«Se si tratta di storia, è storia sacra; se si tratta di poesia è un poema molto bello, salutare e proficuo, opera di un poeta geniale. Commedia fine e amabile». Citiamo Martin Lutero, alle soglie del quinto centenario dell’affissione, a Wittenberg, delle 95 tesi che furono la squilla d’avvio della Riforma protestante. La definizione riguarda il libro di Tobia, una narrazione popolare vivace e piena di colpi di scena, ambientata nello sfondo storico più antico assiro e persiano (si introducono città come Ninive ed Ecbatana e sovrani del VII sec. a.C.).
Lo scopo principale, però, non è storiografico ma etico-religioso: esaltare la fedeltà di un ebreo che vive nella Diaspora tra popoli pagani spesso ostili e che si mantiene fedele alla legge e alla fede dei suoi antenati. Protagonisti sono padre e figlio che recano lo stesso nome emblematico, Tobia, che in ebraico signica: “il Signore è buono”. Lo è nonostante le aspre prove a cui il giusto è sottoposto: pensiamo alla generosità del vecchio Tobia e alla ricompensa che riceve con le persecuzioni, la cecità e la petulanza della moglie Sara.
La stessa amarezza pervade la vita del giovane figlio che sogna di poter sposare la bella Sara che risiede lontano, in Persia, a Ecbatana, e che appartiene al clan del padre. Ma questa ragazza – secondo una concezione magica popolare – era vittima di un demonio innamorato che le uccideva lo sposo nella prima notte delle nozze. Il nome di questo essere diabolico, Asmodeo, in ebraico rimanda al verbo “distruggere, annientare”, ma allude a uno dei demoni della religione persiana, Aeshma Deva.
Si può immaginare, perciò, l’incubo del giovane Tobia che si reca fino a Ecbatana da Ninive in Assiria, ove risiede, per impalmare l’amata. Accanto a lui, però, si presenta, inatteso, un giovane dal nome significativo, Azaria, “il Signore aiuta”, che deve compiere lo stesso viaggio. Alla fine questo misterioso compagno di strada svelerà la sua vera identità: è l’angelo Raffaele, il cui nome è altrettanto illuminante, “Dio guarisce”, perché sarà per merito di una sua strana terapia, basata su un suffumigio col cuore e il fegato di un pesce bruciato su una brace d’incenso, che si riuscirà a esorcizzare Asmodeo.
Il narratore alla fine ci introduce nell’alcova fatale ove i due sposini, praticato il rito del suffumigio, si dedicano alla preghiera e poi si coricano per la loro prima notte nuziale. Fuori della stanza, col cuore angosciato, il padre di Sara, Raguele, è in attesa di raccogliere il cadavere di Tobia, come era accaduto ai precedenti sposi di sua figlia. Invia una domestica a spiare la coppia, ed ecco la sorpresa: i due sono placidamente addormentati. È, allora, un’esplosione di benedizioni, mentre l’alba del giorno sorge come una festa con la nomina di Tobia a erede di tutti i beni di Raguele, al contrario di quanto accadeva per legge, che obbligava lo sposo a versare la dote per sua moglie.
Anche il vecchio padre Tobia senior alla fine sarà guarito dalla cecità a opera sempre di Azaria-Raffaele attraverso il fiele di quel pesce. E il libro sarà suggellato da un cantico di ringraziamento di questo vecchio giusto, mentre la coppia Tobia iunior e Sara si trasferirà a Ecbatana per raggiungere anch’essa una vecchiaia veneranda. È una bella storia ottimistica che vuole augurare alle giovani coppie, dalla vicenda tormentata, di non perdere mai la fiducia nella provvidenza divina.
Fonte: Famiglia Cristiana