Il problema di questo ricco senza nome non è quello di essere propriamente cattivo. La parabola che abbiamo letto non ci riporta alcun suo gesto malvagio; anzi, possiamo pure riscontrare una certa sollecitudine nei confronti dei fratelli perché non condividano la sua stessa fine.
Il difetto che lo condanna è piuttosto quello di essere molto centrato su se stesso: durante la vita pensa solo ai suoi vestiti e banchetti; solo dopo la morte “alza gli occhi” e si accorge dell’esistenza di Lazzaro, che comunque considera non più di un servitore che dovrebbe preoccuparsi di portargli dell’acqua o ammonire i fratelli ancora in vita. Né in morte né in vita si rivolge direttamente a Lazzaro, neanche per chiedergli perdono.
Non crediamo quindi che il giudizio morale sulla nostra vita sia tanto legato al compiere atti in sé malvagi. Chiediamoci piuttosto se ci stiamo guardando intorno per vedere di cosa hanno bisogno i nostri fratelli accanto a noi; se nei confronti di questi fratelli usiamo la “misura buona, pigiata, colma e traboccante” su cui meditavamo lunedì, oppure se non stiamo lasciando loro neanche le briciole che cadono dalla nostra tavola.
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Il dramma dell’uomo e della donna che guardano solo se stessi è che non c’è modo di fare capire loro il pasticcio nel quale si stanno cacciando. L’unico modo per ammonire qualcuno è mandargli una persona a parlargli; ma se questo qualcuno è così concentrato su se stesso da non vedere nessun altro al mondo, non c’è profeta o messia risorto che tenga.
Per riflettere
Non c’è peggior sordo di quello che non vuol sentire, dice il proverbio. Per cui, invece di lamentarci con il Signore perché non ci manda i profeti giusti ed i messia giusti, chiediamoci se noi stiamo ascoltando quelli che ci sono stati mandati. Dio arriva a noi sia tramite la Parola che tramite altri uomini: teniamo le antenne ben drizzate e ricettive su entrambi i fronti!
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi