È la sera di Pasqua, la sera della vita che non è morta, che non muore, eppure i discepoli si trovano rinchiusi, per paura. Gesù non teme di arrivare a incontrarci mentre tutto è chiuso, anzi, sceglie proprio quel momento come privilegiato: dal buio alla luce attraverso il buio, senza paura di assumere tutta la nostra umanità, a partire dalla sua, perché lo riconosciamo presente.
Gesù ci incontra mostrandoci mani e fianco: per dirci, concretamente, che la resurrezione non è cancellazione della morte, ma la vita che c’è nonostante la morte.
Dai segni di questo attraversamento misterioso e fiducioso, la vita guarita porta la pace: guarigione che genera guarigione. La chiamata che schiude la pace di Cristo è pratica, alla portata di tutti: che non rimanga dono timido ma sia elargita agli altri, perché, come il Padre, anche Gesù manda noi.
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Tommaso era assente, e, umanamente, non crede: la sua resistenza è tutta sete di umanità, che Gesù scorge, accoglie e valorizza. Per questo ritorna, le porte sempre chiuse, a testimoniarci che l’Amore non quantifica, non riflette, ma si spende tutto perché sia riflesso.
Torna quando Tommaso c’è: il Risorto sempre viene, e, se non ci siamo, torna quando il nostro cuore è presente e disposto alla vita. Ecco che il cuore di Tommaso si rende disponibile all’incontro; Gesù non condanna la sua fede fragile, ma lo esorta a una beatitudine più grande. Vero uomo, vero Dio, Maestro della fede: sono sempre con voi, anche quando non mi vedete, anche prima che mi vediate.
Per riflettere
L’esperienza di Tommaso è talvolta quella di ciascuno di noi. Spesso la nostra fede vacilla, ma questa fragilità, se accolta, può portare grandi doni: un’apertura più consapevole all’incontro con il Signore, una più piena docilità alla sua Parola. Come vivo la mia incredulità?
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi