«Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità»: una richiesta che appare legittima quanto pretestuosa, che richiede una risposta netta, forse anche un po’ dura, ma che arrivi al cuore della questione. Siamo di fronte ad una richiesta che apparentemente sembra una richiesta di giustizia, ed allora perché Gesù non la asseconda?
Perché forse comprende che il desiderio dell’uomo non è quello di ottenere giustizia, bensì è spinto dalla brama di possedere, una brama così forte da dividerlo dal fratello: dirà infatti “di’ a mio fratello”. Gesù in risposta a questa divisione tra i fratelli allarga la platea e non si rivolge più solo all’uomo ma a tutti: “disse loro”, quasi a volerci riportare ad una dimensione di comunità, simbolicamente rotta da quell’uomo.
L’elemento interessante è che inizialmente non si parla solo di averi, di qualcosa di materiale, ma di un’eredità, cioè qualcosa che riceviamo senza aver contribuito a costruirla, qualcosa che si accumula senza valore. Allo stesso modo l’uomo della parabola accumula dei beni, che ha ricevuto anche per grazia di Dio, ma non li fa fruttare, non ne gode davvero. Gesù non condanna dunque il possedere qualcosa, non ci chiede di rinunciare a tutto, bensì di non fondare la nostra felicità in ciò che accumuliamo, che è destinato a crollare con le umane incertezze, bensì in ciò che ci dà fondamento: l’essere figli di Dio.
E solo allora, con questa consapevolezza, potremo gioire per ciò che siamo, gioire in ogni circostanza.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Ilaria Leonardo