vocazione che l’apostolo rievoca così per il suo discepolo: «Ravviva il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2Timoteo 1,6). È il ricordo di una consacrazione a quel ministero che darà senso a tutta l’esistenza che, secondo la tradizione, si concluderà con il martirio a Efeso.
Da Costantinopoli le sue reliquie sarebbero state traslate nel 1238 nella cattedrale di Termoli (Campobasso), ove vennero ritrovate nel 1945. Nei mosaici mirabili della chiesa della Martorana a Palermo Timoteo è raffigurato accanto al letto di morte di Maria, avvenuta secondo una tradizione popolare proprio a Efeso, ove la madre di Gesù avrebbe seguito l’apostolo Giovanni affidatole dal Cristo morente come figlio.