È questa una tappa già annunciata del nostro viaggio testuale nella Bibbia alla ricerca di storie di vocazione. Infatti, la scorsa settimana siamo entrati in quella sorta di giardino di simboli e immagini che sono le parabole di Gesù. Ne abbiamo selezionate un paio. La prima, già presentata, era la vicenda dei chiamati a un banchetto nuziale regale che oppongono un rifiuto, non riuscendo però a frustrare l’invito del re (Matteo 22,1-14) che allargherà il suo appello a un orizzonte più ampio e inatteso di invitati (Luca 14,15-24).
Ora, invece, è di scena una parabola presente solo nel Vangelo di Matteo (20,1-16), la cui trama risulta un po’ sconcertante. Siamo in una piazza di villaggio e – come ancor oggi accade, purtroppo con l’infamia del “caporalato” e dello sfruttamento da parte della criminalità organizzata – gruppi di lavoratori attendono un ingaggio. Una chiamata che effettivamente si realizza. Il padrone di una vigna passa alle 9 del mattino, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio e convoca vari operai. Il contratto è uguale, però, per tutti, un “denaro” d’argento che era il salario giornaliero di allora e che è spesso menzionato nei Vangeli. Il denaro romano allora in circolazione nella Terrasanta occupata dal Governo imperiale recava l’immagine e l’iscrizione “Tiberio Cesare Augusto, figlio del divino Augusto”: si legga Matteo 22,15-22, con il celebre detto di Gesù: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Noi ora ci soffermiamo innanzitutto sulla disuguaglianza delle chiamate: c’è chi è in azione già dal mattino con un impiego e un impegno pieno; c’è chi è nella media e chi invece scende nella scala delle prestazioni, offrendo un contributo piuttosto scarso e marginale. In questa sfilata, scandita dai diversi orari, Gesù introduce implicitamente una galleria di ritratti personali molto variegati. A chi è molto dotato e ha molto compiuto con una vocazione a cui ha dedicato abilità, tempo e risultati viene accostato, negli ultimi quadri, chi ha cambiato vita dopo un arco di tempo vissuto nell’inerzia o nell’esclusione; oppure chi aveva così scarse capacità da essere in grado di produrre poco.
A questa disuguaglianza si oppone la sorprendente uguaglianza nella retribuzione finale. Certo, Gesù non sta proponendo un modello di relazioni industriali o sindacali. La sua generosità apparentemente ingiusta è, in realtà, una vera giustizia che si commisura sulle capacità dei singoli e sul loro impegno. Con questa uguaglianza nel premiare uguali e diseguali il padrone integra in unità giustizia e amore.
Così si comporta Dio nella varietà delle vocazioni, come abbiamo già visto nella parabola degli invitati alle nozze, ove sono ammessi i chiamati dell’ultima ora, emarginati, peccatori, pagani. Tutti sono a tavola allo stesso livello dei primi chiamati; anzi, può accadere che quelli siano più generosi nell’accettare l’appello del Signore. Sono gli stessi che ora, nella nostra parabola, sono lì, un po’ appartati, con la loro moneta d’argento tra le mani, alla stessa maniera dei primi: essi sono felici di essere stati utili nella vigna del Signore con le loro modeste ma sincere capacità, con il loro limitato ma generoso impegno.
Articolo pubblicato su Famiglia Cristiana