“Che cosa vi pare?”, chiede Gesù a quelli che lo seguono, i suoi discepoli, “Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?”.
La sua risposta la diamo per scontata, ma non lo è affatto. Per quale motivo uno dovrebbe rischiare la vita di novantanove bestie, e insieme a queste la propria sicurezza?
Probabilmente solo provando a pensare al rapporto di un genitore con i figli potremmo abbracciare questa logica. Un genitore non fa calcoli, il suo amore lo porta a cercare sempre il figlio smarrito, a rischiare, addirittura a sragionare.
Avere i figli non significa possederli. Il genitore li genera per la vita, non solamente a livello biologico, ma soprattutto spirituale. James Martin (SJ) scriveva che la spiritualità è un ponte che porta da un punto all’altro. Dare la vita in quel senso significa accompagnare lungo il cammino, essere vicino anche quando può sembrare una follia.
Nel testo originale del Vangelo la parola greca “génētai” (che viene da “gígnomai”, «nascere») esprime perfettamente questo senso. Quell’uomo “ha” cento pecore, nel senso che le ha “generate”, “ha fatto sì che esse esistessero”, le assicura la vita e le guida.
Siamo stati generati da quello che ci guida e se ci guida, ci protegge. Non ci indica la strada, ma ci accompagna e cammina con noi. Non si limita ad aspettare il nostro ritorno, ma viene a cercarci. Non ci giudica, ma si rallegra alla nostra vista.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
Il commento di oggi è proposto dal Centro Diocesano per le Vocazioni di Pisa