Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 30 Aprile 2023

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Nella Bibbia la figura del pastore è molto presente e Dio è chiamato e riconosciuto come pastore, “pastore d’Israele”, ed il suo popolo è detto il suo gregge.

In questa parabola le solenni parole di Gesù mettono in rilievo un’opposizione: vi sono quelli che entrano nel recinto del gregge non attraverso la porta che è sorvegliata, ma scavalcando il recinto. Questi sono i ladri e i briganti: le pecore non appartengono a loro, ma loro vogliono impossessarsene. Sono ladri perché rubano e sono briganti che possono entrare nel recinto solo con l’inganno; sono in realtà lupi, falsi pastori che non si curano dei bisogni delle pecore ma pensano solo a sé stessi.

Invece “il pastore delle pecore entra attraverso la porta” e il guardiano posto all’ingresso del recinto lo riconosce e gli apre; allora “le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori”. Gesù è questo pastore e il Padre è il guardiano che Gli apre.

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È infatti il Padre che Lo ha inviato, che Gli ha messo tutte le pecore nelle mani. Dunque Gesù riconosce il Padre come unico pastore del gregge e così fanno anche le pecore: esse riconoscono la sua voce, la ascoltano ed esultano, sentendosi da Lui chiamate ciascuna con il proprio nome. Gesù ha un compito preciso: far uscire le pecore dal recinto verso pascoli aperti, verso la libertà, la salvezza, verso una “vita in abbondanza”. Il pastore si definisce poi anche “porta”; la porta delle pecore che è “via, verità e vita” (Gv 14, 6).

Per riflettere

Gesù, porta di salvezza, che desideri per le pecore “la vita in abbondanza”, pastore bello e buono che dai la vita per le tue pecore, che hai cura di esse perché le ami, fa’ che giungiamo a sentirci amati, compresi e perdonati da un amore che è sempre anche misericordia.

FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi