Gesù Cristo, vero pastore. La relazione profonda con Gesù comporta la disponibilità a lasciarci guidare da lui: egli ci condurrà al Padre poiché fa entrare nella sua particolare relazione con il Padre tutti coloro che si fanno suoi discepoli.
Identificandosi con il “pastore” preannunciato dal profeta Ezechiele e atteso dal messianismo ebraico, Gesù afferma di essere lui il pastore promesso, che in nome di Dio ha il compito di prendersi cura personalmente del suo popolo. E descrive, a interlocutori forse increduli come siamo spesso anche noi oggi, ciò che egli ha in serbo per le sue pecore, ossia per tutti coloro che ascolteranno la sua voce e accetteranno di seguirne le tracce.
Il fatto di appartenere al pastore e di seguirlo diventa il presupposto per vivere con lui una straordinaria familiarità: siamo liberi e al sicuro, proprio perché il Pastore che ci guida ci conosce e dona la sua vita per noi.
La condizione della nostra sicurezza e salvezza sta nell’essere nelle mani del Padre: nel vangelo, infatti, Gesù assicura che tutte le sue ‘pecore’ gli sono affidate dal Padre. L’immagine delle mani indica la strada della vera fede cristiana: vivere la comunione con Dio non è questione di prestazioni, ma piuttosto di lasciarsi guidare da lui.
La prima lettura racconta come la parola di Dio si diffonda tra le genti. Anche in questo la mano di Dio si rivela più forte delle difficoltà, perché in grado di volgere ogni circostanza, anche sfavorevole, in opportunità di crescita.
La seconda lettura riprende il tema della liturgia celeste, e promette ai discepoli di Gesù che «L’Agnello che sta in mezzo al trono sarà loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (Ap 7,17).
Fonte: Servizio della Parola