Gesù incontra due ciechi, che appartengono alla categoria dei poveri, ed erano esclusi da alcuni luoghi, come il tempio, ma che aspettavano la liberazione promessa da Dio. I due ciechi si rivolgono a Gesù con una supplica assai ricorrente nel primo vangelo e lo chiamano “figlio di Davide”. Questo titolo dice il riconoscimento dell’identità messianica di Gesù, che guarisce i due ciechi solo dopo aver provocato la loro fede. La domanda di Gesù purifica l’immagine che gli uomini potrebbero avere di lui: la guarigione non è legata a un gesto magico ma alla fede nella sua onnipotenza.
Aprire gli occhi ai ciechi e restituire la parola ai muti sono opere che attestano l’avvento del regno di Dio. Appare poi l’invito di Gesù a non pubblicizzare la guarigione ricevuta. È l’atteggiamento che egli assume in rapporto al cosiddetto segreto messianico: Gesù non vuole pubblicità, rifugge i riflettori. Esige quel silenzio che è pudore del sacro, spazio di interiorizzazione. I due ciechi però non riescono a mantenere il segreto. È troppo grande il dono che hanno ricevuto. E incontenibile la gratitudine nei confronti di chi ha restituito loro non solo la vista, ma anche la dignità. (Rosalba Manes, I Vangeli tradotti e commentati da quattro bibliste)
Per riflettere
Gesù chiede se crediamo che lui possa darci la vista. La fede non è un dono, ma il dono: ci mette in comunione con lui. Come ogni dono, può essere data solo a chi la desidera e chiede. Il ritenere che ce la possa dare e il chiederla è atto della nostra libertà. (Padre Silvano Fausti)
Preghiera finale
Mio Dio, riconosco che Tu puoi illuminare le mie tenebre,
e che soltanto Tu lo puoi.
Desidero che si faccia luce nelle mie tenebre.
Non so se Tu lo vorrai,
ma il fatto che Tu lo puoi ed io lo desidero,
è sufficiente per giustificare la mia preghiera.
(John Henry Newman)
AUTORI: Michela e Roberto Roncella
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi