Gesù è il perdente della scena: inchiodato in croce, mortificato e non solo punito con la pena per gli schiavi macchiatisi di reati infamanti, ma anche sbeffeggiato dai soldati, insultato anche da chi effettivamente quella pena aveva meritato e che gli moriva accanto. Eppure in questa apoteosi della sconfitta, una scritta campeggia dall’alto su tutti: “Questi è il Re dei giudei”.
È una scritta profetica di fronte alla quale il lettore di ogni tempo abbassa il capo in segno di rispetto, nonostante, o forse a causa, di tutto quello che capita a Gesù. Sulla croce c’è un Re, che ha vissuto ciò che ha proclamato, ossia che bisogna perdere la propria vita per salvarla, che bisogna rinunciare a se stessi e caricarsi della propria croce (Lc 9, 23), un Re che risponde benedicendo chi lo maledice. Anche di fronte allo scandalo della morte, Gesù, il vero Re, capisce che l’amore non si difende e rivela il volto della vita, disarmandoci con il dono totale di se stesso nell’amore.
Gesù è Re perché è la personificazione dell’amore che “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto soffre” (1 Cor, 13, 7), anche a costo di essere scambiato per sciocco, stupido, pazzo, e di venire schernito. Il primo ad aver compreso la signoria di Gesù è un altro malfattore, anche lui destinato a morte certa per le sue malefatte. Egli sperimenta per primo la forza salvifica dell’amore, tanto che mentre la morte sta per cogliere anche lui, invoca il Signore e prega: «Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno».
Il buon ladrone è un testimone privilegiato dell’agire di Dio nella storia. “Dio non è venuto a mettersi al nostro posto, a prendersi cura dei poveri, a cambiare alcune cose o a riorganizzare il mondo. Dio non è venuto a dire: «Io sono forte e voi siete deboli, mi prenderò cura di voi, vi guarirò e mi occuperò di tutti i vostri problemi». No, ecco qual è la notizia: colui che è venuto non è venuto per eliminare le nostre sofferenze, ma per condividerle, per entrarvi, per assumerle pienamente.
Questa è la buona novella: Dio è venuto a condividere la nostra condizione umana, a vivere a soffrire e a morire da uomo!” (da Henri J. M. Nouwen, Réflexion sur la compassion). Alla fine del brano, il lettore si accorge che il binomio si è capovolto: il potere diventa occasione di sconfitta e di morte, la debolezza occasione di amore salvifico per tutti.
Fonte: Ascolta e Medita – Novembre 2019 curato da Patrizia Valleggi – Arcidiocesi di Pisa – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi