Nell’arido paesaggio orientale questo elemento base per la vita è al centro dell’attenzione anche della Sacra Scrittura, cardine di desideri e contese, segno di benedizione divina.
Un panorama assolato, una steppa arida, un’oasi verdeggiante incastonata in una valle, una pista che si dipana negli spazi solitari, qualche raro albero e cespuglio: può sembrare un luogo comune per descrivere il paesaggio orientale, ma è effettivamente questo l’habitat prevalente dell’uomo della Bibbia ed è così che l’acqua costituisce, ieri e oggi, il cardine dei desideri e delle contese, la matrice dei simboli e delle idee del nomade e del sedentario biblico. La parola ebraica majim, «acqua», risuona oltre 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hydor ritorna un’ottantina di volte nel Nuovo (metà delle quali sono nel solo Vangelo di Giovanni).
Circa 1.500 versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono “intrisi” d’acqua, perché oltre ai vocaboli citati c’è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano intorno a questo elemento così prezioso, a partire dal pericoloso jam, il «mare», o dal più domestico Giordano, passando attraverso le piogge (con nomi ebraici diversi, se autunnali, invernali o primaverili), le sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le cisterne, i serbatoi celesti, il diluvio, l’oceano e così via. Per non parlare poi dei verbi legati all’acqua come bere, abbeverare, aver sete, dissetare, versare, immergere (il “battezzare” nel greco neotestamentario), lavare, purificare. Un filo d’acqua scorre, quindi, idealmente attraverso le pagine delle Sacre Scritture, testimoniando una sete ancestrale, legata a coordinate geografiche ed ecologiche segnate dall’aridità.
Non per nulla la Bibbia si apre con la creazione della luce e dell’acqua (Genesi 1,3-10) e con le piogge e la canalizzazione delle sorgenti (Genesi 2,4-6) e si chiude con «un fiume d’acqua viva limpida come cristallo che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello» (Apocalisse 22,1). E in mezzo c’è sempre l’ansiosa ricerca dell’acqua e la sete. Basti solo pensare a Israele nel deserto e al suo grido: «Dateci acqua da bere!» (Esodo 17,2), o alla siccità vista come una maledizione celeste pronunziata dal profeta Elia in nome di Dio: «Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo comanderò io» (1Re 17,1).
Geremia ci ha lasciato uno dei più vivaci e drammatici ritratti di questa piaga endemica del Vicino Oriente: «I nobili mandano i servi in cerca d’acqua; si recano ai pozzi, ma non ne trovano, e tornano con i recipienti vuoti; sono pieni di delusione, di confusione, si coprono il capo. Il terreno è screpolato, perché non cade pioggia nel paese: gli agricoltori delusi si coprono il capo. Anche la cerva nei campi partorisce e abbandona il cerbiatto, perché non c’è erba. Gli asini selvatici, fermi sui colli, aspirano l’aria come sciacalli, i loro occhi sono languidi perché non ci sono pascoli» (14,3-6). È per questo che, quando si affacciano le nubi e cade la pioggia, si è convinti di ricevere una benedizione divina, come si legge nel Deuteronomio: «Il Signore aprirà per te il suo benefico tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo e per benedire tutto il lavoro delle tue mani» (28,12).
Tuttavia il Creatore, che è Padre di tutti, si preoccupa di ogni sua creatura prescindendo dal merito, come dirà Gesù: «Il Padre vostro che è nei cieli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Matteo 5,45). Maliziosamente e liberamente, ma con una certa amara verità, un inglese, Lord Bowen, commentava: «Piove sul giusto e piove sull’ingiusto; ma sul giusto di più, perché l’ingiusto gli ruba l’ombrello». In realtà dovremmo dire perché gli sottrae l’acqua necessaria a vivere.
Fonte: Famiglia Cristiana