Ci sono cristiani che hanno vissuto una vita di santità senza “risultati” visibili: non hanno evangelizzato le folle, non hanno istituito ordini religiosi, non hanno fatto opere di carità di particolare importanza. Charles de Foucauld, canonizzato pochi mesi fa, scriveva in una lettera: “Dieci anni che dico Messa a Tamanrasset, e non un solo convertito!”. Altri cristiani invece sono stati veri e propri campioni di efficienza, come san Paolo che in pochi anni ha dato un enorme impulso alla vita della Chiesa, sia sul piano pratico che su quello teologico.
Gli uni e gli altri, ci dice il Signore, sono servi inutili.
Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo scrive: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Non c’è differenza tra chi pianta e chi irrìga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio” (1Cor 3, 6–9).
Al Signore servono persone disponibili a dare la vita per la missione che viene loro affidata, consapevoli che l’esito del loro servizio, fruttuoso o sterile che appaia, non è comunque nelle loro mani. Persone che si impegnano gratuitamente al servizio del regno, che non si scoraggiano se i frutti non si vedono e che non si montano la testa se i frutti sono abbondanti.
Può darsi che il padrone in questa parabola non appaia troppo simpatico, perché un po’ esigente e scostante rispetto ai servi. Ma non possiamo dimenticare un altro brano di Vangelo in cui un Signore si cinge di un grembiule e lava i piedi ai suoi discepoli (Gv 13, 1–15). Il Signore come un servo si è chinato sull’uomo in piena gratuità; da questa gratuità nasce la risposta dell’uomo credente, che non può essere altro che una risposta di gratitudine.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Luisa Prodi