Molto spesso il nostro peggior nemico siamo noi stessi. Il brano di oggi ci è di grande utilità e può aiutarci a capire quanto spesso, nel nostro quotidiano, ci intrappoliamo da soli in strade senza una via d’uscita, in strade di morte. Possiamo provare ad immedesimarci in entrambi i protagonisti di questa vicenda.
Partiamo da Erode, che aveva messo a tacere la propria coscienza a causa delle sue debolezze umane. Non vi riesce subito però, e non vi riuscirà da solo, perché in fondo al cuore lui sa bene qual è la verità ed anzi la custodisce nel profondo. Seppure decida di imprigionare Giovanni, egli lo ammira, lo ascolta con piacere, e anzi in fondo cerca di proteggerlo.
Ma Erode, nonostante sia un re, è anche uno schiavo: schiavo della passione per Erodiade e schiavo del suo stesso potere che lo costringe a vivere sempre di compromessi e ambiguità; infatti, se da una parte la sua posizione pubblica lo porta ad agire in funzione della propria immagine e credibilità, dall’altra viene meno alla legge di Mosè.
Questa ambiguità lo costringerà alla fine a fare qualcosa che non vuole e che sarà per lui motivo di grande tristezza. Durante un banchetto, dato per celebrare sé stesso, si lascia trasportare ancora una volta dalla passione e dall’influenza che la sua posizione di potere ha sulle sue scelte: con impulsiva passione giura più volte, compromettendosi davanti a tutti, prestandosi a quello che sarebbe stato per lui un sacrificio molto costoso.
E guardiamo ora la figlia di Erodiade. Come Erode è schiavo del suo potere, lei è schiava della sua bellezza e della sua sensualità; solo e soltanto su questa basa la sua vita. Quando, infatti, le viene chiesto dal re cosa desiderasse, lei non lo sa! Deve andare a chiedere a sua madre, e imperterrita sacrifica i propri desideri per compiacere la madre, soccombendo e dando infine compimento al suo disegno di morte.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti sono curati da Rita e Giovanni Giordanelli