card. Gianfranco Ravasi – La mitezza femminile virtù da imitare

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Con la prossima settimana entreremo nel tempo sacro della Quaresima, aperto mercoledì 6 marzo dal rito forte e significativo delle Ceneri. È da vario tempo che stiamo allestendo una sorta di galleria dei ritratti femminili che emergono dalle pagine di Luca. Il nostro percorso continuerà sino alla fine di questo anno liturgico, appunto scandito nelle sue domeniche dalla voce dell’evangelista il cui racconto è sempre intenso e fragrante. Come è noto, la sua è la lingua greca più raffinata rispetto a quella dei suoi colleghi Matteo, Marco e Giovanni.

Prima di proseguire in questo itinerario tutto al femminile, sostiamo qualche istante proprio davanti a Luca che è spesso rappresentato nell’arte con il rotolo di pergamena su cui sta scrivendo. Accanto a questo segno fondamentale, si accumulano altri simboli a lui assegnati dalla tradizione. C’è, per esempio, il toro che – secondo molti interpreti, a partire da san Girolamo – sarebbe legato alla sua prima pagina che mette in scena il tempio di Gerusalemme con i suoi sacrifici rituali e con la presenza del sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni Battista. Altri, invece, rimandano a uno dei quattro animali simbolici del c. 4 dell’Apocalisse. Talora si aggiungono alcuni strumenti medici a causa della sua professione, evocata da san Paolo (Colossesi 4,14: «Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema»).

A Luca vengono accostati nelle miniature, nei dipinti o nelle sculture anche una tela, un pennello e una tavolozza perché la tradizione l’ha considerato un artista, anzi – e così raggiungiamo il tema femminile – il «pittore della Madonna», perché a lui sono state liberamente attribuite molte icone o antichi quadri mariani. Noi, però, ora vorremmo restare nell’orizzonte femminile attraverso una nota a prima vista curiosa. Nel 2015 furono pubblicati I Vangeli tradotti e commentati da quattro donne bibliste (ed. Ancora). Una di esse, Rosanna Virgili, docente all’Istituto Teologico Marchigiano, ha spiegato il testo di Luca definendolo «il Vangelo della mitezza».

Tre, a suo avviso, sono i tratti che giustificano questa denominazione. Innanzitutto la sua benevolenza nei confronti dell’impero romano che è citato a più riprese, a partire dalla nascita di Gesù (2,1) e dalla predicazione del Battista (3,1). È, questo, un modo per aprire il suo libro all’intero mondo allora conosciuto in una sorta di annuncio “globalizzato” del Vangelo. Una seconda componente è nell’attenzione di Gesù a tutte le classi e situazioni umane, anche le ultime ed emarginate, creando un’atmosfera di dolcezza, di pace, persino di tenerezza. Infine la mitezza traspare nell’intenso rapporto di Cristo con i suoi discepoli e, tra costoro, come vedremo in futuro, si distinguono anche non poche donne.

Ebbene, sia pure con tutti i limiti delle persone umane, la mitezza è una delle virtù che più è viva nelle figure femminili. Esse, attraverso la maternità, sanno quanto sia delicata la vita e quindi sentono maggiormente la repulsione per la violenza che uccide, per l’aggressività brutale che ferisce, per la guerra che distrugge. Nell’epoca informatica in cui in Rete dominano il livore da tastiera, l’isteria dell’insulto, la barbarie della crudeltà, Luca con il suo Vangelo invita idealmente le donne a essere sempre per i maschi un segno pedagogico di dolcezza, di benevolenza, di pazienza, di gentilezza, di amabilità, di umanità.

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